La presente ricerca si focalizza sulla prevenzione degli effetti che si possono manifestare in una persona la cui madre ha consumato bevande alcoliche in gravidanza, attualmente definiti come Disturbo dello Spettro Fetale Alcolico (FASD - “Fetal Alcohol Spectrum Disorders”). Questo termine descrive un continuum di conseguenze di maggiore o minore entità, che possono essere di tipo fisico, cognitivo e comportamentale, con implicazioni a breve e a lungo termine. La forma più grave e riconoscibile di FASD, la Sindrome Alcolica Fetale (FAS), è una diagnosi clinica riscontrata in figli di madri abusatrici di alcol in gravidanza ed è considerata da molti autori come una delle maggiori cause di disabilità cognitiva non genetica nel mondo occidentale.
Il management del FASD è complesso. La difficoltà ad attribuire un quadro clinico univoco a tutti i possibili effetti dell’esposizione prenatale all’alcol e il legame con le valenze culturali e sociali del consumo rendono difficili la prevenzione, la diagnosi e il trattamento. Nel corso degli anni, in ambito internazionale sono stati descritti diversi approcci alla prevenzione del FASD. La maggior parte di questi promuove l’astensione dall’alcol in gravidanza, attraverso l’implementazione di strategie articolate in differenti livelli di azione, che consistono sia nell’intercettazione e nel trattamento delle donne incinte e potenzialmente incinte che abusano di bevande alcoliche e/o hanno già figli con FASD, sia nell’avvio di percorsi di informazione ed educazione ad ampio raggio, rivolti alla comunità. Il presupposto è che diversi attori nella comunità possano avere un ruolo nella prevenzione del problema, primi fra tutti i professionisti sociosanitari, sviluppando una consapevolezza e mettendo in atto comportamenti volti a sostenere l’astensione in gravidanza. Questi approcci sono ritenuti importanti perché permettono di sensibilizzare tutti i possibili protagonisti della prevenzione del FASD in una prospettiva di salute pubblica.
Anche se il dibattito intorno all’efficacia di queste strategie è aperto, le premesse su cui si fondano possono essere considerate fondamentali per avviare percorsi di prevenzione, diagnosi e trattamento in un territorio. In particolare, gli approcci di comunità alla prevenzione del FASD, ampiamente descritti a livello internazionale, si soffermano sulla necessità che qualunque azione di prevenzione sia contestualizzata a livello locale. Questa contestualizzazione prevede due passaggi fondamentali: la raccolta di informazioni sulla situazione testando le conoscenze e le opinioni sull’argomento, seguita dalla sensibilizzazione della comunità, costruita sulla base dei dati raccolti.
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è contestualizzare l’argomento nel territorio di un’azienda sanitaria locale italiana, l’Az. ULSS n. 9 Treviso – Regione Veneto, raccogliendo informazioni preliminari su conoscenze, atteggiamenti e comportamenti di differenti gruppi di popolazione, che possono essere protagonisti della prevenzione del FASD. Questi dati avranno la funzione di indicatori per la predisposizione e l’implementazione di programmi di sensibilizzazione e prevenzione del FASD, secondo l’ottica dell’astensione dall’alcol in gravidanza.
La ricerca si è sviluppata con sequenzialità progressiva e maggiorante. Essa è stata preceduta da un inquadramento teorico generale del FASD in una prospettiva psicopedagogica e da una mappatura generale dell’azienda sanitaria, delle sue caratteristiche e della sua organizzazione. Successivamente, sono stati definiti gli interessi e i bisogni conoscitivi sul tema, e questi sono stati comparati ed integrati con le esperienze di prevenzione descritte in letteratura. Sono stati poi identificati gli attori maggiormente coinvolgibili nella prevenzione del FASD, ovvero i professionisti sociosanitari che lavorano nelle aree materno-infantile e dell’età evolutiva. Tra i destinatari della prevenzione, invece, sono stati individuati le donne in gravidanza, gli adolescenti e i giovani.
Sono stati realizzati cinque studi descrittivi, tramite somministrazione di questionari. Gli studi hanno coinvolto rispettivamente 437 professionisti sociosanitari (professionisti dipendenti dell’azienda sanitaria, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta convenzionati), 569 adolescenti di 14-15-16 anni, 256 giovani di 18-19 anni e 228 donne in gravidanza.
I dati raccolti dai professionisti sociosanitari hanno permesso di ottenere informazioni sul livello di conoscenza ed esperienza di FAS e FASD e sull’atteggiamento professionale rispetto al consumo di alcol in gravidanza. È stato confermato un quadro disomogeneo e vario di approcci ed esperienze, che mostra la mancanza di una conoscenza e formazione condivisa della questione in ambito sociosanitario.
Per quanto riguarda i destinatari della prevenzione, sembra che le donne in gravidanza siano un target relativamente a rischio: un terzo continua a bere anche in gravidanza, ma perlopiù quantità ridotte e non frequentemente. Lo studio rivolto alle donne ha evidenziato che circa una su tre ha ricevuto informazioni, spesso incomplete e difformi, sull’argomento “ alcol e gravidanza”, in modo occasionale e sporadico attraverso i mass media.
Sembra, invece, importante porre attenzione alle giovani, vista la presenza di comportamenti di consumo quali il “binge drinking”, praticato almeno occasionalmente dal 13% delle adolescenti e dal 49% delle giovani. Inoltre, sono state riscontrate opinioni maggiormente favorevoli al consumo di alcol in gravidanza nelle ragazze bevitrici. Preoccupazione verso le adolescenti future madri è stata manifestata anche dai professionisti sociosanitari coinvolti.
Dai risultati degli studi si delinea l’opportunità che le strategie di prevenzione siano orientate verso progetti e approcci omogenei e condivisi, con la diffusione di messaggi di salute coerenti tra i servizi sanitari e la comunità e lo sviluppo di strategie integrate in cui le informazioni sull’alcol siano veicolate insieme ad interventi educativi specifici. La condivisione di strategie di prevenzione deve essere perseguita attraverso la formazione dei professionisti sanitari e la definizione di scelte operative che tengano conto anche di eventuali posizioni critiche nei confronti della questione. Gli obiettivi della formazione dei professionisti sono: fornire conoscenze e competenze di base sul FASD che siano fruibili dalle differenti professioni e funzionali alle diverse specificità; fornire strumenti per informare le donne in età fertile e le gestanti e per identificare ed inviare ai trattamenti opportuni le donne con problemi di dipendenza da alcol. Una riflessione sull’argomento ed un'analisi comparata dei dati raccolti possono essere il punto di partenza anche per lo sviluppo di percorsi di diagnosi di FAS/FASD.
Oltre a questo, appare importante sviluppare interventi educativi per i giovani, non fornendo solo semplici informazioni, ma anche coinvolgendoli in un percorso più ampio di promozione della salute nell’ambito della tutela materno-infantile, dove l’alcol rappresenta uno dei possibili fattori di rischio per la salute del feto. L’acquisizione di conoscenze e competenze sul problema può essere spendibile in funzione di una genitorialità futura. I professionisti sanitari delle aree nascita ed età evolutiva potrebbero essere coinvolti in maniera attiva nella realizzazione di esperienze educative che abbiano una funzione trasversale, mettendo in contatto i giovani con altri settori della comunità.