Browsing by Author "Mascherini, Marcello"
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- PublicationAnello degli ArgonautiMascherini, MarcelloPer la città di Trieste il completamento del corpo centrale dell’Università per mano di Umberto Nordio e Vittorio Frandoli ha nel dopoguerra una valenza particolare: l’edificio doveva infatti interpretare “la necessità che la cultura italiana di Trieste avesse una palese affermazione ai confini della patria, incorporandosi in un’opera che dominasse per mole e proporzioni tutto il panorama, che si ergesse quale pilone d’ingresso della città sulla via proveniente dal confine” (FAGNONI, NORDIO 1950, p. 5). Per la decorazione del soffitto dell’aula Magna Nordio sceglierà un lavoro di Marcello Mascherini pensato per il soffitto della veranda di prima classe della ristrutturata nave Conte Biancamano, oggi ricomposta al Museo della Scienza e della tecnica di Milano, il grande anello in gesso che raccontava con una sequenza di bassorilievi il mito di Giasone. Narrando del viaggio degli Argonauti lo scultore faceva emergere “il sentimento della separazione e dell’incertezza sul proprio destino, che trova nel mito di fondazione dei propri territori una possibile origine comune tra popoli diversi, capace di unire invece che dividere. Ma nell’ultimo episodio […] Giasone muore schiacciato dalla carena della sua stessa nave mentre dormiva, conferendo all’opera un ulteriore significato simbolico. Può Trieste evitare di rimanere travolta dalla storia? Può Trieste trovare una catarsi nel sacrificio dei suoi territori per ritornare all’Italia? Il Biancamano risorto dalle ceneri della guerra, come una nuova Argo in viaggio per impadronirsi del Vello d’oro, parte per la conquista dell’italianità della città giuliana” (M. Mucci, Architettura e ricostruzione nel periodo del Governo Militare Alleato, in La città delle forme architettura e arti applicate a Trieste 1945-1957, catalogo della mostra di Trieste a cura di S. Caputo, M. Masau Dan, Trieste 2004, p. 121). Significati che giocoforza tornavano amplificati anche nel secondo esemplare della gigantesca opera, destinato appunto a quella sede universitaria che si ergeva ora a difesa di un patrimonio culturale minacciato dopo essere stata concepita nell’anteguerra come sprezzante bandiera di un malinteso senso di italianità (M. De Sabbata, Università, in Trieste 1918-1954 guida all’architettura, a cura di P. Nicoloso, F. Rovello, Trieste, Mgs Press, 2005, pp. 227-234). Al di là di ogni lettura ‘politica’ del rilievo, l’Anello degli Argonauti costituisce un episodio importante nel percorso stilistico di Mascherini: “a partire da esso l’artista si orienta verso quella sintesi puristica dei corpi che caratterizzerà la sua produzione degli anni cinquanta. Gli arti allungati, tenderanno ad assottigliarsi alle estremità, piedi e mani appariranno sottodimensionati, in un processo di consapevole allontanamento dalla pesante eredità stilistica novecentista […] La tipologia così particolare dell’opera (un rilievo circolare sospeso al muro, visto dal basso, con una spiccata vocazione narrativa) ne ha certamente condizionato lo stile. Ma un ruolo non meno importante per le peculiari scelte di sintesi formale lo ebbero i modelli iconografici che Mascherini fece suoi” (Pezzetta 2007, p. 182). Si trattava in primis del Picasso di Guernica, e quindi, vista la tematica affrontata, una vasta gamma di fonti archeologiche già messe puntualmente in luce da Emanuela Pezzetta, tutti materiali che risultarono preziosi per lo sviluppo del linguaggio dell’artista, che proprio negli anni cinquanta conobbe il suo momento migliore.
294 125 - PublicationArcangelo Messagero(1962)Mascherini, MarcelloScultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).Scultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).Scultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).Scultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).Scultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).Scultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).
146 81 - PublicationDedalo e Icaro(1964)Mascherini, MarcelloScultura a soggetto sacro ma collocata a guardia di un luogo laico per eccellenza come il Centro Internazionale di Fisica Teorica, è il colossale Arcangelo Messaggero del 1962, con il quale Mascherini aveva nel gennaio 1974 vinto un concorso bandito dal prestigioso istituto triestino volto all’acquisizione di significative opere d’arte (Appella 2004, p. 197). ‘Difficile’ e complesso, il bronzo aveva fatto parte di quel lotto di immagini, “scabre e petrose […] simboli inquietanti del pietrificarsi della più esaltata vitalità” presentate alla sala personale allestita alla XXXI Biennale veneziana del 1962 (Salvini 1962, p. 58). A differenza del ben più leggibile Arcangelo Gabriele, che lo precede di solo un anno, sin dalla sua apparizione colpiva nell’opera in esame lo slancio sfarfallante e l’iconografia bizzarra, con “l’avveniristica51 testa di antenne esposta sull’ala, ma il suo essere d’albero, di fusto, seguito nei suoi incavi, nei suoi aggetti e persino nei suoi mancamenti, è forse uno degli esempi più didascalicamente vittoriosi tra materia e significato, fra il cercare, il trovare, e lo scegliere e l’aggiungere per modellato, propri nel dominio dell’autore” (Gatto 1969, p. 32). Si trattava di uno dei documenti visivi più importanti dell’inizio di una stagione del tutto nuova per lo scultore triestino: “Di là dal rinnovamento formale, di là dalla novità del tono poetico, rimane ferma l’esigenza profonda di Mascherini di proiettare la realtà sullo schermo del mito: il mito, adesso, della forza primigenia della natura” (Salvini 1962, p. 59); una forza che l’artista cercherà sul campo, calcando con la plastilina le tormentate superfici delle rocce carsiche esposte al vento: “nelle mie opere ricalco le materie vere, dominate da me non casualmente e nelle quali imprigiono la mia volontà […] il modellato non è più espressione di eroismo, di grazie e di bellezza, bensì ricerca, angoscia, per la quale metto nella mia opera un senso drammatico. In particolare l’opera comprende in sé tutti i dubbi di cui è permeata la nostra attualità” (intervista del settembre 1968 in Appella 2004, p. 184).
209 105 - PublicationFigura femminileMascherini, MarcelloSoffocato dalla vegetazione cresciuta nel frattempo – di cui si auspica quantomeno la potatura – è il colossale gruppo di Dedalo e Icaro, pensato per essere collocato addossato a un pilastro all’estremo angolo destro del complesso edilizio di piazzale Valmaura 9, inaugurato nel 1964 come sede di un istituto di formazione professionale e oggi sede di un polo didattico dell’Università degli Studi di Trieste. Giudicabile solo da foto d’epoca, il grande bronzo pare sostanzialmente estraneo alla problematica fase ‘carsica’ di inizio decennio, e proprio per questo più adatto a una destinazione di questo tipo, essenzialmente decorativa. Qui l’artista sembra recuperare la dimensione narrativa tipica delle opere migliori del decennio precedente, smussando appena la spigolosità neocubista delle opere dei primi anni cinquanta in favore di un modellato più ampio e disteso, ripercorrendo in parte, sviluppandoli sulle tre dimensioni, temi e snodi figurali sperimentati nel grande cantiere dell’Anello degli Argonauti.
155 76 - PublicationMinerva(1956)Mascherini, MarcelloIl disegno è giunto nelle collezioni dell’ateneo in occasione dell’Esposizione nazionale di pittura italiana contemporanea, allestita nell’Aula Magna dell’ateneo nel 1953. In quel frangente la commissione organizzatrice, viste le difficoltà organizzative che l’esposizione di opere plastiche poteva portare, aveva stabilito di richiedere agli scultori prove di grafica. Mascherini, come pochi altri colleghi, aderirà entusiasticamente alla proposta del Rettore presentando questa semplice tavola realizzata a tratto e senza chiaroscuro, che dal punto di vista compositivo si presenta perfettamente allineata ai ritmi e alle cadenze compositive delle sue migliori opere scultoree di quegli anni: anche se ripresa in controparte, la fanciulla tratteggiata nel disegno è infatti pressoché identica alla Saffo realizzata in bronzo l’anno precedente; una scultura, quest’ultima (cfr. A. Panzetta, Marcello Mascherini scultore (1906-1983). Catalogo generale dell’opera plastica, Torino, Allemandi, 1998, p. 247, n. 366), cui l’artista aveva dato grande importanza, visto che la presenterà alla personale parigina del 1953, alla Biennale di Anversa dello stesso anno e a quella di Venezia dell’anno successivo, oltre che in altre occasioni. In un momento per lui particolarmente felice sul piano compositivo, lo scultore ripropone così, in una dinamica quasi seriale, una sua meditazione sulla figura femminile drappeggiata: un tema che lo affascinerà lungo tutti gli anni cinquanta.
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