Browsing by Author "Polidori, Fabio"
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- PublicationL'a-priori economico. Per una fenomenologia dello stato del debito(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Giugliano, DarioPolidori, FabioIl pensiero germinale, che ha dato vita a tutto il resto delle riflessioni per la definizione dell’ambito della ricerca e della relativa stesura della tesi, ha riguardato la coincidenza di significazioni interne al termine «sostanza». Nelle principali lingue europee (spagnolo, francese, inglese, tedesco), infatti, oltre che in italiano, il termine «sostanza», che deriva dal latino substantia, nelle sia pur minime variazioni sul piano del significante (rispettivamente, sustancia, substance, substance, Substanz), mantiene pressoché una costante significazione, ma, soprattutto, in ognuna delle lingue citate prima, questo termine mostra la stessa oscillazione di significati tra due poli: quello che rinvia al concetto di materia ovvero essenza; quello che rinvia al concetto di avere o bene di tipo economico. Questi due concetti si trovano, per così dire, intrecciati all’interno della riflessione filosofica sull’economia ovvero, più specificamente, sul concetto di valore monetario e di scambio commerciale. Partendo da uno spunto ricavato da un fondamentale trattato medioevale sull’essenza della moneta, il De moneta di Nicola Oresme, siamo passati a determinare quella concezione propria al vescovo di Lisieux della moneta come merce – concezione quest’ultima che farà sentire l’eco della sua influenza fino alle soglie della cosiddetta scuola classica, se pensiamo, per esempio, che ancora l’Abate Galiani citerà Nicola Oresme come una fonte solida delle sue riflessioni, per non dire del fondamentale contributo in questo senso dato da Rudolf Hilferding. Per sostenere questo spunto di riflessione con una base storica, abbiamo pensato di affrontare questa questione proprio a partire dal pensiero greco classico, appoggiandoci agli studi di George Thomson, il quale partì dall’idea che dovesse esistere un legame diretto tra la formazione dei concetti di essere (to on), essenza e sostanza (ousia) e la creazione della moneta ovvero la creazione del concetto di forma astratta di merce, come puro mezzo di scambio, che essa introdusse nella vita quotidiana della Grecia antica. A questo punto definiti gli ambiti, siamo passati alla stesura vera e propria della tesi, che risulta divisa in due parti, una prima a carattere storico (se un simile aggettivo può mai essere utilizzato per una rilettura critica di alcuni intrecci concettuali, così come sono andati sviluppandosi e annodandosi lungo il corso dei secoli, in area mediterranea) e una seconda, nella quale si avanzano delle ipotesi teoriche. La prima parte, prendendo avvio dalle acquisizioni proprie alla riflessione moderna della cosa-denaro (Adam Smith e Kant), tenta un percorso a ritroso verso quell’origine costitutiva del concetto di economico come possibilità dello scambio e relativa dialettica tra valore d’uso e valore di scambio, appunto. Qui, questione etica e ontologica si incrociano, contribuendo a una determinazione dello spazio politico come flusso polemico. Ma, soprattutto, a emergere è una curiosa tensione al differimento ovvero ancora alla determinazione di quel medesimo spazio politico come intersoggettività, il cui ordine di equilibrio si posizionerà tra i versanti dell’alienazione (come dislocamento) e della mediazione. Comincia, a questo punto, già a emergere l’istanza costitutiva del debito, come processo eminentemente temporale ovvero di confronto tra la soggettività e la possibilità di una sua modificazione rispetto all’altro (impegno, promessa, ipotesi). La seconda parte si apre con una lettura del saggio di Friedman «La metodologia dell’economia positiva» del 1953, in cui l’economista di Chicago si confronta con le linee guida dell’epistemologia cosiddetta post-positivistica. La scelta di partire, per un inquadramento delle idee epistemologiche di base della scienza economica contemporanea, da un famosissimo saggio di Friedman non è stata, ovviamente, dettata esclusivamente da ragioni di carattere teorico in senso stretto. Milton Friedman, per tanti versi, costituisce ancora oggi il riferimento obbligato per una certa curvatura nella gestione delle cosiddette politiche economiche liberiste, con tutto quello che «precede» a queste sul piano di un’elaborazione di tipo teorico (nel senso di etico-normativo, stando ancora a una terminologia di tipo positivistico). L’analisi del saggio di Friedman in realtà ha come scopo quello di circoscrivere ulteriormente l’argomento della ricerca intorno alla sua questione centrale: la determinazione dell’astrazione pura come dinamica interna dell’economico in generale. Da questo punto di vista, un contributo notevole per l’impulso teorico di questo nostra ricerca è venuto dagli scritti di Alfred Sohn-Rethel, a cui non ci si potrà non riconoscere debitori – come pure, andrà riconosciuto un debito considerevole nei confronti delle riflessioni di J. Derrida, presenti, in particolare, nel saggio Donare il tempo – la moneta falsa, alle quali, a una lettura attenta, ogni riga di questa tesi mostrerà un debito di ascendenza. Il nucleo teorico centrale di questa seconda parte potrà essere individuato intorno alla figura dell’ocularità come possibilità stessa del rispecchiamento riflessivo ovvero, ancora, come condizione del rilevamento in quanto azione indiretta. L’indagine storico-archeologica di Clarisse Herrenschmidt sulle origini della scrittura son state utili per consentire un più facile tentativo di riverbero di questa individuazione teorica sulle acquisizioni critiche della prima parte. Emerge, infine, con maggiore consapevolezza una già accennata omologia tra pratica (teorica) della scrittura e pratica della coniazione/scambio come possibilità di accesso alla condizione (di una visione) dell’invisibile/astratto.1174 1408 - PublicationAn Interview with Slavoj Zizek(EUT Edizioni Università di Trieste, 2000)Polidori, FabioSlavoj Zizek is a fifty year old Slovenian philosopher and psychoanalist working in both Lubiana and the United States. He has been renowned and widely read abroad for years. His first Italian translation appeared in 1999 (Il grande altro, Milan, Feltrinelli). At the end of the same year L’isterico sublime. Psicoanalisi e idealismo tedesco (Milan, SA/TUROS Edizioni) was published: this is a sort of psychoanalitic reading of the notion of subject, as it is investigated in Hegel’s works. Zizek has also published some essays in "aut aut" (nn.293-294 e 296-297). An attentive observer of mass social phenomena, of the political dimension and the mechanisms of power (from the Balcan conflicts to Hitchcock movies), Zizek investigates his subjects using both the traditional philosophical methods and the psychoanalitic approach, notably Lacan’s. In this interview, conducted by Fabio Polidori, we asked him to speak of his researches in the context of the present situation.
1601 1361 - PublicationUn cavo teso(EUT Edizioni Università di Trieste, 2016-02-24)Polidori, FabioThis text analyses the continuity/discontinuity which distinguishes the relationship between the human and any other living being, intended both as non-human animality and that ineliminabile component of the human itself. An analysis of the role and the function of language – a symbolic function which determines the difference between the human and any non-”speaking” living being and which breaks or invalidates any evolutionist continuism – elucidates the condition of radical and absolute responsibility of the human towards any other living being
661 580 - PublicationDAL PESSIMISMO AL NICHILISMO: GENEALOGIA DEL PROBLEMA FONDAMENTALE NEL PENSIERO DI FRIEDRICH NIETZSCHE(Università degli studi di Trieste, 2014-04-11)
;Iaquinta, MassimoPolidori, FabioLa prima parte della tesi pone l'attenzione su un aspetto spesso trascurato nelle interpretazioni della filosofia di Nietzsche, ossia la centralità nel suo pensiero del tema del pessimismo; egli infatti si confronta con la filosofia pessimistica di Schopenhauer e dei suoi seguaci che occupa la scena filosofico-culturale nella Germania della seconda metà dell'Ottocento. All'interno di questo confronto, Nietzsche conduce una critica serata verso i fondamenti del pessimismo schopenhaueriano e hartmanniano in particolare sotto il profilo eudemonologico e morale. Ho messo in evidenza come pur essendo l'incontro con la filosofia di Schopenhauer fondamentale per Nietzsche, egli tuttavia sin dall'inizio tende a un sempre più marcato distacco dal filosofo di Danzica per cercare di raggiungere una completa autonomia e realizzare una propria originalità di pensiero. Questo distacco avviene attraverso tappe fondamentali che corrispondono alle opere nietzscheane più importanti. Ho mostrato che lo scritto d'esordio Die Geburt der Tragödie è ancora pienamente inserito nell'orizzonte della metafisica schopenhaueriana, intriso del suo pessimismo, nonché del romanticismo wagneriano; analizzando quindi approfonditamente il testo dell'opera ho evidenziato che i temi e il linguaggio presenti non possono che portare a caratterizzarla nel suo complesso come romantica, sebbene essa contenga anche spunti che invece preludono agli sviluppi successivi della speculazione matura di Nietzsche. Solo con l'opera Also sprach Zarathustra Nietzsche realizza il superamento di queste posizioni iniziali, cioè l'impostazione metafisica essenzialmente riconducibile a quella schopenhaueriana e il romanticismo latente, dando quindi corpo a una forma originale di pessimismo denominato "dionisiaco". Questo mette in essere una serie di risposte alternative a quelle della filosofia schopenhaueriana e dell'estetica wagneriana. Per comprendere meglio la particolarità del pessimismo dionisiaco ho analizzato le influenze che ricorrono nell’interpretazione della grecità di Nietzsche e che risultano essere il terreno fertile sul quale è cresciuto, appunto, il concetto di dionisiaco. Come per altri temi ho mostrato che Nietzsche si confronta con le posizioni del Neoclassicismo di Weimar, principalmente con Goethe e Schiller, con quelle del Romanticismo di Novalis e dei fratelli Schlegel, ma anche con autori non riconducibili a una determinata corrente come Pascal, Hamann, Herder, Hölderlin e Burckhardt. Il tema del limite applicato alla conoscenza porta in primo piano il pessimismo gnoseologico che è solo il punto di partenza per l'analisi nietzscheana che passa per lo smascheramento delle istanze metafisiche contenute nelle forme concettuali e linguistiche che vorrebbero dar ragione del divenire, e arriva alla completa destrutturazione delle stesse; da questa consegue, infine, la teorizzazione strumentale del prospettivismo nietzscheano. Ho altresì cercato di mostrare come il confronto con il pessimismo sia essenziale all'interno dell'economia del pensiero di Nietzsche, in quanto solo in seguito alla sua risoluzione egli arriva alla comprensione del problema fondamentale: il nichilismo. La seconda parte della tesi, quindi, mette in evidenza come Nietzsche, realizzato il pessimismo dionisiaco, inizi a occuparsi direttamente del problema che è alla base di ogni visione pessimistica, cioè quello dell'insensatezza dell'esistenza. Del nichilismo propongo una lettura che rispetta l'impostazione che lo stesso Nietzsche assegna al problema; il nichilismo, infatti, non è riconducibile nell'orizzonte ontoteologico e neppure esistenziale, bensì esso trova la sua ragione come problema assiologico-culturale. Il nichilismo, infatti, è il prodotto di una cultura storicamente determinata che consegue, a sua volta, da una precisa interpretazione morale, quella platonico-cristiana. Anzi, il nichilismo è il risultato ultimo proprio di tale morale storica che trae le sue estreme conseguenze . La morte di Dio rappresenta l'apice di questo nichilismo che è stato presagito da Pascal; il pensatore francese, infatti, intuisce le conseguenze tragiche sul piano esistenziale delle scoperte scientifiche del suo tempo che dissolvono l'ordine cosmologico medievale e conseguentemente anche quello morale. Egli è un "anticipatore" del problema del nichilismo, ma anche vittima del risvolto psicologico dello stesso che lo spinge tra le braccia mortali del cristianesimo. La filosofia tedesca, invece, con in testa Kant e l'Idealismo, mette in atto un lotta estrema per contrastare l'avvento del nichilismo. Questa lotta non poteva, però, che avere come risultato di acuire il problema stesso. Per questo i filosofi tedeschi sono, secondo Nietzsche, solo dei "ritardatori" di quella corsa verso il nulla che è inscritta nel destino storico dell'Europa. Nietzsche, invece, ritiene che la cosa migliore da fare sia favorire un'accelerazione del processo di dissolvimento per arrivare a superare definitivamente l'interpretazione platonico-cristiana e aprire l'orizzonte a nuove possibilità di senso e di pensiero totalmente sconosciute. É necessario comunque mantenersi su quella "giusta via" tracciata da primo Illuminismo che significa rimanere fedeli agli esiti estremi che risultano dall'educazione morale alla verità. Essi sono primariamente: l'antiumanesimo e l'ateismo.2994 14097 - PublicationDall'analitica all'estetica. Metafora e metodo fenomenologico come alternativa alla svolta linguistica(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Razza, ClaudiaPolidori, Fabio«L’indagine (Besinnung) filosofica deve rinunciare alla “filosofia del linguaggio” e dedicare la sua attenzione alle “cose stesse”». A riproporre così il noto monito husserliano è Heidegger, la cui firma compare a capo di una Gesamtausgabe che registra l’espressione definitiva («letzter Hand») di un pensiero di prima mano, rivolto direttamente all’essere, da parte di un Dasein che sembra essersi rivelato all’altezza del compito. Se tuttavia Heidegger abbia vinto la wittgensteiniana «battaglia contro l’incantamento dell’intelletto», o non si sia piuttosto lasciato guidare dalla grazia indicativa del suo linguaggio, è questione controversa. Per le posizioni che come unica alternativa all’idealismo metafisico ammettono il «nominalismo metodologico» e adottano fino in fondo un atteggiamento «analitico», capace di rinunciare ad ogni sintesi realista e di confinare la filosofia nella «critica del linguaggio», l’«impegno ontologico» di Heidegger rispedisce la sua opera all’interno della metafisica più recalcitrante. Ma quella dell’analisi logico-sintattica è l’unica alternativa possibile? L’ipotesi di partenza della dissertazione è che la trattazione della metafora da parte di alcuni esponenti sia della tradizione analitica sia in particolare di quella fenomenologica si configura come un luogo particolarmente fecondo in cui cercare una risposta alla suddetta domanda. L’obiettivo di fondo è rivolto a tracciare una distinzione tra le posizioni che privilegiano il linguaggio, ritenendo secondari tutti gli altri piani ad esso connessi, e quelle che invece ne sottolineano la subalternità, approfondendo l’indagine delle condizioni non linguistiche che lo rendono possibile, prima fra tutte l’istanza gnoseologica. Sulla base delle considerazioni che sulla questione hanno sviluppato alcuni autori qui scelti in maniera mirata da un ventaglio ampio che spazia dalla «svolta linguistica» della filosofia analitica alla svolta estetica della filosofia fenomenologica, il tema della metafora si configura in prima istanza come criterio spartiacque: mentre le posizioni nominalistiche tendono a escluderla dal proprio oggetto di studio, le posizioni realiste ne reclamano il valore conoscitivo. Ma via via che l’indagine avanza, la posizione assunta da ciascun autore in relazione all’elemento metaforico va costituendo uno strumento anche più sottile come criterio di discrimine. La metafora si rivela infatti una figura dirimente, consentendo un’interpretazione della posizione di chi la affronta spesso divergente da quella solita o prevalsa. Se, come afferma Black, per le vie della grammatica non si giunge alla metafisica, appare ormai invece diffusamente assodato che la via per l’ontologia non possa fare a meno di includere la metafora. Evitando tuttavia di insistere sulle strade battute, nella scelta di un percorso diverso sia da una raccolta storiografica delle teorie sulla metafora, sia da un’analisi linguistica delle metafore filosofiche, sia finanche da un’ermeneutica storico-metaforologica alla maniera di Blumenberg, e distinta pure da un approfondimento delle teorie che tra fenomenologia e analitica hanno cercato in generale da entrambi i lati un contatto, la ricerca in questione consiste in una tematizzazione/teorizzazione della metafora come strumento dell’indagine fenomenologica, il che ne comporta, fin dall’inizio, la riconduzione al terreno ontologico-gnoseologico. Lo sguardo è rivolto quindi alla metafora come cosa stessa, nell’orizzonte di una riflessione che, su quel filo conduttore (la metafora) e nell’adozione dell’atteggiamento fenomenologico, impiegati ad ampio raggio e applicati su più piani, pone e sbroglia ogni punto attinente: dalla questione del rinvio del linguaggio alla conoscenza (dal significato al senso), a quella del rapporto tra sfera categoriale e dimensione aisthetica (precategoriale), dalla metafora come ponte tra approccio analitico e filosofia continentale, all’approfondimento del divario tra quella che Rorty ha chiamato «svolta linguistica» e un’altra svolta, quella estetico-trascendentale comportata dalla fenomenologia fin da Husserl, la quale si rivela non solo opposta per direzione, ma al tempo stesso come una possibile alternativa. Dinanzi a una «filosofia linguistica» che oltre a ridurre la filosofia al linguaggio finisce con l’operare come una pragmatica elusiva, si afferma la priorità teoretica dell’approccio sintetico: tale è la forza del metodo fenomenologico, a garanzia di una riduzione (doppia, prima trascendentale e poi anche eidetica) che non è né riduttiva (bensì appunto riconduttiva). Questa è la conclusione più generale a cui porta questa ricerca, che nel suo nucleo più stretto risiede in una lettura del modulo intenzionale in termini metaforologici (noein come metapherein) e che approda a un concetto che di fatto propone: quello di estetica fondamentale. Le riflessioni logico-analitiche che concentrano l’attenzione sul linguaggio ne presuppongono e anzi assumono come necessaria la letteralità; sono dunque costrette a considerare la metafora come un’anomalia. Compreso come fenomeno pluristratificato, il linguaggio si scopre invece sostenuto da una tensione fondamentale, nella quale se il significato letterale è funzionale alla comunicazione, il senso metaforico lo è alla funzione descrittivo-indicativa. Così dunque, o si decide, scientificamente (formalmente), di escludere la metafora dal campo del linguaggio regolare (oggettivato), ma accettando le conseguenze antifilosofiche di tale delimitazione, o la si include rigorosamente nell’indagine, ma ciò richiede allora un abbandono del formalismo analitico e un’apertura verso l’indagine della rappresentazione in un senso non banalmente corrispondentistico. Dal momento che il viraggio pragmatistico anziché risolvere il problema sembra acuirlo, l’alternativa si gioca tra l’analisi linguistica come approccio statico-oggettivo, che purifica il linguaggio dall’intuizione (ma così facendo lo polverizza), e l’analisi fenomenologica come comprensione genetica che, assumendo l’essenziale non purezza della dimensione simbolica, rinvia, per la sua piena comprensione, alla soggettività trascendentale. L’affermazione della metafora come chiave di accesso alla dimensione sintetica, in cui sembra essere racchiusa la garanzia di un approccio filosofico anche al linguaggio, consente di rivendicare il valore – e l’attualità – della concezione fenomenologica del rapporto tra intenzione ed espressione come prospettiva alternativa dinanzi a quelle teorie che, anche apparendo eterogenee, ricadono invece sotto l’egida della «svolta linguistica», sia perché vi si iscrivono esplicitamente, sia in quanto, a partire dalla posizione assunta in relazione al tema della metafora, finiscono per rientrarvi seppure magari soltanto in maniera implicita. Non trattandosi meramente di ribadire il valore del linguaggio poetico per la filosofia, la ricerca segue un cammino che sposta l’attenzione dal terreno linguistico a quello del fondamento intenzionale della sfera espressiva, in cui la metafora acquisisce il ruolo di figura operativa a livello gnoseologico e, sul filo di un nesso fenomenologico-metaforologico che mette l’io in primo piano, a partire da Husserl (e ancor prima, fin dalla svolta soggettiva cartesiana e dall’affermazione kantiana dell’estetica come base soggettivo-trascendentale, da cui la psicologia trascendentale husserliana prende rincorsa), giunge a Heidegger e all’ermeneutica gadameriana, collocando quindi a margine di tale alveo sia ovviamente le posizioni neopositivistiche da cui la visione fenomenologica esplicitamente si distingue e rispetto alle quali per differenza si va definendo, sia posizioni anche ritenute vicine alla fenomenologia, rispetto alle quali la linea fenomenologica si va chiarendo, in virtù della considerazione del tema della metafora, in maniera più sottile. Risultato della ricerca, oltre a quello di uno scollamento della metafora dall’ambito linguistico, è una diversa interpretazione che, nell’ottica della considerazione della metafora come figura del metodo gnoseologico e come chiave di lettura, può essere a sua volta applicata anche in parte alla filosofia husserliana. In un percorso che va dalla metafora come problema alla metafora come risposta, dalla filosofia analitica all’estetica fenomenologica, e dall’analitica all’estetica anche nel senso trascendentale, in uno «zurück zu Kant» che viene accennato non da neokantiani, bensì da fenomenologi, per affermare la priorità trascendentale (e infine fondamentale) della dimensione aisthetica (in un senso baumgarteniano), il testo è suddiviso in due parti. La prima delle quali – preceduta da un’introduzione complessiva che inquadra l’argomento, anticipa obiettivi, modalità di sviluppo e indirizzo teoretico degli approfondimenti successivi – è concepita come pars destruens e si concentra sulla concezione analitico-linguistica di Davidson. La seconda parte, costruttiva, raccoglie e lega i contributi utili alla composizione di una fenomenologia della metafora, ed è seguita da una conclusione che, illustrando il concetto di estetica fondamentale a cui lo sviluppo è approdato, propone tra l’altro un’interpretazione delle considerazioni di Heidegger sulla metafora in chiave ontologico-esistenziale anziché poetico-linguistica.1924 3186 - PublicationEconomie del desiderio. Legge e desiderio nella psicoanalisi freudiana dopo Lacan. Riflessioni a partire da G.B.Contri, J. Derrida e M. Foucault(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Furlanetto, ClaudiaPolidori, FabioLa tesi presenta la questione del desiderio in psicoanalisi nella sua imprescindibile relazione alla legge. Del desiderio vengono indagati i nessi con il tema della pulsione e del feticismo in Freud, e con quello dell'oggetto a in Lacan. L'interrogazione aperta da questi temi, raccolta sotto il titolo di “diseconomia dell'oggetto”, verrà raccolta e osservata attraverso il concetto operativo di imputabilità, introdotto in psicoanalisi da Giacomo Contri, dopo averlo mutuato dalla filosofia giuridica di Hans Kelsen. Il tema dell'imputabilità consente di collegare le problematiche e le domande emerse ad alcune prospettive della ricerca foucaultiana (come la parresia, o coraggio della verità) e derridiana (come il tema del giudizio - «jugement à nouveau frais»). Nel bilancio finale della ricerca verranno raccolti gli esiti di questo complesso e ampio confronto: la possibilità di pensare secondo diverse prospettive al desiderio e al rapporto del soggetto con l'altro.1700 4927 - PublicationEtica senza origine(EUT Edizioni Università di Trieste, 2009)Polidori, FabioThis text tries to interrogate the possibility of bringing the ethical dimension within the origin and the thought of being, starting from some of Heidegger’s observations on ethics. Although he uses the expression “originary ethics”, it is necessary to verify to which extent ethics, meant as the field of human conduct or human acts, can or must be found within the space of foundation or even if it can be founded in a ground which pre-exists it. In this sense, a comparison between ethics and technique is here offered in order to show how to think on the essence of the latter, meant as man’s originary opening-up to the world, is radically removed from thinking on ethics meant as a necessary obligation for self-government which man, in the instability and uncertainty of his condition, simply cannot do without.
1014 542 - PublicationLotte per il riconoscimento e politiche dell'identità nella filosofia politica contemporanea(Università degli studi di Trieste, 2011-04-27)
;Greblo, EdoardoPolidori, FabioSino a tempi recenti, la correzione delle diseguaglianze ascrivibili a un’ingiusta distribuzione della ricchezza e delle risorse ha rappresentato la preoccupazione normativa condivisa dalle principali teorie della giustizia sociale. Attualmente, l’attenzione dei filosofi politici sembra rivolgersi a un nuovo di tipo di rivendicazioni, così diffuse da avere occupato una parte sempre più ampia dello spazio pubblico: le “politiche dell’identità”. Il riconoscimento di identità collettive a livello pubblico, che dipende dal modo in cui le stesse minoranze hanno ridefinito che cosa significhi essere una minoranza, appare come un “bene” sociale che merita stima e apprezzamento da parte della società nel suo complesso. L’idea che ispira questo lavoro cerca però di dimostrare come non debba essere il carattere distintivo dell’appartenenza identitaria a giustificare le rivendicazioni di riconoscimento, ma come siano piuttosto le rivendicazioni di giustizia ed inclusione a poter (eventualmente) legittimare forme di trattamento differenziato dei gruppi identitari.1376 4395 - PublicationL’altro che forse sono. Tra umano e animale(EUT Edizioni Università di Trieste, 2014)Polidori, FabioThe question of the human in its relations with the animal and, in general, with the living being is focused through a reading of some of Martin Heidegger works and through the reading of Jacques Derrida. Some allegations that the latter turns to Heidegger seem somewhat out of place. In fact, the basic positions of the German philosopher on the question of the animal in relation to the human seem to allow the possibility of a response, in terms of a responsibility on the part of the human, just by virtue of the absolute essential distance that he stresses between man and living being. The paper try to show the need for a response to the other, in that dimension of otherness which hardly one might approach or even assimilate, as some recent reflections seem to hope and expect.
844 3716 - PublicationPer una filosofia dell’esercizio: soggetto, tecnica e ascesi nel pensiero di Peter Sloterdijk(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Lucci, AntonioPolidori, FabioIl nostro lavoro di tesi è incentrato sulla figura del filosofo tedesco Peter Sloterdijk (Kalrsruhe, 1946), e mira a una ricostruzione del suo pensiero relativamente al tema del “soggetto”, inteso sia come soggetto individuale che come soggetto collettivo, sociale. I sei capitoli di cui il lavoro si compone, dunque, si presentano come una ricostruzione del percorso filosofico sloterdijkiano che porta dalle teorizzazioni sulla costituzione della soggettività singola (in particolare a livello antropogenetico) a quelle sul soggetto collettivo, mostrando sia l’evoluzione del portato dell’autore a livello diacronico, sia in costante confronto con alcuni suoi referenti teorici espliciti. In particolare abbiamo dedicato il capitolo I alla ricostruzione della genealogia sloterdijkiana del soggetto, così come viene esposta dall’Autore nel suo testo Sphären I. In questo capitolo abbiamo cercato di mostrare come il soggetto, nella teoria sloterdijkiana, abbia delle esperienze strutturanti fin dalle sue primigenie fasi prenatali (dunque nel periodo della gestazione). Secondo Sloterdijk ancor prima di nascere il soggetto in fieri (chiamato dall’Autore noggetto, per indicare la sua irriducibilità ai campi sia della soggettività che dell’oggettualità) prova delle esperienze che pre-condizioneranno tutta la sua vita cosciente: l’inclusione nel corpo della madre condivisa con la placenta (che per Sloterdijk è un vero e proprio doppio del soggetto che si sta formando, e che è all’origine di ogni apertura all’alterità), la sospensione nel medium amniotico, i frammenti di comunicazione con la madre. Dopo aver descritto queste esperienze, le fonti da cui Sloterdijk trae queste teorizzazioni, e la portata delle medesime nell’opera dell’autore, abbiamo individuato nel concetto sloterdijkiano di transfert il punto a partire da cui è possibile comprendere come, dalle analisi sul soggetto singolo, Sloterdijk possa passare a quelle sul soggetto collettivo. Abbiamo dunque dedicato il capitolo II all’analisi di questo concetto, che per Sloterdijk rappresenta la tendenza propriamente umana a voler edificare spazi inclusivi che ripetano l’inclusione originaria nella madre. L’analisi del concetto di transfert, di origine psicoanalitica, ci ha permesso di introdurre il tema del problematico rapporto di Sloterdijk con la psicoanalisi, con i suoi autori di riferimento e con i concetti da essa introdotti, di cui il transfert può essere preso ad esempio paradigmatico. Abbiamo di seguito dedicato il capitolo III al tema della tecnica, elemento centrale del pensiero sloterdijkiano. In particolare abbiamo analizzato le tesi dell’Autore sul tema al fine di spiegare il passaggio dai singoli soggetti ai soggetti collettivi. In questo stesso capitolo abbiamo operato due confronti: il primo tra Sloterdijk e Martin Heidegger al fine di comprendere quali prossimità e quali distanze intercorrano tra i due autori sul problema della tecnica, il secondo tra Sloterdijk e Jürgen Habermas al fine di ripercorrere una polemica risalente al 1999 intercorsa tra i due proprio relativamente ai temi della tecnica. Le acquisizioni teoriche di questo capitolo saranno fondamentali per il prosieguo del lavoro, esponendo esse le varie accezioni del termine tecnica nell’impianto di pensiero sloterdijkiano: allotecnica (la tecnica come rottura rispetto al dato naturale e trasformazione impositiva del medesimo), omeotecnica (tecnica come possibilità di “cooperare con le nature”, ossia di attuare procedimenti tecnici che seguano lo stesso modus agendi della natura: dall’agricoltura all’allevamento, fino alle biotecnologie), antropotecnica (divisa in “primaria” e “secondaria”: le antropotecniche primarie sono tutte quelle tecniche, che vanno dalla pedagogia alla politica, che mirano alla plasmazione di un certo “ideale” di uomo; le antropotecniche secondarie sono quelle tecniche che, tramite l’ingegneria genetica, potrebbero permettere una selezione dei caratteri biologici dell’umanità). Nel capitolo IV abbiamo operato il passaggio dall’analisi del pensiero sloterdijkiano precedente al 2009 a quello dischiuso in questa data da Du mußt dein Leben ändern, quella che riteniamo essere un’opera di rottura dell’Autore rispetto alla sua produzione precedente. In questo capitolo abbiamo ritrovato i prodromi delle analisi espresse in quest’opera in alcuni testi precedenti (incentrati sulla filosofia e l’antropologia della religione) e abbiamo esposto la nostra tesi per cui la concezione di antropotecnica espressa da Sloterdijk nel 2009 sia radicalmente diversa da quelle precedenti, a tal punto da meritare l’appellativo di “antropotecnica terziaria”. Il capitolo V è stato dedicato all’esposizione della filosofia sloterdijkiana del “soggetto collettivo”, letta attraverso la categorie antropotecniche maturate nel capitolo precedente. In questo capitolo si sono anche analizzate alcune problematiche riscontrabili nella filosofia “sociale” di Sloterdijk e le si sono argomentate, individuando una tendenza implicita nell’opera dell’Autore, orientata verso il solipsismo soggettivistico, pur muovendo dichiaratamente nella direzione opposta di un allargamento delle antropotecniche “terziarie” ai collettivi umani. Nel capitolo VI abbiamo cercato di trarre le conclusioni di questa tendenza “soggettivistica” riscontrabile nell’opera dello Sloterdijk successivo al 2009, cercando di evidenziarne sia la portata innovativa che i limiti. Il capitolo VI nelle nostre intenzioni agisce da conclusione effettiva del lavoro di tesi, riportando le nostre considerazioni finali sul percorso sloterdijkiano ricostruito, sempre teso tra soggettività singola e soggettività “sociale”, percorso che finisce invece per schiacciarsi sulla proposta di una soggettività singola, forte, anche oltre le intenzioni sloterdijkiane. Nelle Conclusioni del nostro lavoro abbiamo invece proposto un confronto tra Sloterdijk e alcuni pensatori della contemporaneità (Michel Foucault, Arnold Gehlen, Thomas Macho, Giorgio Agamben). Tale confronto, nelle nostre intenzioni, rappresenta una proposta interpretativa del lavoro di Sloterdijk successivo al 2009 alla luce del concetto di ascesi. Mantenendo come focus questo tema abbiamo operato dei confronti tra autori a cui Sloterdijk esplicitamente si rifà (come Michel Foucault o Thomas Macho) o che, più implicitamente (come Arnold Gehlen e Giorgio Agamben), vengono chiamati in causa dalle argomentazioni dell’Autore. Nelle nostre intenzioni queste conclusioni rappresentano la traccia per un lavoro di ricerca futuro che prenda le mosse dal pensiero sloterdijkiano e che si ampli nel confronto con altri filosofi contemporanei che si sono concentrati sul tema dell’ascesi.1805 4860 - PublicationSiamo sempre sott’occhio(EUT Edizioni Università di Trieste, 2019)Polidori, FabioWithin the field of living beings, the human and the non-human coincide and diverge. This is why both hard sciences and philosophy run into issues when they attempt to draw a dividing line between human living beings and non-human living beings. Therefore philosophy should thematize and focus upon the notion of alterity as radical separatedness which could be intended as the essence of living being themselves.Within the field of living beings, the human and the non-human coincide and diverge. This is why both hard sciences and philosophy run into issues when they attempt to draw a dividing line between human living beings and non-human living beings. Therefore philosophy should thematize and focus upon the notion of alterity as radical separatedness which could be intended as the essence of living being themselves.
224 211 - PublicationSocrate analista(EUT Edizioni Università di Trieste, 1999)Polidori, FabioThe article is devoted to a critical analysis of Lacan’s interpretation of Socrates’s philosophical figure. According to Lacan, in Plato’s writings Socrates plays a role similar to that of a therapist. If so, this role brings to the fore a dimension of philosophical discourse that usually stays in the background: the dimension of desire and its relations both to the subject and to the truth. If it is impossible to rule out desire and its relations from philosophical and dialogical practice, then absolutistic claims concerning the search for truth fail.
1331 864 - PublicationTecnica del disvelamento(EUT Edizioni Università di Trieste, 2012)Polidori, FabioStarting from some of P. Sloterdijk’s remarks about technique, which he considers a positive agent of cooperation and democracy, and keeping in mind the definition given by M. Heidegger, who declares that “technique is a way of revealing”, this paper tackles the issue of technique and its “instrumental” character in relation with the “subject”, as separated and divided from the “subject” itself. But technique should be thought more radically, in order to detect between “technique” and “subject” not only an instrumental relation, but also a constitutive one, which goes beyond any optimistic or pessimistic purpose.
1428 1827 - PublicationLe verità di Foucault(EUT Edizioni Università di Trieste, 2005)Polidori, FabioThe paper examines the problem of the relation between subject and truth in Michel Foucault, with special reference to his 1981-2 course at the Collège de France. Here Foucault argues that the connection between truth and knowledge is relatively recent in the history of the relation between subject and truth and Descartes’ s cogito plays an emblematic role in it. The author then argues against Foucault the importance of the Cartesian stance about truth.
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