Browsing by Author "Sambo, Edgardo"
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- PublicationLaguna di Grado(1953)Sambo, EdgardoIl dipinto si configura come un unicum nella produzione di Sambo. Dal punto di vista stilistico, infatti, l’opera può essere messa a confronto con i primi lavori dell’artista che, dopo aver appreso i rudimenti della pittura presso Giovanni Zangrando, approfondì la propria preparazione attraverso viaggi di studio a Venezia, Vienna e Monaco di Baviera. Nel seguente periodo romano, reso possibile dalla vittoria della borsa di studio Rittmeyer, il postimpressionismo e le eleganze decorative tipicamente secessioniste con cui era finora entrato in contatto lasciarono spazio al libero dispiegarsi di colori avulsi dalla realtà e contrastanti, resi ancor più innaturali da un uso spregiudicato della luce. I risultati di questo sperimentalismo condussero alle positive affermazioni di Sambo nell’ambito della Prima e Terza Esposizione della Secessione romana (1913, 1915) attraverso opere come Macchie di sole (Cataldi 1999, cat. n. 38, p. 52) presentato anche all’Esposizione Internazionale per l’apertura del Canale di Panama del 1914. Sebbene dal punto di vista cromatico il dipinto manifesti un’evidente tangenza con Foro romano, realizzata attorno al 1913 e caratterizzata dall’adozione delle medesime tonalità di violetto (ivi, cat. 42, p. 55) dal punto di vista del soggetto trattato e dell’anno della sua esecuzione l’opera deve essere messa in relazione con le marine realizzate negli anni Quaranta. Benché in tali opere la composizione risulti palesemente più pacata e influenzata dal neocubismo (cui l’artista si avvicina negli ultimi anni della propria attività) in esse si possono ravvisare delle sparute citazioni di cromie che con la loro brillantezza finiscono per movimentare la stasi dominante. Se in Marina (1938; ivi, cat. 122, p. 92) Sambo sembra voler sperimentare l’effetto provocato dai tocchi di pennello “a mosaico” che adopererà in maniera consistente nella Laguna di Grado, più timidi filamenti di colore verde e azzurro percorrono la superficie d’acqua posta in primo piano in Punta S. Salvatore (1940 circa; ivi, cat. n. 128, p. 97). L’artista triestino approfondirà l’atmosfera silente e la calma quasi palpabile che connotano queste opere in quello che è l’ultimo paesaggio del suo catalogo, Paesaggio carnico, realizzato nel 1950 e pervaso da un senso di quiete amplificata dalla solidità dei volumi che lo compongono (ivi, cat. n. 209, p. 136). Presentato alla personale ospitata nella Sala comunale d’arte di Trieste fra il dicembre del 1953 e il gennaio seguente, Laguna di Grado non si può dunque semplicisticamente intendere come un nostalgico revival di tendenze del passato ma piuttosto come un loro originale e attuale ripensamento svolto gradatamente a partire dalla fine degli anni Trenta. Il pointillisme cui si appellano i tocchi blu e gialli disseminati nel paesaggio marino non vanno infatti a costruire delle forme precise ma si giustappongono sovrapponendosi a un fondale precostituito e di per sé piuttosto uniforme allo scopo di irradiarlo di punti luce con esplicita funzione decorativa. Unico oggetto chiaramente definito, la barca alla deriva viene precisata da pennellate rapide e spesse che, in modo quasi infantile, ne descrivono solo gli elementi di spicco maggiore (lo scafo, la vela) lasciando in una confusa indeterminatezza gli altri dettagli. Rispetto alla contemporanea produzione di Sambo il dipinto si configura come una sorta di divagazione da un percorso che, sin dalla fine degli anni Venti, aveva portato l’artista triestino a una personale riflessione sulle problematiche compositive di Novecento e del gruppo di Valori Plastici, condividendone le tensioni verso un’arte orientata alla semplificazione e a una meditata osservazione del reale. Le composizioni dai toni ribassati e modellate secondo una sintesi che avevano avvicinato Sambo a soluzione neocubiste (visibili già in Espropriazione per pubblica sicurezza, del 1934; cfr. ivi, cat. 115, p. 87) vengono dunque momentaneamente abbandonate per un ritorno di fiamma dell’artista verso i fuochi d’artificio cromatici della sua prima produzione.
207 324 - PublicationVenus(1950)Sambo, EdgardoPresentato all’Esposizione Nazionale di Pittura Italiana Contemporanea dell’Università di Trieste, il dipinto venne acquistato per la cifra di centomila lire nonostante gli elenchi dattiloscritti stilati nei giorni precedenti l’apertura della mostra ne segnalassero un valore di quattro volte superiore. Tale disparità di cifre non sfuggì al Rettore Ambrosino che, nel marzo del 1954, si affrettò a inviare una lettera a Sambo per pregarlo di «accettare il sacrificio che le chiedo considerando che la Sua opera sarà conservata da un’istituzione universitaria che ha vita secolare» (Lettera di Rodolfo Ambrosino a Edgardo Sambo, 11 marzo 1954). Nonostante l’esito del concorso indetto a margine dell’esposizione fosse andato a favore di opere stilisticamente molto diverse, Venus non era certo passata inosservata, vuoi per il fatto di uscire dal pennello di uno dei maggiori pittori triestini del secolo, vuoi per il fascino esercitato dal suo essere «pensosa e suggestiva» (Tranquilli, 6 dicembre 1953). Il dipinto può essere considerato il punto di arrivo della pittura di Sambo e, a un tempo, la perfetta summa dei suoi interessi: da un lato il culto della figura, nutrito sin dagli anni della formazione presso Zangrando e proseguito nella fitta schiera di ritratti che hanno costellato la sua produzione, dall’altro l’interesse per il mondo antico, inaugurato nel periodo romano del pensionato Rittmeyer e rafforzatosi negli anni Venti come conseguenza del contatto con Novecento e il gruppo di Valori Plastici. Le immagini di un tempo remoto e ormai in decadenza vengono utilizzate dall’artista triestino per puntellare ulteriormente l’idea di una pittura che è riflessione sui valori del presente, in crisi al pari dei monumenti (e degli ideali) su cui poggiava la grandezza del passato. Venus propone dunque un serrato e immediato confronto fra epoche lontane e principi estetici diversi: nonostante la figura in primo piano e la Venere di Milo sullo sfondo condividano le medesime rotondità e pudori, la femminilità provocante incarnata dalla giovane non è più quella di una divinità distaccata dai rumori del mondo ma piuttosto quella di una soda lavoratrice pronta ad affrontare la vita con tutte le problematiche della contemporaneità. Se dal punto di vista tematico il dipinto presenta evidenti affinità con I tre modelli, risalente al 1929 (Cataldi, 1999, cat. n. 89, p. 75), il motivo del ripiegamento interiore e il desiderio di rappresentare la condizione sociale del secondo dopoguerra che qui si possono percepire si riverberano in opere cronologicamente più prossime come Giovane operaio (ivi, cat. n. 229, p. 147), vicino al dipinto in esame anche sotto il profilo stilistico. Per accentuare l’approfondirsi dell’atteggiamento introspettivo comune all’intera sua produzione, negli anni cinquanta Sambo chiude le figure all’interno di spesse linee di contorno scure, quasi a voler sottolineare l’isolamento dell’uomo moderno e il suo bisogno/necessità di ripiegarsi su se stesso per non lasciarsi scalfire dagli eventi esterni. Questa soluzione compositiva, peraltro, si configura come un’evoluzione dell’attenzione alla plasticità delle forme che, pur percorrendo tutta la produzione dell’artista, si rafforza a seguito della citata vicinanza ai movimenti neoclassici che si affermano dal primo dopoguerra e del più recente neocubismo. Recuperando tonalità solari e una luce capace di creare marcate zone d’ombra, Sambo crea un’opera in cui vengono ribadite le qualità della sua arte, costantemente volta alla ricerca di semplicità compositiva, robustezza della figure, di un modo di procedere sintetico e del legame con la tradizione. Al tempo stesso, tuttavia, questi stessi sono i principi che, essendo perseguiti dalle più moderne correnti pittoriche, pongono Sambo a stretto contatto con il panorama artistico a lui contemporaneo confermandolo artista che, come ha voluto simboleggiare in Venus, tiene nella medesima considerazione passato e presente.
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