Il mio studio si propone di indagare come i meccanismi di negazione della violenza e di disimpegno morale (Bandura, 1999; Romito, 2005) agiscono per occultare le violenze che ragazzi e uomini possono trovarsi a vivere nei contesti militari e sportivi. La scelta dei due contesti d’indagine è stata dettata dal loro configurarsi come istituzioni tradizionalmente maschili (Connell, 1996; Messner, 2002), improntate ai valori della disciplina e del rigore e come luoghi di passaggio - o di permanenza per lungo tempo - per la maggior parte dei ragazzi e degli uomini nella nostra società, soprattutto fino all’abolizione della leva obbligatoria.
I quadri teorici di riferimento hanno riguardato, da una parte, le teorie sociologiche relative alla costruzione sociale delle mascolinità (West & Zimmerman, 1987), ai concetti di omosocialità (Bird, 1996; Flood, 2008) e di mascolinità egemone (Connell, 1996; 2000); dall’altra, le teorie psico-sociali che analizzano i meccanismi di disimpegno morale (Bandura, 1996; 1999; Cohen, 2002) e le tattiche di negazione della violenza (Hearn, 1998; Herman, 2005; Romito, 2005; Scully & Marolla, 1984).
Metodo. Considerata la relativa assenza di studi sull’argomento, ho utilizzato una metodologia di ricerca di tipo qualitativo-esplorativo e lo strumento dell’intervista qualitativa per la raccolta dei dati, un metodo che permette di indagare una tematica in profondità e di far emergere il punto di vista dei partecipanti, la loro visione del mondo, l’insieme di valori e significati che attribuiscono alle esperienze (Denzin & Lincoln, 2005).
Ho realizzato due studi di caso: il primo ha riguardato uomini con esperienze militari (n = 29); il secondo ha visto il coinvolgimento di sportivi di alto livello (n =13). I campioni sono stati definiti ricorrendo ad una strategia di campionamento intenzionale e “a valanga” (Denzin & Lincoln, 2003).
Nel corso delle interviste ho analizzato le esperienze di violenza - subite o agite - degli uomini, indagando come la violenza viene descritta, concettualizzata e rappresentata ed esplorando a che scopo, e con quali strategie, viene eventualmente negata. I partecipanti hanno rilasciato un consenso informato scritto alla partecipazione ed è stato garantito loro l’anonimato e la riservatezza dei dati raccolti.
Le interviste sono state registrate, trascritte verbatim e sottoposte ad analisi qualitativa. Il lavoro di analisi e interpretazione dei risultati ha seguito l’approccio della Grounded Theory integrato dall’analisi dei quadri teorici di riferimento (Kauffman, 2009).
Risultati. Dall’analisi dei colloqui è emerso che i contesti indagati sono molto simili tra loro. In entrambi, i valori dominanti sono quelli della disciplina, del rispetto e della competizione; la forma ideale di mascolinità è quella egemone; l’unico orientamento sessuale accettabile è l’eterosessualità.
Per quanto riguarda le esperienze di violenza, tutti gli uomini con esperienze militari e buona parte degli sportivi (otto su tredici) riportano atti di violenza vissuti tra commilitoni o compagni. Proprie del sistema militare sono umiliazioni, abusi psicologici e verbali, minacce, ma anche pesanti violenze fisiche; permane il silenzio per quanto riguarda violenze e molestie sessuali. Al contrario, le “iniziazioni” a sfondo sessuale caratterizzano la realtà dello sport, nella quale si ritrovano anche atti di violenza fisica o umiliazioni tra compagni di squadra.
Nonostante la gravità e la frequenza di tali atti, nella quasi totalità dei casi gli uomini negano la violenza, ricorrendo a numerose tattiche di occultamento (Hearn, 1998; Romito, 2005) e a complessi meccanismi di disimpegno morale (Bandura, 1999). Le violenze vengono “eufemizzate”, definite come scherzi o rituali che non provocano conseguenze negative, e sono viste come legittime e a volte addirittura necessarie per crescere (diventare uomini) ed entrare a far parte del gruppo maschile. L’amicizia tra gli uomini - così come viene definita dagli intervistati - sembra infatti costruirsi banalizzando e negando le violenze, in un processo che permette di occultare le dinamiche di dominazione interne al genere maschile.
Conclusioni: Gli uomini sono spesso vittime della violenza di altri uomini, ma tendono a minimizzarla e negarla. La negazione contribuisce a rafforzare le relazioni omosociali maschili e l’adesione ai valori della mascolinità egemone; allo stesso tempo, creando una cultura di legittimazione e accettazione della violenza, può influenzare anche i rapporti che gli uomini instaurano con le donne.
Questo studio, analizzando e “snaturalizzando” pratiche considerate normali e accettabili, ha permesso di mettere in luce alcune delle radici di comportamenti - la violenza tra gli uomini e degli uomini sulle donne -, che costituiscono un grave problema sociale e di salute pubblica (WHO, 2002; 2010). Da qui si possono sviluppare nuove strategie e strumenti educativi e preventivi che permettano di costruire una cultura basata sulla reciprocità, il rispetto e la non violenza.