Scienze chimiche

Settori scientifico disciplinari compresi nell'area 3:

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  • Publication
    STRUCTURAL CHARACTERIZATION OF POLYMERIC MATRICES FOR BIOMEDICAL APPLICATIONS
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-30)
    Fiorentino, Simona Maria
    ;
    Grassi, Mario
    L’obiettivo finale di questa tesi di dottorato è la determinazione di alcune importanti micro e nano caratteristiche strutturali di matrici polimeriche destinate ad applicazioni biomedicali. In particolare, la nostra attenzione si è focalizzata sull’applicazione della Risonanza Magnetica Nucleare a basso campo (LF-NMR), una metodica non distruttiva utilizzata, in particolar modo, nel campo alimentare per la caratterizzazione di sistemi porosi e non. La prima parte di questo lavoro è stata dedicata allo studio di un sistema omogeneo costituito da alginato e pluronico F127. In particolare, grazie alla combinazione della risonanza magnetica ad alto e basso campo, della reologia e del microscopio elettronico a trasmissione (TEM) è stato possibile capire le caratteristiche strutturali di queste matrici, utilizzate al fine di prevenire la restenosi coronarica. La seconda parte del lavoro è stata dedicata allo studio di sistemi porosi, principalmente utilizzati come scaffold per la medicina rigenerativa e l’ingegneria tissutale. Infatti, la risonanza magnetica nucleare a basso campo è in grado di fornire informazioni sulla dimensione media dei pori, un fattore chiave per la crescita cellulare. Infatti, affinchè le cellule possano crescere all’interno di una matrice polimerica, i pori devono avere delle opportune dimensioni (intorno ai 100 m in diametro). Al fine di verificare la robustezza e affidabilità di questa tecnica, sono stati considerati diversi sistemi: a) green coffee seads, b) gomme stirene/butadiene, c) gel di acido acrilico e cellulosa batterica. Una volta che l'affidabilità del metodo NMR a basso campo è stato definitivamente dimostrato, l'attenzione si è spostata sui sistemi, dal punto di vista biomedico, più interessanti. In particolare, sono state considerati due differenti tipologie di scaffold: a) alginato / idrossiapatite scaffold e b) Poly Left Lactide (PLLA) scaffold. Le prove effettuate sugli scaffold che hanno dato esito positivo sono l’ulteriore conferma della validità della tecnica. Lo studio della proliferazione cellulare all’interno della struttura sembra fattibile ed estremamente interessante, in quanto per la natura non distruttiva dell’analisi sarà probabilmente possibile seguire passo passo la crescita delle cellule nello stesso campione di scaffold a tempi crescenti. Pertanto a conclusione di questo lavoro si può ragionevolmente asserire che l’NMR è uno strumento molto affidabile e che le tecniche da noi riportate sono valide sia per i risultati ottenuti (coerenti a quelli ottenuti con altre tecniche analitiche), sia per la facilità di applicazione a molteplici materiali. Si auspica pertanto che la diffusione nel mondo scientifico e industriale della macchina NMR negli anni a venire sia celere e capillare.
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  • Publication
    Theoretical study of molecular photoionization: diffraction and correlation effects
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-15)
    Ponzi, Aurora
    ;
    Decleva, Pietro
    Questa tesi raccoglie i risultati dell’attività di ricerca del mio dottorato che ha riguardato lo studio di molecole sottoposte a fotoionizzazione e il calcolo delle grandezze dinamiche coinvolte in questo tipo di processo. Una prima linea di ricerca ha seguito la descrizione degli effetti di interferenza e diffrazione nei profili di fotoionizzazione ad alte energie, attraverso un approccio basato sul metodo Density Functional Theory (DFT) accoppiato all’uso di una base di B-spline. Le oscillazioni derivanti da questi effetti di interferenza e diffrazione rappresentano un fenomeno universale, presente in tutte le molecole poliatomiche in esame, dalle biatomiche a quelle più complesse non simmetriche, dalla shell di core a quella di valenza più esterna. Nella regione di core abbiamo analizzato le oscillazioni presenti nel rapporto di intensità C2,3/C1,4 nello spettro di fotoelettone C 1s del 2-butino. Nella regione di valenza più interna abbiamo invece preso in esame gli spettri di fotoionizzazione di semplici molecole poliatomiche (propano, butano, isobutano e cis/trans-2-butene) e i risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli sperimentali raccolti presso il sincrotrone Soleil di Parigi. Abbiamo poi analizzato l’effetto dovuto all’emissione coerente da centri equivalenti e quello dovuto alla diffrazione da atomi vicini non equivalenti negli spettri di core e di valenza. Nell’ambito di questa analisi, abbiamo preso in esame acetileni mono e disostituti con fluoro e iodio, comparando i risultati con quelli ottenuti nel caso del più semplice sistema acetilenico. Ci siamo inoltre occupati dello studio di effetti di intereferenza nella ionizzazione di valenza esterna di semplici idrocarburi e, nella stessa regione, abbiamo analizzato come la struttura geometrica di composti permetilati, in particolare la distanza metallo-anello, influenzi i loro profili di fotoionizzazione. Infine, nella regione di valenza interna, sono stati considerati i profili di ionizzazione per il caso di Ar@C60. I risultati sono stati messi a confronto con quelli ottenuti da uno studio precedente sulla molecola di C60. Una seconda linea di ricerca ha invece seguito la descrizione delle osservabili di fotoionizzaione considerando il contributo della correlazione elettronica. Questo può essere fatto attraverso l’implementazione di un formalismo closecoupling dove la funzione del continuo finale è espressa secondo un’espansione analoga a quella Configuration Interaction (CI) per gli stati legati. Il primo livello dell’implementazione ab initio è stato quello di descrivere accuratamente solo la correlazione negli stati legati. A questo scopo, sono stati utilizzati gli orbitali di Dyson. L’uso di questi orbitali è stato applicato alla descrizione delle osservabili di fotoionizzazione nel caso della molecola biatomica CS. Nello spettro di questa molecola è infatti presente un satellite ben risolto dovuto a effetti di correlazione elettronica che non possono essere descritti a livello DFT.
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  • Publication
    IN VITRO AND IN VIVO EVALUATION OF SILVER NANOPARTICLES PENETRATION THROUGH HUMAN SKIN
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-15)
    Bianco, Carlotta
    ;
    Adami, Gianpiero
    La cute è uno degli organi più estesi del corpo umano e gioca un importante ruolo nella regolazione dell’idratazione corporea, ha proprietà sensoriali, funzioni strutturali e agisce come prima barriera contro gli agenti esterni (Blank et al, 1984). Può costituire un’importante via di uptake per molte sostanze. L’assorbimento percutaneo è stato oggetto di studio in numerosi lavori fin dallo scorso secolo, ma ha recentemente riscosso nuovo interesse a causa dell’ascesa del “mondo delle nanoparticelle”. L’esposizione umana alle nanoparticelle può avvenire sia per cause antropiche che naturali. Dal momento che le nanoparticelle hanno dimensioni compatibili con quelle della via cutanea è importante valutare la possibilità di uptake in scenari di esposizioni reali. Le nanoparticelle di argento (AgNPs) sono sempre più spesso applicate a un’ ampia gamma di materiali a scopo biomedico, proprio perchè sono in grado di rilasciare una considerevole quantità di ioni argento che sono responsabili di un’attività antibatterica ad ampio spettro. Questi materiali nanoparticellati sono solitamente applicati a diretto contatto con la cute umana, nella maggior parte dei casi a cute lesa con una ridotta capacità di agire da barriera. Soprattuto nel caso della cute lesa, questo tipo di esposizione potrebbe portare a un incremento dell’uptake sistemico di argento con potenziali effetti collaterali. I principali obiettivi di questa tesi sono dunque: (i) valutare la permeazione dell’argento da parte di differenti materiali al nanoargento, simulando scenari di esposizione che siano il più possible realistici; (ii) definire i fattori sperimentali che potrebbero influenzare i risultati degli esperimenti in vitro, come ad esempio la metodologia di conservazione della cute; (iii) l’ottimizzazione dei metodi analitici per la quantificazione dell’argento in diverse matrici biologiche. E’ noto dalla letteratura che l’argento sia in grado di permeare la cute, sia intatta che lesa; d’altra parte, non sono disponibili dati riguardo alla permeazione dell’argento attraverso le più comuni tipologie di cute utilizzate come impianti per la cura di ustioni gravi. Petanto in questa tesi la permeazione dell’argento è stata valutata, attraverso il metodo delle Celle a Diffusione di Franz, esponendo campioni di cute fresca, cute crioconservata e cute glicerolata a una sospensione di AgNPs in sudore sintetico per 24 ore. Studiando i profili della permeazione dell’argento nel tempo, risulta evidente una maggiore permeazione attraverso cute glicerolata: il flusso di permeazione dell’argento a 24-h è di 0.2 ng cm-2 h-1 (lag time: 8.2 h) per la cute fresca, 0.3 ng cm cm-2 h-1 (lag time: 10.9 h) per la crioconservata, e 3.8 ng cm-2 h-1 (lag time: 6.3 h) per la glicerolata. La permeazione attraverso cute glicerolata è significativamente più alta sia rispetto alla cute fresca che a quella crioconservata. Questo risultato potrebbe avere delle importanti implicazioni cliniche per il trattamento delle ustioni con prodotti al nanoargento. Un ulteriore importante risultato è che la permeazione attraverso cute crioconservata non differisce significativamente da quella fresca. Ciò giustifica l’utilizzo di cute crioconservata nel caso di esperimenti in vitro. Una volta valutata la permeazione cutanea attraverso i diversi modelli di cute e determinato quindi il modello più idoneo per gli studi in vitro, il secondo obiettivo di questa tesi è quello di caratterizzare il rilascio di argento da parte di alcuni tessuti al nanoargento, disponibili in commercio, e determinare l’assorbimento percutaneo in vitro dell’argento da essi rilasciato. E’ stato effettuato uno screening preliminare di otto diversi tessuti all’argento in modo da scegliere, per successivi studi, materiali che fossero in grado di rilasciare un quantitativo elevato di argento e il cui utilizzo avesse una certa rilevanza sul piano sociale. I tessuti selezionati sono stati due diverse garze per la cura di cute lesa (ustioni o tagli) e un pigiama ideato per bambini affetti da Dermatite Atopica. L’assorbimento percutaneo in vitro è stato determinato immergendo 3 pezzi di ciascun materiale nel sudore sintetico contenuto nelle celle donatrici di Franz. La caratterizzazione dell’argento presente nei tessuti è stata effettuata mediante Scanning Electron Microscopy with integrated Energy Dispersive X-Ray spectroscopy (SEM-EDX) e Atomic Force Microscopy (AFM). La concentrazione dell’argento nelle soluzioni donatrici e nella cuteè stata determinate mediante un Electro Thermal Atomic Absorption Spectrometer (ET-AAS) e un Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometer (ICP-MS). Tutti i tessuti analizzati contenevano AgNPs di diverse dimensioni e morfologia e, in seguito all’immersione in sudore, è stata rilevata la presenza di clusters di AgCl sulla superficie delle fibre. Le concentrazioni di argento in sudore sintetico raggiungevano tra i 21 e i 104 µg/g (w/w). Sono stati inoltre rilevati microaggregati di Ag e di AgCl sia nell’epidermide che nel derma utilizzati per l’esperimento. Le dimensioni di questi aggregati suggerisce che la loro formazione avvenga a causa di fenomeni di precipitazione proprio tra gli strati cutanei. Inoltre, il fatto che l’argento sia stato trovato anche negli strati più interni della cute vascolarizzata (derma) suggerisce la possibilità di assorbimento sistemico dell’argento permeato. Alla luce di questi risultati sarebbe quindi opportuno valutare anche l’esposizione ripetuta e prolungata nel tempo. Poiché non sono state rilevate significative differenze tra i tre materiali testati, il pigiama al nanoargento è stato selezionato per la successiva stperimentazione in vivo. I dati riguardanti l’uptake in vivo dell’argento in seguito a esposizione cutanea sono limitati, in parte a causa della mancanza di metodi analitici adeguati per la determinazione dell’argento in matrice biologica. Un ulteriore obiettivo di questa tesi è dunque lo sviluppo di un metodo analitico per la quantificazione dell’uptake in vivo su soggetti che abbiano indossato il tessuto al nanoargento. Campioni dello strato più esterno dell’epidermide (Stratum Corneum, SC) sono stati prelevati, mediante tapes adesivi, da volontari che avevano indossato il tessuto al nanoargento secondo scenari realistici. Diverse tipologie di estrazione dell’argento dai tapes adesivi sono state confrontate; le soluzioni estraenti sono state analizzate per la quantificazione dell’argento mediante ICP-MS. Il metodo descritto in questa tesi ha come limite di detezione (LOD) 2 ng di Ag per campione di SC. Il metodo permette di misurare la concentrazione di Ag a diversi spessori di SC permettendo di ricavare le cinetiche di permeazione dell’argento. La sensibilità del metodo permette inoltre di determinare la concentrazione dell’argento in ultra trace nelle urine dei soggetti prima e dopo l’esposizione cutanea (LOD=0.010 µg Ag / L in urina). Il metodo sopra descritto è stato quindi applicator per determinare l’assorbimento percutaneo in vivo in seguito a ripetuta esposizione di soggetti sani e di pazienti affetti da dermatite atopica. Inoltre, è stato valutato l’effetto infiammatorio dell’argento permeate nella cute. Soggetti sani (n=15) e pazienti affetti da una lieve forma di dermatite atopica (n=15) hanno indossato una manica di tessuto contenente il 3.6% di argento, su di un avambraccio, e, sull’altro, un tessuto placebo (senza argento) per le 8 ore notturne, per 5 giorni consecutivi. La permeazione dell’argento è stata valutata analizzando l’andamento della concentrazione in funzione della profondità di SC prelevato dall’avambraccio, dopo la prima e la quinta esposizione. Inoltre, I campioni di SC sono stati analizzati mediante SEM-EDX e AFM per valutare la presenza di aggregati o nanoparticelle di argento eventualmente penetrate. L’uptake sistemico è stato verificato determinando la conentrazione di Ag nelle urine raccolte prima e dopo i cinque giorni di esposizione. Il quadro infiammatorio è stato valutato comparando i livelli di interleuchine IL-1α e IL-1RA nella cute tra siti esposti e non esposti dopo i 5 giorni di esposizione. L’argento è stato quantificato con i metodi descritti in precedenza. Il flusso di argento attraverso lo SC al raggiungimento dello stato stazionario in soggetti sani e nei pazienti era rispettivamente di 2.3 (1.2-3.8) e 2.0 (0.8-4.1) *10-6 mg Ag/cm2/h. Sui tape strips campionati dagli avambracci esposti all’argento, sono stati trovati aggregati di argento in un ampio range dimensionale. Il SEM-EDX ha rilevato la presenza di aggregati nel range 150-2000 nm in tutti i campioni prelevati, con un numero descrescente partendo dagli strati cutanei più esterni a quelli più interni. L’AFM ha confermato la presenza di questi aggregati e ha inoltre evidenziato le differenze strutturali tra i soggetti sani e quelli affetti da dermatite atopica. Non è stato riscontrato argento nei campioni derivanti dalla cute esposta al placebo. L’EDX ha rivelato che alcuni aggregate di argento contenevano inoltre zolfo e cloro. I livelli urinari di argento non hanno subito variazioni significative in seguito all’esposizione né nei casi né nei controlli. Infine non sono state riscontrate differenze nei livelli di interleuchine in seguito all’esposizione al tessuto contenente nanoargento. La presenza di aggregati con dimensioni sub-micrometriche è probabilmente dovuta a una precipitazione in vivo di ioni argento permeati attraverso lo SC e all’ aggregazione delle nanoparticelle permeate. La presenza di zolfo negli aggregati è probabilmente dovuta alla chelazione dell’argento da parte dei tioli delle proteine nello SC. L’AFM ha inoltre mostrato la presenza di un sottile strato lipidico sulla superficie degli aggregati suggerendo una penetrazione attraverso gli spazi intercellulari. L’interazione dell’Ag con le proteine dello SC e la formazione di aggregati potrebbe facilitare la creazione di una riserva di ioni Ag+ negli starti cutanei. Gli aggregati potrebbero lentamente rilasciare Ag, rendendo l’esposizione effettiva più lunga. D’altra parte, la misura degli aggregati è troppo grande perchè possano ulteriormente diffondere e potrebbero venire rimossi dai normali processi di desquamazione; perciò la formazione degli aggregati potrebbe anche essere svantaggiosa per un ulteriore assorbimento di Ag. I dati riguardanti l’assorbimento percutaneo in vivo e l’escrezione urinaria di Ag mostrano che il quantitativo di argento assorbito per via cutanea (secondo questo scenario di esposizione) è inferiore alla dose di riferimento corrente proposta dall’ US Environmental Protection Agency (EPA). Inoltre, l’esposizione cutanea al tessuto contenente nanoargento non ah alterato il quadro infiammatorio delle citokine nella cute. In questa tesi è stata testata un’ esposizione che non supera i 5 giorni consecutivi. I dati ottenuti secondo questo scenario espositivo hanno rivelato che l’assorbimento cutaneo dopo aver indossato il tessuto in esame è basso e non dovrebbe realisticamente portare a tossicità a livello sistemico. D’altra parte questi risultati evidenziano la necessità di valutare sia gli effetti sistemici in seguito a un’esposizione più prolongata nel tempo, soprattutto in soggetti con cute danneggiata, sia il destino nel tempo delle forme di argento trattenute nella cute.
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  • Publication
    Nanostructured Electrocatalysts for Anion Exchange Membrane Fuel Cells
    (Università degli studi di Trieste, 2015-03-24)
    Wang, Lianqin
    ;
    Fornasiero, Paolo
    Lo sviluppo sostenibile è una sfida prioritaria per la nostra società. La possibilità di costruire un futuro sostenibile, mantenendo al contempo alti standard nella qualità della vita e preservando risorse e ambiente, dipende dalla disponibilità di metodi per la produzione verde di energía e prodotti chimici. La produzione simultanea di prodotti chimici ed energía può essere ottenuta nelle celle a combustibile che impiegano combustibili liquidi (Direct Liquid Fuel Cells – DLFC), dispositivi in cui l’energia chimica contenuta nelle molecole di combustibile è convertita direttamente in energía elettrica. Le DLFC impiegano solitamente combustibili a base di piccole molecole organiche quali ad esempio alcoli ed acido formico. Questi combustibili sono di particolare interesse, dal momento che possono essere ottenuti a partire da biomassa, con un impatto minore sulle emissioni di gas serra rispetto ai combustibili fossili. Allo stato attuale le DLFC impiegano platino in quantità elevate. Questo per due ragioni: i) il platino è un buon catalizzatore sia per l’ossidazione di composti organici che per la riduzione dell’ossigeno e ii) il platino è stabile in ambiente acido. E’ importante sottolineare che le attuali DLFC impiegano membrane a scambio protonico come elettroliti e dunque richiedono ambienti fortemente acidi per avere un’adeguata conducibilità. Le DLFC impiegano carichi di platino maggiori di 1 mg cm-2, un fatto che ne limita molto la possibilità di diffusione commerciale. In questo lavoro, grazie alla disponibilità di membrane a scambio anionico ad elevata conducibilità (Tokuyama A-201), abbiamo sviluppato delle DLFC alcaline (Anion Exchange Membrane Direct Liquid Fuel Cells – AEM-DLFC). Ciò e’ stato fatto con l’obiettivo di eliminare il platino dai dispositivi. E’ infatti noto che il palladio è un catalizzatore molto attivo per l’ossidazione delle piccole molecole organiche in ambiente alcalino e che la reazione di riduzione dell’ossigeno puo’ essere catalizzata da composti di ferro e cobalto (es. ftalocianine). La tecnología qui riportatata si basa sull’impiego di anodi di palladio supportati da carbon black (Vulcan XC-72), membrane a scambio anionico e ftalocianine di ferro e cobalto subbortate da carbon black con maggiore area superficiale rispetto a quello impiegato all’anodo (Ketjen Black 600). Un fatto importante è che le ftalocianine di ferro e cobalto non sono attive per l’ossidazione di molecole organiche. Ciò è particolarmente rilevante per le fuel cells perché il cross-over del combustibile attraverso la membrana non produce significative cadute di potenziale e quindi dell’efficienza energetica. La parte sperimentale della tesi inizia con un capitolo in cui si decrivono le prestazioni di AEM-DLFC esenti da platino ed alimentate ad etanolo. Questa parte del lavoro è particolarmente rilevante dal momento che è la prima e completa caratterizzazione della performance energetica di questi dispositivi. In particolare si sono determinati i seguenti parametri: i) massima densità di potenza, ii) efficienza energetica e iii) l’energia prodotta per singolo batch di combustibile. Tutti questi parametri sono stati determinati in funzione della composizione del combustibile. Abbiamo scoperto che la composizione del combustibile che massimizza uno dei parametri sopra riportati generalmente ha effetti negativi sugli altri. E’ dunque necesario definire la composizione del combustibile in funzione della particolare applicazione cui il dispositivo è destinato. Abbiamo inoltre studiato l’effetto dell’aggiunta di un ossido promotore, la ceria, al catalizatore anódico, mostrando che le prestazioni migliorano significativamente. In alcuni casi l’efficienza energetica può essere migliorata anche di più del 100% grazie alla semplice aggiunta di dell’ossido promotore. Il capitolo successivo e’ dedicato alle celle a combustile che impiegano combustibili a base di formiato (Direct Formate Fuel Cells – DFFC). In questo caso si sono impiegati catalizzatori nanostrutturati di Pd supportato da Vulcan XC-72 e ftalocianine di ferro e cobalto, rispettivamente all’anodo ed al catodo, ottenendo un potenziale di circuito aperto superiore ad 1 V. Le celle alcaline al formiato hanno prodotto una densità massima di potenza superiore alle celle alcaline che impiegano metanolo ed etanolo, ed anche alle celle acide che impiegano acido formico. In particolare l’efficienza energetica delle celle al formiato è stata superiore di un fattore 4 a quella delle migliori celle alcaline ad etanolo. Questo e’ un punto cruciale per l’applicazione pratica della tecnología proposta. Infatti l’efficienza energetica e’ uno dei cardini per il raggiungimento della sostenibilità e, senza dubbio, il vincolo principale per i sistemi che devono produrre grandi quantita’ di energía, come la generazione stazionaria di energía elettrica. Anche nel caso delle celle al formiato, abbiamo osservato che la composizione del combustibile è essenziale nel definire la performance energetica. Abbiamo mostrato che la massima densità di potenza si ottiene con un combustibile che contiene formiato 2 M e KOH 2 M, mentre l’energia per singolo batch di combustibile, la migliore conversione del combustibile e l’efficienza energetica sono migliori per il formiato 4 M e KOH 4 M. Al fine di migliorare la capacità del palladio di catalizzare l’ossidazione elettrochimica di composti organici rinnovabili, abbiamo sviluppato un metodo elettrochimico originale per il trattamento delle superfici degli elettrodi. Il trattamento consiste nell’applicazione di un potenziale ad onda quadra (Square Wave Potential – SWP) che produce un aumento della rugosità superficiale e una modifica della distribuzione delle terminazioni cristalline della superficie, incrementando la densità degli atomi di Pd superficiali a basso numero di coordinazione (< 8). Il trattamento si è rivelato efficace nel migliorare la cinetica di ossidaizione dell’etanolo, dell’etilen glicole e del glicerolo. I trattementi sviluppati hanno prodotto incrementi dell’attività fino ad un fattore 5.6. L’analisi FTIR dei processi di ossidazione ha dimostrato che anche la distribuzione dei prodotti di ossidazione e’ affetta dal trattamento. In particolate abbiamo riscontrato un incremento nella capacità dei catalizzatori ottenuti per SWP di rompere il legame C-C. Il trattamento elettrochimico con potenziale ad onda quadra è stato sviluppato anche per le superfici di platino, con l’obbiettivo di fornire uno strumento per ridurne il contenuto nelle fuel cells quando non sia possibile eliminarlo completamente. Nel caso del platino si è riscontrato che il parámetro piu’ importante per l’efficienza del trattamento è il periodo dell’onda quadra. Le superfici più attive si sono ottenute con un periodo di trattamento di 120 minuti, mentra la stabilità massima si e’ avuta per campioni trattati con onde quadre con periodo di 360 minuti. Tramite esperimenti FTIR si è inoltre concluso che nel caso del platino il trattamento inibisce la rottura del legame C-C. Questo fatto è importante perchè limita la formazione di frammenti CO che sono le principali specie che avvelenano gli elettrocatalizzatori a base di platino. Il capitolo 7 è dedicato allo studio dei meccanismi di deattivazione dei catalizzatori di palladio per l’ossidazione elettrochimica in ambente alcalino di alcoli. L’argomento è rilevante poichè la deattivazione è una delle principali cause che limita la diffusione di questi dispositivi. Abbiamo dimostrato che la formazione di ossidi è la causa che determina maggiormente la degradazione della performance catalítica. Siamo giunti a questa conclusione combinando le informazioni proveniente da indagini elettrochimiche ed esperimenti che impiegano la radiazione di sincrotrone. L’analisi degli spettri XANES (Near Edge X-ray Absorption Spectroscopy) ha mostrato che il palladio è presente nella sua forma metallica nei catalizzatori freschi, mentre è completamente ossidato dopo l’impiego in fuel cells. Nello studio si conclude che per allungare la vita degli anodi a base di palladio è necesario che il catalizzatore anodico non sia esposto a potenziali superiori a 0.7 V. Ciò è possibile in pratica con una semplice elettronica di controllo da abbinare alla cella. Al fine di aumentare la cinetica di ossidazione abbiamo provveduto ad effettuare esperimenti di ossidazione dell’etanolo a temperatura intermedie (> 100 °C) in autoclave. Abbiamo osservato che l’incremento della temperatura aumenta in misura significativa la capacità dei catalizzatori di ossidare l’etanolo in ambiente alcalino. Questo fatto è stato ascritto prevalentemente al miglioramento della capacità di adsorbire specie idrossido alla superficie del palladio. Lo stesso miglioramento non è stato osservato per esperimenti condotti in ambiente acido. Si sono inoltre realizzati esperimenti di ossidazione dell’etanolo su superfici di carburo di tungsteno in matrice di cobalto. Si è provato che questo materiale non mostra un’attività significativa per l’ossidazione di etanolo in ambiente alcalino. In ogni caso si è osservato che il materiale è stabile in ambienti alcalini, in un range di temperatura compreso tra 100 e 200 °C. Questo fatto unitamente all’elevata conducibilità suggerisce che il carburo di tungsteno in matrice di cobalto possa essere impiegato come supporto per la fase attiva dei catalizzatori, quali appunto il palladio. Lo stesso materiale ha mostrato una debole attività nell’ossidazione dell’etanolo ad una temperatura di 50 °C in ambiente acido. La stabilità non era però suficiente per permettere la caratterizzatione delle proprietà catalitiche in soluzioni acide a temperatura superiori.
      926  2047
  • Publication
    Design and synthesis of trans-A2B2 and trans-A2BC dipyridylporphyrins: new building blocks for the self-assembly of metallacyclic supramolecular structures
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-13)
    Milano, Domenico
    ;
    Tecilla, Paolo
    ;
    Iengo, Elisabetta
    Artificial molecular structures forming stable pores in biological membranes may have important applications in the biomedical field and in the field of biotechnology, in particular as sensors. These structures have to meet specific characteristics of size, shape and solubility. In particular, they have to enter the membrane engaging hydrophobic interactions with the phospholipid bilayer and, at the same time, forming a polar conduit for the transport of the ions across the membrane. A molecular structure which meets these features is an amphipathic, rigid and tube-shaped one and, mostly important, long enough to span the entire membrane. The final goal of this thesis work is the design and preparation of structures that would reflect these characteristics obtained by the metal-mediated self-assembly of pyridylporphyrins. In particular to obtain structures long enough to span the membrane the focus was on the design of pyridylporphyrins equipped with complementary hydrogen bonding donor/acceptor moieties and of a polar subunit to increase membrane compatibility. Using transition metal complexes with an adequate geometry these “molecular panels” should self-assemble in metallasquares which, upon hydrogen-bonding driven dimerization in membrane, should form tubular empty structures long enough to span the phospholipid bilayer forming large pores. In the first part of the Thesis work, a versatile and straightforward synthetic strategy for the preparation of a library of amphiphilic trans-A2B2 and trans-A2BC dipyridylporphyrins directly from 5-(4-pyridyl)dipyrromethane has been developed and optimized. The major part of the porphyrins synthesized in this way are new compounds.The library members have been functionalized through different metal catalysed coupling reactions, showing their great potential and versatility towards the different employment which could be addressed, to obtain amphiphilic and dimeric derivatives, in some cases with very good and satisfying yields. The derivatization reactions have been performed on the free base porphyrins and, therefore, it has been necessary to carefully optimize the conditions of the metal catalysed reactions in order to avoid the insertion of the catalyst, or of the co-catalyst, in the porphyrin macrocycle. The functionalities that have been inserted into the dipyridylporphyrins scaffold are hydrogen-bonding complementary donor/acceptor moieties, like uracil and diacylaminopyridine, and an amphiphilic polyether chains. Starting from the porphyrin library and exploiting metal catalysed coupling reaction also three dipyridylporphyrins dimers have been prepared. The target amphiphilic dipyridylporphyrins have been principally utilized in self-assembly reactions exploiting the pyridyl groups present, in particular through the coordination-driven self-assembly approach, with cis-coordinating metal complexes like Re(CO)5Br and trans,cis,cis-[RuCl2(CO)2(DMSO-O)2], leading to the formation of molecular squares together with other kind of metallacyclic species. At the best of our knowledge, this is the first time that the Ru(II) complex have been employed for the self-assembly with trans-dipyridylporphyrins. The porphyrins, the dimers and supramolecules synthesized have been mainly characterized by mean of NMR spectroscopy, in particular through 1H, 13C, 1H-1H COSY, 1H-13C HSQC, 1H-DOSY. The latter technique, being more and more important and utilized in supramolecular chemistry either in the characterization either in the sample purity proof of the compounds, has been in fact thoroughly utilized both to confirm the dimensions in solution of all the molecules synthesized and to give an evidence of their purity. This last feature has been one of the more challenging to face because the sample purity was not so evident just analysing the 1H-NMR spectra due to the possible presence of isomers and conformers. In absence of X-ray spectroscopic and MS spectrometric data, PFG-NMR has been a powerful, helpful and straightforward way to rationalize the high complexity of the resonating signals pattern in these spectra and to confirm the higher molecular dimensions reached as relative to the parent porphyrins. Confirmation of the pyridyl-metal bond formation with the right configuration has come also from IR, UV-Vis and fluorescence emission spectra acquired both for the porphyrins and for the supramolecular metallacycles. Putting together all the data and although in some cases we were not able to unambiguously define the nuclearity of the metallacycle, the supramolecules synthesised have all cyclic and symmetric structure and retain the symmetry of their parent porphyrins.The most representative porphyrins, together with the supramolecular metallacycles have been then tested as transmembrane ion channels utilizing liposomes as model of biological membranes. Preliminary studies on the H+ transport assays have been reported.
      809  1148