Pinacoteca del Rettorato
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Browsing Pinacoteca del Rettorato by Author "Donghi, Antonio"
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- PublicationRicordo di Sinigallia (Periferia) o Via di Paese, 1947Donghi, AntonioNel catalogo dell’opera di Antonio Donghi firmato, nel 1990, da Maurizio Fagiolo Dell’Arco e Valerio Rivosecchi, del Ricordo di Senigallia si pubblica una fotografia appartenente all’Archivio privato dell’artista; l’opera presenta il titolo di Via di Paese, è datata 1952 e reca l’indicazione “ubicazione ignota” (cat. 211, p. 229). Stupisce la mancata individuazione dell’opera, giacché nel regesto che racchiude la biografia donghiana, i principali passaggi ad esposizioni, una ricognizione critica ed alcuni dati documentali (i carteggi, per esempio), è ricordato l’invito ricevuto dall’artista da parte dell’Università di Trieste nel luglio del 1953 (Fagiolo Dell’Arco-Rivosecchi 1990, p. 117). Stupisce a maggior ragione perché, nella bibliografia che chiude la monografia, viene citato Pittori e critici d’Italia nella sede dell’Università di Trieste, panoramica sullo stato delle arti comparsa ne “Il Giornale di Trieste” il 26 novembre del 1953, a pochi giorni dall’inaugurazione della mostra. Il Ricordo di Senigallia conservato presso il Rettorato presenta, accanto alla firma dell’artista, la datazione al 1947; sicuramente del 1952 è, invece Il giardiniere, al 1990 individuato in collezione privata romana, che vede l’artista – al solito incline a giustapporre, piuttosto che a integrare, fondere – inserire nel medesimo paesaggio una figura umana, in primo piano, innesto rivelatore dell’attenzione donghiana nei confronti dei costumi romani dell’Ottocento. Il formato – quadrato – e le piccole dimensioni, attorno al mezzo metro, sono ricorrenti nella pittura di Donghi soprattutto per quel che attiene ai paesaggi, urbani e non, ed alle nature morte, fin dagli esordi della sua attività, ai primi anni Venti. Il Ricordo di Senigallia è solo un’impressione dei viaggi in Italia dell’artista; degli stessi anni, per esempio, sono gli scorci di Castelfranco Veneto, Pavullo, Stazzema. Impressioni, quelle di Donghi, solo in un primo tempo catturate en plein air, e molto spesso rifinite in studio, con un senso del mestiere appreso nella Roma degli anni del ritorno all’ordine e irrobustito da studi di pittura moderna italiana ed europea che il velo di naïveté o, per dirla con le parole di Decio Gioseffi nel primo scritto dedicato alla Mostra Universitaria e centrato sulla sezione dei “tradizionalisti” (“Il Giornale di Trieste”, 22 dicembre 1953), di neo-primitivismo, non riesce sempre a dissimulare. Tale ingenuità popolare è stata apprezzata soprattutto negli ambienti più conservatori, antimodernisti della Roma degli anni Cinquanta; si leggano, per esempio, i testi di Alfredo Mezio centrati sulla pittura donghiana comparsi ne “Il Mondo”, su tutti lo scritto L’accademico sonnolento, scritto che è possibile leggere nel numero del 6 di agosto del 1963, a pochi giorni dalla scomparsa dell’artista. Le suggestioni di viaggio donghiane non sono fermate solo sulla tela, ma anche sul quaderno, tra le carte dell’artista e raccolte, qualche anno più tardi, da Leonardo Sinisgalli in Pittori che scrivono (Milano, Edizioni della Meridiana 1954). Questi documenti sono emblematici per chi voglia mettere a fuoco la figura di un pittore che, oltre che riportare sulla tela gli ultimi istanti di vita di un’Italia rurale, tenacemente ottocentesca, non mancava, nei suoi itinerari, di andare alla ricerca delle trattorie più tipiche, della buona cucina della tradizione. Tra le strade di un’Italia di provincia, aliena dalla modernizzazione e dalla speculazione edilizia degli anni Cinquanta, Donghi cancella anche la figura umana. Nella sua nitida, calligrafica inquadratura di Senigallia, case spopolate, vicoli dominati dalla solitudine: un incanto che è anche un’attesa, molto spesso amara e, come aveva scritto sempre Sinisgalli agli inizi degli anni Quaranta a proposito dei paesaggi dell’artista, l’incarnazione di “un regno che sta prossimo al sogno, alla stasi, alla morte” (Antonio Donghi, Milano, Hoepli, 1942).
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