Scienze giuridiche
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Browsing Scienze giuridiche by Author "Amadeo, Stefano"
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- PublicationL'effettività della tutela giurisdizionale degli individui nell'ordinamento dell'Unione Europea: verso l'affermazione di un diritto fondamentale?(Università degli studi di Trieste, 2012-03-23)
;Ravo, Linda MariaAmadeo, StefanoIl diritto degli individui di avvalersi di rimedi giurisdizionali effettivi per la tutela dei propri interessi è tra i più antichi e consolidati : esso è stato annoverato tra i diritti inviolabili dell’uomo e sancito dalla maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati fin dal XIX secolo e, a seguito di un processo di positivizzazione, trova esplicito riconoscimento nel costituzionalismo moderno in norme o principi di natura fondamentale nella maggioranza degli Stati democratici . Tale diritto costituisce, infatti, una delle principali espressioni dei valori delle democrazie costituzionali, del concetto della rule of law e del principio della separazione dei poteri . Inizialmente concepito come diritto di azione o di accesso alla giustizia, oggi interpretato con un significato molto più estensivo , il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva rappresenta il contraltare dell'assunzione, da parte dell’ordinamento, del monopolio della giurisdizione e del divieto dell'autotutela, e funge da strumento di protezione per l'individuo dall'abuso di potere da parte dell'autorità pubblica . Esso non può essere concepito in modo formalistico e astratto: possiede infatti un contenuto positivo, che implica un’incidenza diretta e pratica sulla conformazione della struttura e dello svolgimento del processo, pretendendo da parte dell’ordinamento, e da parte del giudice , il riconoscimento all'individuo di una pluralità di poteri, iniziative e facoltà che vanno ben oltre la mera proposizione della domanda giudiziale, e che sono indispensabili per ottenere la tutela effettiva e concreta del diritto o interesse leso . Tenendo a mente la generale importanza riconosciuta alla effettività della tutela giurisdizionale, quale diritto fondamentale dell’individuo, l’intenzione ad impegnarsi in uno studio che ambisce ad analizzare ed approfondire la reale portata e i caratteri distintivi del principio di tutela giurisdizionale effettiva (come “battezzato” dalla Corte di giustizia) nell’ordinamento dell’Unione Europea, anche alla luce delle novelle apportate dal Trattato di Lisbona al sistema di rimedi da questo garantito, sorge dalla considerazione che la realizzazione di un sistema efficace di tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini europei sia oggi una delle esigenze più pressanti, ed al contempo una delle sfide più ambiziose, che l’Unione europea si accinge ad affrontare. Il lavoro è permeato dall’idea che la progressiva emersione, nella giurisprudenza della Corte, del principio di tutela effettiva in giudizio come posizione giuridica strumentale ed autonoma a favore dell’individuo sia, quantomeno in prospettiva, in grado di conferire ad esso una marcata connotazione soggettiva, sino ad attribuirgli il valore di diritto fondamentale. Tale impostazione teorica è influenzata dalla progressiva penetrazione, nel sistema dell’Unione, delle dinamiche di tutela dei diritti dell’uomo. Il profilo caratterizzante della ricerca intende in tal senso evidenziare la torsione subita dalla giurisprudenza, soprattutto recente, in virtù dell’affermazione del principio di tutela effettiva inteso come “diritto fondamentale” dell’individuo e non come “principio straordinario”, al servizio della effettività e della coerenza del diritto dell’Unione. In tale prospettiva, la relazione tra il “diritto soggettivo” e le sue conseguenze sull’organizzazione dei mezzi di ricorso (europei e interni) appare invertita. Si assiste infatti ad un capovolgimento dell’impostazione iniziale, che pareva concepire il principio della tutela giurisdizionale effettiva principalmente nella sua dimensione funzionale o oggettiva – ossia come strumento per garantire l’effettività e la coerenza del diritto dell’Unione e per assicurare una corretta integrazione tra ordinamenti – a favore di una nuova impostazione che sembra piuttosto incentrata sulla dimensione “soggettiva” del principio. Cosicché la effettività della tutela giurisdizionale viene intesa quale espressione di un diritto del singolo, modellato anche in ragione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali e dell’art. 6 e 13 CEDU (ma concepito talora in autonomia rispetto a detti parametri), suscettibile di produrre conseguenze strutturali sui mezzi di ricorso europei e nazionali proprio in funzione dell’esigenza di garantire al privato un processo “effettivo” ed “equo”. La ricerca prende le mosse dalla ricostruzione originaria del principio di tutela giurisdizionale effettiva come principio generale dell’ordinamento dell’Unione: dopo una breve premessa sulla struttura del sistema di tutela preposto a garantire la protezione dei diritti ed interessi del singolo nell'ordinamento dell'Unione europea, e sulla complementarietà, in tale sistema rimediale, dei sistemi processuali nazionali, lo studio esamina le origini e la natura del principio di tutela giurisdizionale effettiva come elaborato nelle prime pronunce della Corte di giustizia. Questa è la sede in cui vengono delineate le linee essenziali del principio nell’ordinamento dell’Unione: in particolare, il suo ambito di applicazione, la sua efficacia e la sua dimensione operativa, sia come principio di struttura del sistema di rimedi istituito dai trattati, nel suo complesso considerato, sia come parametro di valutazione della adeguatezza di quelle norme processuali nazionali che sono volte a regolare il funzionamento dei rimedi interni a disposizione del singolo che sia in qualche modo soggetto all’applicazione del diritto dell’Unione. Questa preliminare indagine si conclude esaminando, da un lato, l’atteggiarsi del legislatore rispetto al principio di tutela giurisdizionale effettiva; dall’altro, la valenza che esso assume nel contesto del diritto primario, ed in particolare alla luce del testo dell’art. 19 TUE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte. Lo studio si rivolge quindi ad illustrare, sulla base di un attento esame della giurisprudenza, la fondatezza della ricostruzione proposta. L’indagine viene svolta su terreni diversi. Il primo ambito considerato è quello dei mezzi di tutela messi a disposizione dell’individuo dall’ordinamento dell’Unione. L’analisi della giurisprudenza rivela come, in tale contesto, la modulazione della tutela giurisdizionale effettiva assuma diverse declinazioni: da strumento di protezione oggettiva dei diritti procedurali attribuiti al singolo nel suo rapporto con l’amministrazione europea; a principio espressivo delle garanzie di equità del processo europeo (ambito in cui, tuttavia, la dimensione soggettiva del principio soffre inevitabilmente dei limiti dei rimedi di tutela giurisdizionale offerti al ricorrente non privilegiato, e si esplica quindi in forma “attenuata”, con effetti solo riflessi sui sistemi di ricorso); a strumento di integrazione tra rimedi esperibili vuoi dinanzi al giudice europeo, vuoi dinanzi al giudice nazionale, nell’ottica della realizzazione di un sistema di rimedi complementari nel complesso completo e coerente; ancora, a principio guida dei rapporti tra l’ordinamento dell’Unione e l’ordinamento internazionale, che si esplica nella sua dimensione soggettiva ove il giudice europeo rinvenga la necessità di sopperire all’assenza di garanzie sul piano internazionale a favore del singolo leso da atti di matrice internazionale. Un secondo settore di indagine è quello dei rimedi ed istituti processuali che disciplinano a livello nazionale i procedimenti interessati dall’applicazione di norme di diritto dell’Unione, in grado di incidere sulle posizioni giuridiche dei singoli. In quest’ambito, dopo aver dato conto della giurisprudenza, anche recente, che concepisce il rapporto tra diritto processuale nazionale e diritto dell’Unione solo nell’ottica della autonomia procedurale e dei suoi limiti, all’esito di una critica lettura della giurisprudenza della Corte circa l’applicazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva paiono potersi individuare tre distinti orientamenti. Un primo filone comprende i casi in cui la Corte di giustizia riconosce forme di tutela all’individuo nel processo nazionale più che altro in funzione della effettività dei diritti ed interessi di cui sia titolare il singolo in virtù del diritto dell’Unione europea, per cui il principio di tutela giurisdizionale effettiva sembra assorbito, nella sostanza, dal test sui criteri limitativi della autonomia procedurale. In tale contesto, la sola giurisprudenza che pare in qualche modo discostarsi da una concezione puramente funzionale del principio di tutela effettiva si riflette in un approccio di tipo casistico della Corte di giustizia, che però pone non pochi problemi di coerenza e sistematicità quanto alle soluzioni raggiunte e la loro portata. Un secondo gruppo di casi riguarda le ipotesi in cui l’effettività della tutela giurisdizionale del singolo viene parametrata rispetto alle garanzie procedurali minime direttamente imposte dal legislatore dell’Unione, e quindi il principio di tutela giurisdizionale effettiva è concepito come uno strumento di protezione “oggettiva” delle garanzie previste dal legislatore. In tale ambito, il principio produce conseguenze riflesse sul sistema di ricorsi nazionali proprio in funzione della esigenza di garantire l’effettività delle norme processuali europee: vuoi in ragione della peculiarità di determinati settori normativi (disciplina delle procedure di appalto pubblico, procedimento di controllo sugli aiuti di Stato, regole a tutela dei consumatori); vuoi in ragione della esigenza di garantire all’interno dell’ordinamento dell’Unione il rispetto di garanzie di tutela imposte dall’esterno (settore del diritto dell’ambiente); vuoi in funzione delle particolari esigenze di tutela dei diritti attribuiti al singolo desunte dalla stessa normativa di diritto sostanziale (settore della parità di trattamento), contesto in cui già appare labile il confine tra l’effettività della tutela dei diritti e l’effettività del diritto dell’Unione. Viene infine individuato un terzo filone, in cui la Corte di giustizia pare finalmente adottare una concezione della tutela giurisdizionale nei termini di vero e proprio diritto fondamentale dell’individuo, in ragione della quale il diritto del singolo, riconosciuto dall’ordinamento dell’Unione, ad un procedimento equo ed effettivo, appare esso stesso in grado di incidere profondamente sui diritti e le posizioni processuali delle parti dinanzi al giudice nazionale. In tale contesto, la portata soggettiva del principio viene valorizzata sino ad imporsi sulle esigenze provenienti dall’ordinamento nazionale ed europeo, qualora esse non siano giustificabili alla luce del perseguimento di un obiettivo legittimo, oppure non appaiano necessarie e proporzionate rispetto al suo raggiungimento. Vengono ricondotte a tale orientamento quelle ipotesi in cui la Corte applica il principio di tutela giurisdizionale effettiva come espressione dell’esigenza, fatta propria da parte dell’Unione, di garantire il diritto del singolo ad un ricorso equo ed effettivo nel processo nazionale: sia ove tale approccio conduca a sindacare la legittimità delle eventuali esigenze nazionali addotte a giustificazione di una restrizione del diritto ad un ricorso equo ed effettivo; sia nei casi in cui tale diritto sia oggetto di un bilanciamento rispetto ad altri valori o interessi di matrice europea; o, ancora, nelle ipotesi in cui il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva si configura, propriamente, nella garanzia dell’equità del procedimento, da garantire alle parti, a prescindere dall’interesse di cui esse sono portatrici. Lo studio, alla luce dei risultati raggiunti, si conclude con una valutazione sulla consistenza dell'impostazione teorica prospettata, alla luce della giurisprudenza, soprattutto recente, della Corte di giustizia, al fine di accertare la reale dimensione del principio di tutela giurisdizionale effettiva nell’ordinamento dell’Unione e la possibilità di riaffermarlo quale diritto fondamentale dell’individuo. In tale prospettiva, sono poste a raffronto le pronunce in cui la Corte impiega ancora la “formula” dell’effettività della tutela in modo funzionale alla conformazione dei rapporti fra ordinamento europeo ed interno, oppure in senso strumentale rispetto alla coerenza del sistema di rimedi come delineato dai trattati, e quelle caratterizzate dalla diversa logica della tutela del diritto del singolo ad un ricorso equo ed effettivo nel processo, europeo o nazionale. Lo scopo è di verificare, innanzitutto, quale sia il rapporto tra le varie concezioni del principio di tutela giurisdizionale effettiva che emergono dalla giurisprudenza della Corte: ovvero, di accertare se tali prospettive coesistano, o se, invece, gli orientamenti della Corte a riguardo si pongano in reciproco contrasto. Chiarita tale questione preliminare, in cui si presupporrà una coesistenza, allo stato dell’arte, delle diverse accezioni del principio, l’intento sarà quello di far emergere la prospettiva di una torsione di questo, da strumento a garanzia della effettività e la coerenza del diritto dell’Unione a principio direttamente espressivo di un diritto fondamentale dell’individuo, da garantire in quanto tale, autonomamente, sia nel processo europeo che nel processo nazionale, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. A tal fine vengono incluse nell’indagine alcune considerazioni circa la concezione della effettività della tutela giurisdizionale come diritto fondamentale dell’individuo che si ritrova nelle stesse fonti ispiratrici del principio generale di diritto dell’Unione, nell’ottica del rapporto inverso di questo rispetto ad esse: nella specie, le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri – con particolare riguardo al caso dell’ordinamento italiano – e le pertinenti disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La portata di tali considerazioni verrà valorizzata evidenziando i profili di interazione che sottendono ai vari livelli ordinamentali, attraverso un esame di alcune interessanti pronunce della Corte costituzionale italiana e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in cui esse sono state chiamate ad applicare il diritto del singolo ad un ricorso equo ed effettivo, come concepito nell’ordinamento di riferimento, in situazioni in qualche misura coinvolgenti il diritto dell’Unione. Sulla scorta di tali valutazioni, la ricerca si conclude offrendo una ricostruzione della possibile applicazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva come diritto fondamentale all’interno dell’ordinamento dell’Unione: tale ricostruzione muove da una distinzione tra effettività ed equità del procedimento, come elemento caratterizzante la dimensione del principio nell’ordinamento dell’Unione, e intende proporre un sindacato di valutazione unitario, ispirato ai diritti fondamentali. Seguiranno infine, a conclusione del lavoro, alcune riflessioni circa la “valenza operativa” della ricostruzione proposta.5270 13263 - PublicationMetodi di tutela del contraente debole nel diritto internazionale privato comunitario(Università degli studi di Trieste, 2008-04-11)
;Marino, Silvia ;Daniele, Luigi ;Amadeo, StefanoTonolo, SaraLa tesi di dottorato ha ad oggetto un tema ormai classico nel diritto internazionale privato, ovvero la tutela del contraente debole. Tuttavia, l’approccio vuole diversificarsi. Infatti, oggetto dello studio è l’analisi dei metodi che sono utilizzati al fine di tutelare la parte debole, e non solo l’esame dei testi normativi, della giurisprudenza e delle sue ripercussioni. L’ambito della ricerca è limitato al settore della cooperazione giudiziaria comunitaria in materia civile: infatti, lo scopo è quello di verificare se i tradizionali strumenti del diritto internazionale privato classico siano stati recepiti anche in tale settore o se il diritto comunitario presenti degli aspetti di originalità. Successivamente, si vuole verificare se i metodi utilizzati siano idonei allo scopo. La tesi è composta di cinque capitoli, di cui uno introduttivo e gli altri di analisi dei metodi di coordinamento fra ordinamenti. Un capitolo introduttivo si è reso necessario in primo luogo per rilevare le specificità della cooperazione giudiziaria in materia civile rispetto al diritto internazionale privato in senso classico. Così, si vuole dar conto delle evoluzioni storiche dello specifico settore, con particolare rilievo alla sua “comunitarizzazione”, che ha portato alla trasformazione della Convenzione di Bruxelles del 1968 nel regolamento n. 44/2001 e che condurrà entro breve termine all’approvazione del regolamento “Roma I”, sostitutivo della Convenzione di Roma del 1980. Proprio in quest’ottica si vuole notare come diversi problemi tipici del diritto internazionale privato non si pongano a livello comunitario. Ci si riferisce, in particolare, al problema della qualificazione, che trova una soluzione univoca grazie alle competenze pregiudiziali attribuite alla Corte di giustizia, perdendo così, in questo settore, interesse le discussioni dottrinali e le diverse soluzioni giurisprudenziali circa le modalità di risoluzione della questione. Inoltre, sempre nel capitolo introduttivo, ci si chiederà cosa debba intendersi per tutela della parte contrattuale debole nel sistema internazionalprivatistico. Si prendono in esame due diverse possibilità, discusse dalla dottrina: la prima, secondo la quale deve essere garantita l’applicazione della legge sostanzialmente più favorevole possibile al contraente debole; la seconda, che ritiene che solo debbano essere assicurate delle garanzie minime, in particolare quelle previste dalle legge di residenza abituale del consumatore, in quanto legge da questi meglio conosciuta. Dopo una breve discussione, si motiva la scelta, che ricade su quest’ultima concezione. I quattro capitoli centrali sono dedicati all’analisi dei metodi di conflitto, quindi il primo al metodo classico, il secondo al rinvio all’ordinamento competente, il terzo alle norme di conflitto a finalità materiale, il quarto all’autonomia nella scelta del foro e della legge applicabile. Ogni capitolo si inizia con un’indagine, anche di carattere storico, sulle caratteristiche principali dei singoli metodi e le loro peculiarità; quindi, nel limitato ambito del rapporto contrattuale, si verifica se il diritto comunitario ne sia tributario, se abbia solamente recepito il metodo tradizionale o abbia apportato degli elementi di novità; in ogni caso, si verifica se le scelte compiute in sede comunitaria possano effettivamente garantire una tutela sufficientemente significativa alla parte debole. La dottrina italiana ha distinto un ulteriore metodo di diritto internazionale privato, il cd. jurisdictional approach. Come osservato anche nel corso del lavoro, non si è scientemente proposta un’analisi di questo metodo, perché non è parso utilizzato nel diritto internazionale privato comunitario in materia contrattuale. Pertanto, un suo esame avrebbe avuto una valenza meramente teorica, senza alcun fondamento normativo nel nostro ambito di ricerca. Accanto all’esame dei singoli metodi, alcuni strumenti e istituti tipici del diritto internazionale privato vengono presi in esame. Tipico è il caso del rinvio, la cui analisi assume un particolare rilievo proprio nel capitolo terzo allo scopo di verificare se possa essere ammesso un rinvio in favorem. Il problema, certo, non si pone nel campo di applicazione della Convenzione di Roma, che esclude l’operatività del rinvio, ma diventa interessante per quanto attiene il contratto di assicurazione, dal momento che le direttive sui servizi assicurativi non contengono una disciplina completa di diritto internazionale privato e non forniscono alcuna soluzione al problema. Inoltre, una particolare attenzione è prestata a tre strumenti classici, che possono essere utilizzati e che sono in effetti stati utilizzati al fine di tutelare una delle parti del rapporto, ovvero le norme di applicazione necessaria, le disposizioni imperative e l’ordine pubblico. Delineata la loro nozione nel primo capitolo, successivamente si verifica il loro ruolo all’interno dei diversi metodi. Così, si noterà che essi risultano indispensabili nel metodo classico, che, essendo caratterizzato dall’astrattezza, non prende in considerazione il contenuto sostanziale della legge applicabile, potendo lasciare la parte debole sprovvista di ogni tutela. Un’analoga conclusione può essere raggiunta per quanto attiene il metodo del rinvio all’ordinamento competente – con alcune peculiarità per quanto riguarda l’applicazione dei principi di ordine pubblico dell’ordinamento competente nello Stato del foro - ; questi limiti all’applicazione del diritto straniero, pur non essendo meno rilevanti, trovano una diversa giustificazione qualora la legge applicabile e il giudice competente siano stati scelti dalle parti: in tal caso, infatti, si tratta di tutelare la parte debole contro pressioni derivanti dall’altro contraente e dovute dal disequilibrio del potere negoziale dei due. All’opposto, quando la norma di conflitto ha carattere materiale, l’ordine pubblico pare avere invero scarsa rilevanza e il ruolo delle norme di applicazione necessaria e le disposizioni imperative è modesto, proprio perché la legge applicabile già risponde alle esigenze minime di tutela della parte debole richieste dalla lex fori. Un ulteriore aspetto di particolare interesse è relativo alla tendenziale coincidenza fra forum e ius. L’ultima parte del terzo capitolo è dedicata a questo problema; dopo un esame delle disposizioni rilevanti, si verifica se già questa coincidenza sia idonea a tutelare la parte contrattuale debole – fornendosi una risposta positiva e illustrandone le ragioni. Inoltre, proprio questa coincidenza può comportare delle soluzioni peculiari quanto al rilievo delle norme di applicazione necessaria della lex fori, appunto perché avente anche il ruolo di lex causae. Ogni capitolo presenta una conclusione parziale, che illustra gli elementi di continuità e di novità del diritto comunitario rispetto al diritto internazionale privato classico. Inoltre, si verifica se tali soluzioni siano effettivamente idonee a garantire una tutela minima alla parte contrattuale debole. Lo scopo è quello di rilevare, soprattutto, l’originalità di certe scelte del sistema di cooperazione giudiziaria in materia civile. .Questo elemento è messo in particolare rilievo nelle Conclusioni. In primo luogo si vuole mettere in luce come la cooperazione giudiziaria in materia civile parta da basi molto diverse rispetto ai sistemi convenzionali di diritto internazionale privato. Infatti, nel diritto comunitario è richiesto un coordinamento fra ordinamenti molto più forte, che non si limita ad alcuni contatti estemporanei ed occasionali. Anche nell’elaborazione di un sistema comune di diritto internazionale privato e processuale deve tenersi conto delle finalità essenziali del diritto comunitario – il funzionamento del mercato interno e lo sviluppo della libera circolazione intracomunitaria. La cooperazione giudiziaria non può prescindere da questi aspetti. Pertanto, anche la tutela della parte contrattuale debole deve essere contemperata con altre esigenze, quelle della produzione, e soprattutto la Convenzione di Roma costituisce un esempio della ricerca di questo difficile bilanciamento. In secondo luogo, tornando, conclusivamente, ai metodi di coordinamento e a riflessioni sottostanti a tutto il lavoro, si vuole notare come la struttura degli articoli 5, par. 3 e 6, par. 2 della Convenzione di Roma paia quella maggiormente idonea ad assicurare la tutela della parte debole, almeno nel senso che si è inteso nel nostro lavoro. Si sottolineano i vantaggi di chiarezza e di certezza del diritto che una tale soluzione consente – caratteristiche che rendono la contrattazione internazionale più sicura e interessante anche per l’altra parte; la semplicità dell’accertamento giudiziale circa la legge applicabile; la più facile conoscibilità dei diritti della parte debole. Inoltre, in queste ipotesi è modesto il rilievo delle norme di applicazione necessaria, delle disposizioni imperative e dell’ordine pubblico, a meno che non sia richiamata la legge di uno Stato non comunitario, elemento che risalta ancora la semplicità e l’idoneità di una tale soluzione e che distingue profondamente questo metodo dalla scelta di legge applicabile che, in molte ipotesi, ha bisogno almeno del correttivo delle disposizioni imperative. La tendenziale semplicità nell’applicazione di queste norme risulta, infine, rafforzata dal coordinamento che si è effettuato fra la Convenzione di Roma – e il prossimo regolamento “Roma I” - e il reg. n. 44/2001, il quale consente, in molteplici casi, l’applicazione da parte del giudice della lex fori. L’immediatezza di una tale soluzione alle problematiche del conflitto di leggi e di competenza giurisdizionale garantisce una tutela minima alla parte debole e, contemporaneamente, assicura una sufficiente certezza del diritto alla controparte, operatore economico.4198 6835 - PublicationLo status dei cittadini di paesi terzi legalmente residenti nel territorio dell'Unione nel quadro della direttiva 2003/109/CE(Università degli studi di Trieste, 2009-04-24)
;Ricchiari, MarcoAmadeo, StefanoAll’indomani della sua adozione, la direttiva n. 2003/109/CE si proponeva di essere lo strumento attraverso il quale l’Unione intendeva dar corso al mandato ricevuto dal Consiglio europeo di Tampere, garantendo ai cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri una serie di diritti uniformi il più possibile simili a quelli di cui beneficiano i cittadini comunitari. Nonostante la Direttiva si inserisca in un contesto normativo fortemente frammentato, dove non esistono regole comuni applicabili indistintamente agli stranieri legalmente residenti nel territorio di uno degli Stati membri, essa, ad ogni modo, contribuisce a superare, sebbene solo parzialmente, le divisioni esistenti. Limitato il campo di applicazione ratione personae ai soli stranieri che possono dimostrare, sulla base della durata del periodo di soggiorno, un legame durevole con lo Stato ospitante, la Direttiva favorisce la loro integrazione assicurandogli la parità di trattamento in alcuni settori della vita economica e sociale, esclusi i diritti politici e il diritto alla cittadinanza. Rimane, in ogni caso, ferma la possibilità per le autorità nazionali sia di rendere più gravoso il godimento dei diritti comunque riconosciuti sia di estendere la portata del divieto di discriminazione, assicurando allo straniero il medesimo trattamento riservato ai propri cittadini in settori non espressamente contemplati dalla Direttiva. Nonostante occorra ancora tenere distinta l’immigrazione dei cittadini di paesi terzi nel territorio dell’Unione, che riguarda il loro primo ingresso nello spazio comunitario, dalla migrazione successiva verso un altro Stato membro all’interno della Comunità, che incide, invece, sulla loro possibilità di circolarvi e soggiornarvi, la Direttiva introduce una deroga al principio che vuole ciascuno Stato responsabile di decidere dell’ammissione dello straniero sul proprio territorio. Le disposizioni del Capo III, infatti, regolano il diritto del residente di lungo periodo di soggiornare in uno Stato membro diverso da quello che gli ha attribuito lo status. Pur allineandosi a quanto previsto dalla Convenzione Schengen per gli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno di lunga durata, la Direttiva se ne discosta poiché il residente di lungo periodo acquisisce il diritto di soggiornare in un altro paese membro solamente se soddisfa le condizioni prescritte dalla stessa Direttiva e non, invece, quelle imposte dal diritto interno dello Stato richiesto. È certo, comunque, che l’impatto che la Direttiva avrà sulla condizione giuridica degli stranieri dipenderà dall’approccio interpretativo scelto dalle autorità statali al momento della sua trasposizione nei singoli ordinamenti nazionali e, principalmente, dall’uso che esse faranno del margine di discrezionalità che talune disposizioni riservano loro. Occorrerà, a ogni buon conto, attendere le prime pronunce della Corte di giustizia per verificare se, e in che misura, il provvedimento adottato, garantendo agli immigrati condizioni di vita e di lavoro comparabili a quelle di chi ha la nazionalità di uno degli Stati membri, contribuisce ad evitare, o quantomeno a ridurre, l’esclusione sociale di coloro che sono riusciti ad integrarsi e a dare un importante apporto allo sviluppo economico e sociale dei paesi ospitanti.1248 1616