Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
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- PublicationSAPERE STORICO E ESPANSIONE COLONIALE FRANCESE NEL XVIII SECOLO(Università degli studi di Trieste, 2007-04-12)
;Platania, Marco ;Abbattista, Guido ;Abbattista, GuidoThomson, AnnCette recherche se propose d’étudier la façon dont ce regard critique sur l’expansion européenne dans le monde s’est exprimé sous forme d’un savoir historique portant à la fois sur les dynamiques du phénomène colonial et sur leurs rapports à la puissance de la nation. Il ne s’agit donc pas ici d’analyser l’expansion européenne d’un point de vue économique, ni juridique, ni sociologique ou politique ; il ne s’agit pas non plus de proposer une historiographie au sens classique du terme : le but est plutôt d’étudier la construction d’un savoir – le savoir historique – dans le contexte des dynamiques caractérisant l’expansion européenne dans le monde, et d’examiner la façon dont ce savoir s’est exprimé sur ces dynamiques d’expansion elles-mêmes et sur les problèmes qu’elles posaient pour la puissance de la nation.1585 3034 - PublicationAPPLICAZIONI DI PIANIFICAZIONE AMBIENTALE PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DEL PAESAGGIO AGRARIO IN UN' AREA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA(2007-05-24T09:37:08Z)
;BONESSI, MICAELAROSSIT, CLAUDIOLe politiche agrarie adottate a partire dalle bonifiche degli anni ’20 del secolo scorso e dalle grandi opere di irrigazione, passando dal fenomeno della “demontanizzazione”, fino alla grande estensione della monocoltura, hanno modificato il paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Oggi l’agricoltura progredita è sorgente di numerosi impatti sull’ambiente e conduce ad una sua banalizzazione, semplificazione e all’impoverimento delle strutture ecologiche (Genghini, 2004). Essa, infatti, ha eliminato il tessuto connettivo-naturalistico di siepi, prati e boschetti che un tempo delimitavano i confini dei campi. I paesaggi agricoli tradizionali, erano, infatti, sicuramente meno produttivi dal punto di vista economico rispetto a quelli agrari industrializzati, ma possedevano le caratteristiche strutturali per evitare l’isolamento delle aree ad alta naturalità diffusa (Regione Emilia-Romagna, 2001). A tutto ciò, si unisce la progressiva perdita di suolo a favore di espansioni urbane di tipo residenziale e produttivo, che si sono sviluppate nel tempo in maniera irrazionale e repentina. È chiaro che il conflitto disciplinare non rende affatto le cose semplici: la ricerca di interessi economici immediati continua a sostenere uno sfruttamento intensivo della natura e del territorio. In pianura il diffondersi della monocoltura è sicuramente più proficuo, ma alla lunga porterà alla scomparsa di tutti i biotopi ed alla riduzione della biodiversità. Si avverte, pertanto, crescente la necessità di affrontare in maniera concreta e costruttiva uno dei più importanti problemi dell’epoca attuale, cioè il ripristino delle condizioni di vita dell’uomo e del suo rapporto con l’ambiente (Viola, 1988). La qualità del paesaggio agricolo-ambientale è da ritenersi la parte che meglio esprime lo “stato di salute” di un territorio e può divenire indicatore ambientale dei suoi cambiamenti. Spesso il paesaggio agrario è foriero di naturalità di per se stesso; in realtà si tratta di una parvenza di naturalità, andata persa con la semplificazione strutturale delle coltivazioni, sempre più monoculturali e sovrasfruttate. La preoccupazione concerne soprattutto i rischi di progressiva riduzione, frammentazione ed insularizzazione degli habitat naturali, assediati da un ambiente circostante reso sempre più ostile. Per fronteggiare tali rischi, si è sottolineata la necessità di politiche coordinate a livello europeo, volte alla costituzione di una vera e propria infrastruttura di stabilizzazione a grande scala (Gambino, 1997). I sistemi di tutela e vincolo messi in atto in questo ultimo decennio nel settore agro-ambientale, non sono serviti a bloccare lo sfruttamento delle aree libere, che continuano ad essere oggetto di interessi speculativi. Sebbene in questi ultimi anni si stia assistendo ad una ricostruzione ambientale con il concorso di contributi ed incentivi economici a livello europeo (Reg. CEE 2080/92, Piani di Sviluppo Rurale, fondi di vario tipo, ecc.), il timore è che questo fenomeno si riveli pressoché fittizio e sostituibile tramite altri incentivi economici più vantaggiosi, non appena se ne presenti l’occasione. Le forme di tutela ambientale attuate nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, come nel resto d’Italia, sono sempre meno gestibili se rapportate all’uso sregolato del territorio. Certamente anche la pianificazione territoriale di ogni livello non ha saputo prevedere scenari insostenibili annunciati. Anzi, spesso l’applicazione rigida di norme e la loro scarsa elasticità, ha indotto ed ancora induce chi usa il territorio a livello locale, a modificare o convertire le proprie attività frustrando potenziali sviluppi eco-sostenibili. Tuttavia esiste un metodo per ovviare tutto ciò. Gli agroecosistemi possono essere organizzati in modo da condurre ad una “infrastrutturazione” ecologica del territorio e ad una riduzione degli apporti inquinanti alla rete idrografica (Genghini, 2004). Tra le politiche di sistema per il miglioramento della qualità territoriale ed ambientale, infatti, è fondamentale la realizzazione di una Rete Ecologica Europea, così come prevista dall’Unione Europea secondo il progetto Natura 2000. L’organizzazione del territorio si espleta, quindi, non solo sulla base dei processi ecologici operanti a scala locale, ma in accordo con gli obiettivi di conservazione e di sviluppo a livello di grandi sistemi ambientali (Romano, 2000). Le politiche individuali, o “per isole di eccellenza”, adeguarsi a risolvere alla scala più opportuna e con le necessarie complementarietà e sinergie, i problemi più comuni (Cavallera, 2002). La soluzione più corretta è quella di fronteggiare i problemi attuali con politiche di sistema allargate all’intero territorio. Le aree protette sono i luoghi privilegiati, i nuclei di un sistema che, per assicurare risultati certi, devono prendere in considerazione il territorio circostante, le zone limitrofe e i corridoi di collegamento tra i centri: l’intero sistema può essere comunemente definito rete ecologica, e attraverso le interazioni tra le varie parti, assicurerà l’equilibrio complessivo e il funzionamento anche degli ecosistemi più complessi (Tutino, 2002). Si tratta di realizzare una simbiosi tra la rete insediativa ed infrastrutturale del territorio ed una Rete Ecologica efficiente, da ricostruire sulla base di finalità polivalenti. Da un’analisi di tutte le componenti territoriali in gioco e attraverso l’esame di aree di interesse ambientale e dei vincoli che esse impongono, delle peculiarità delle stesse e delle normative di attuazione vigenti, si può tentare una progettazione ambientale utilizzando sistemi di connessione ecologica, tesi a ricostruire un paesaggio agrario che va pian piano scomparendo. La finalità del lavoro che viene proposto sta nel dimostrare come attraverso un oculato uso del territorio, sia possibile proporre una progettazione territoriale naturalistica innovativa, che metta insieme le esigenze di tutti i settori interessati, incidendo positivamente nella redazione e approvazione degli strumenti urbanistici locali. Quindi una pianificazione urbanistica sostenibile nei fatti che, senza imporre regole, contribuisca a modificare il modo di pensare il territorio. Il punto di partenza per un’attenta analisi parte proprio da questa considerazione: come fare per mantenere un elevato indice di diversità biologica, senza sottrarre il territorio all’uso della comunità ivi “localizzata”, indicando così l’uso più corretto dei contenuti e dei caratteri che svolgono un ruolo importante per lo sviluppo socio-economico della popolazione. In sostituzione alla vecchia concezione di tutela, basata su una rigida conservazione a scopi prevalentemente scientifici, il problema della protezione delle aree di interesse ambientale assume una più organica visione come mezzo di elevazione socio-economica e culturale della popolazione interessata. Per attuare questa nuova concezione, vi è bisogno di una tutela che si estrinsechi, più che con una strumentazione a carattere vincolistico, con una sistematica azione di tipo propositivo (AA. VV., 1986). Le azioni di salvaguardia dovranno essere rivolte non solo alla tutela delle componenti naturali in senso stretto, ma anche a quelle antropiche. In questo senso la corretta tutela di un territorio deve significare non l’esclusione di quelle attività umane che hanno contribuito a creare o caratterizzare l’attuale situazione di equilibrio ecologico, ma anzi all’opposto la loro protezione, quando queste fossero riconosciute utili al mantenimento di determinate caratteristiche ambientali (AA. VV., 1986). S’intende evidenziare, quindi, accuratamente della situazione esistente e si cercherà un’alternativa che sia il meno possibile interferente con le attività produttive: la popolazione non deve sentire gli interventi come un impedimento, ma entrare in collaborazione con gli enti e le figure preposte alla gestione ambientale. Le analisi che si andranno a descrivere non sarebbero state possibili senza la preziosa collaborazione del Servizio Tutela Ambienti Naturali, Fauna e Corpo Forestale Regionale - Direzione Centrale Risorse Agricole, Naturali, Forestali e Montagna della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Il suddetto servizio, nelle persone dell’arch. Massimo Rollo e del geom. Daniele Bini, ha fornito non solo le basi dati utilizzate per tutte le elaborazioni effettuate e per le cartografie prodotte, ma anche l’ausilio e le competenze richieste da tematiche molto specifiche ed i riferimenti puntuali per i sopralluoghi programmati nell’area d’indagine. La sollecitazione per effettuare alcune analisi si è concretizzata grazie a questa diretta collaborazione ed il lavoro è stato seguito con continuità e con interesse partecipativo. L’intenzione iniziale era quella di far partire la ricerca dalla pianificazione faunistico-venatoria, con il presupposto di ampliarla e collegarla a tematiche europee di protezione più lungimiranti e che potessero essere uno strumento per la corretta organizzazione territoriale e lo sviluppo sostenibile. Il lavoro si basa su un territorio campione che, dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, è condizionato pesantemente dalle attività agricole, che interessano la gran parte del terreno disponibile. I comuni selezionati si collocano in un’area geografica a cavallo della linea delle risorgive in un’area condizionata dalla presenza della laguna, del carso goriziano. L’area oggetto di studio è stata selezionata, inoltre, in base all’immediata vicinanza con il confine della Slovenia, che condiziona l’intero territorio preso in esame, nonché per la presenza del confine provinciale tra Udine e Gorizia, che attraversa l’intero distretto. In situazioni analoghe, come nel caso esemplare della Provincia Autonoma di Bolzano, le organizzazioni territoriali vanno ben al di là della fascia confinaria, comprendendo macroaree di influenza. In una tale situazione è ancora più difficile prevedere scenari di sostenibilità globale. Il territorio, inoltre, è sottoposto ad una continua evoluzione ed è quindi importante che l’azione di tutela non porti a “congelare” la situazione attuale, ma ad evidenziare e guidare le modificazioni che contribuiscono al raggiungimento di successive condizioni di equilibrio fra le varie componenti delle aree protette. La tendenza è quella di non restringere il campo della tutela ai soli beni ambientali, ma di identificare l’azione di difesa nell’opera più generale di pianificazione del territorio campione (AA. VV., 1986). L’intenzione di focalizzare il lavoro su tre livelli di scala differenti intende dunque perseguire questo obiettivo: penetrare nel territorio campione circoscrivendolo solo successivamente con un’analisi dettagliata dell’intorno. In questo modo la protezione dell’ambiente non conosce barriere, come del resto non dovrà averne in sede di pianificazione della Rete Ecologica, che sarà volutamente prolungata oltre i confini dell’area campione. La prima parte, di carattere generale, riporta un’analisi di ampio respiro sui sistemi territoriali del Friuli Venezia Giulia. Dopo una sintesi della componente infrastrutturale (mobilità, insediamenti, produttivo), si passa alla descrizione delle tutele, con particolare riguardo alle aree protette ed all’attività venatoria. A conclusione viene descritto inoltre l’argomento di trattazione, vale a dire la Rete Ecologica ed i sistemi di connessione ambientale, con le loro definizioni ed il quadro normativo di riferimento. La seconda parte entra nel dettaglio del progetto a partire dall’inquadramento territoriale del distretto venatorio 15 – Pianura Isontina. Il territorio in questione viene definito con le sue peculiarità, le aree protette, le prescrizioni dei Piani Regolatori Generali Comunali (PRGC) e vengono presentati anche un uso del suolo a fini faunistici e lo strato dell’improduttivo derivato dalle analisi effettuate nella prima parte. Si comincia a delineare in maniera molto precisa la situazione territoriale interessata. Attraverso questa metodologia si tende ad avere una buona base di scelta per l’area di applicazione del progetto, che si colloca nella parte settentrionale del distretto 15, quasi totalmente a settentrione della linea delle risorgive. La vera e propria fase progettuale parte dallo studio della situazione vegetazionale degli elementi residuali nei seminativi della zona. Si sono assemblati i boschi definiti dai PRGC, i Pioppeti della carta dell’uso del suolo ed i boschi individuati tramite interpretazione visiva dell’ortofoto 2003. Già da questa prima elaborazione è possibile rendersi conto dei punti di forza ad alta naturalità e delle zone ad alto rischio di frammentazione. Sulla base di queste prime indicazioni si è proceduto con la realizzazione di una carta delle direttrici e delle interruzioni, che stabilisce passaggi e barriere per la fauna selvatica. La ricerca prevede come conclusione un intervento di ricostruzione ambientale nell’area campione: vengono, infatti, descritte le tipologie di miglioramenti ambientali adeguati al caso di studio, e si sono forniti alcuni esempi di come andrebbero applicate le indicazioni su casi particolari. Un problema rilevante che si pone nella gestione di tali risorse è quello della selezione degli interventi da proporre all'attenzione degli operatori agricoli. Considerate le limitate risorse a disposizione, infatti, non è pensabile intervenire con la stessa intensità ed efficacia sull’intero territorio. Risulta perciò necessario individuare le aree più valide o più adatte all'applicazione di queste misure, in modo da raggiungere livelli di sovvenzioni soddisfacenti per gli agricoltori e significativi dal punto di vista ambientale. L’obiettivo della ricerca è dunque da ricondurre a due aspetti distinti: individuazione, e poi conservazione e ripristino, di una continuità ambientale del territorio, e le modalità di gestione e di orientamento di tale struttura all’interno dell’agroecosistema. Il progetto sarà focalizzato essenzialmente sugli elementi di raccordo e di connessione, nel tentativo di conferire un tipo di protezione che agisca sul sistema di mantenimento globale. L’individuazione delle reti e delle linee di connessione, come tipicamente i corridoi ecologici o i sistemi d’interazione visiva, assicurano l’unitarietà e l’integrazione paesistica ed ecosistemica (Gambino, 1997). Inoltre il proposito è quello di creare un progetto che possa mettere in relazione in modo positivo il mondo agricolo e quello venatorio, da troppo tempo distanti l'uno dall'altro, gli uni inconsapevoli dei benefici apportati dagli altri.Per questo motivo è stata utilizzata la base del Piano Pluriennale di Gestione Faunistica che l’amministrazione regionale sta portando a compimento e che si può considerare certamente un riferimento metodologico utile per la realizzazione di una pianificazione faunistico-venatoria sostenibile. Detto piano attualmente utilizza un uso del suolo che tiene conto della densità faunistica per singole zone omogenee. La prospettiva futura è quella di utilizzare l’uso del suolo, con riferimento ai tipi di paesaggio agro-silvo-pastorali, per individuare una continuità ambientale all’interno del territorio di riferimento. Per un’adeguata rappresentazione grafica si è scelto di riportare nel testo solo particolari cartografici, oppure rappresentazioni relative ad aree di modeste dimensioni, inserendo le tavole grafiche complete alla fine del testo come allegati.1721 4002 - PublicationHow domestic chicks do geometry:re-orientation abilities in familiar environments(Università degli studi di Trieste, 2008-03-13)
;Chiandetti, CinziaVallortigara, GiorgioImmaginiamo di trovarci in una stanza rettangolare, uniformemente bianca, in assenza di indizi interni o esterni; ci viene mostrato qualcosa di interessante in un determinato angolo e successivamente siamo portati fuori dalla stanza e disorientati. Quando possiamo farvi ritorno, scopriamo che l’oggetto è stato rimosso e dobbiamo indicare dove si trovava. Scopriremo che ci sono due angoli geometricamente equivalenti, che mantengono le medesime proprietà nella distribuzione delle superfici rispetto alla forma dell’ambiente [ad es. con un lato lungo alla nostra destra e uno corto alla sinistra], l’angolo corretto e l’angolo localizzato al suo opposto sulla diagonale, non distinguibili l’uno dall’altro ma discriminabili rispetto agli altri due angoli. Animali appartenenti a diverse classi di vertebrati, quando disorientati passivamente, sono in grado di ri-orientarsi e recuperare l’oggetto-meta facendo uso della sola informazione geometrica dell’ambiente fornita dalle proprietà metriche delle superfici [pareti lunghe vs. pareti corte] unitamente al senso direzionale [destra vs. sinistra]. Quando è aggiunta l’informazione non-geometrica [come ad es. una parete di diverso colore] i risultati variano in dipendenza della specie, del livello di sviluppo e dei dettagli procedurali; ma in qualche circostanza la sola informazione geometrica può essere preferita all’informazione visiva saliente. In questo lavoro di tesi, utilizzando il pulcino domestico [Gallus gallus] come modello sperimentale, ho indagato tre aspetti cruciali ai fini del ri-orientamento. Primo, il ruolo della dimensione dell’ambiente rispetto alla preferenza di utilizzo di informazioni geometriche o non-geometriche per ritrovare l’oggetto-meta. I dati raccolti dimostrano che i pulcini codificano entrambi i tipi di informazione indipendentemente dalla dimensione dell’ambiente; tuttavia l’uso degli indizi geometrici è maggiore negli ambienti più piccoli mentre l’utilizzo di indizi non-geometrici è preferito negli ambienti più grandi. E’ infatti verosimile che gli animali si riferiscano al tipo di informazione più affidabile in relazione alla dimensione dell’ambiente esterno: in spazi piccoli, dove l’indicazione metrica fornita dalle superfici è immediatamente disponibile, si avvalgono dell’informazione geometrica; in spazi grandi, dove per computare le differenze metriche è richiesto movimento o un’estesa analisi delle superfici dell’ambiente, fanno affidamento alle caratteristiche visive salienti. Secondo, il ruolo dell’esperienza precoce in un ambiente fornito di elementi geometrici rispetto all’abilità di usare la stessa informazione geometrica durante il ri-orientamento. I risultati mostrano che i pulcini codificano l’informazione geometrica in assenza di (o in seguito a minima) esperienza con superfici di diversa lunghezza ed angoli retti; questo è in accordo con l’idea che gli organismi siano dotati di meccanismi cognitivi largamente predisposti, atti a trattare l’informazione geometrica nel loro ambiente naturale. Terzo, il ruolo della procedura di disorientamento attuata, l’una applicata direttamente sul soggetto come nel paradigma di base, l’altra all’ambiente, per ristabilire le relazioni con l’esterno in modo da ri-orientarsi. In entrambe le condizioni di disorientamento spaziale la struttura esterna è stabile e completamente disponibile al soggetto. I pulcini si sono dimostrati in grado di usare l’informazione esterna fin dall’inizio dell’addestramento senza differenza rispetto alla condizione di disorientamento attuata. I risultati sono discussi alla luce delle più aggiornate teorie sul ri-orientamento in una prospettiva comparata e di sviluppo.1017 1128 - PublicationL'approccio narrativo per lo studio sugli apprendimenti informali. La costruzione dei saperi dell'Assistente Sociale.(Università degli studi di Trieste, 2008-03-13)
;Gola, Giancarlo ;Rosa, BiancaLazzari, FrancescoQuando i professionisti riflettono sul proprio lavoro parlano spesso di apprendere dall’esperienza pratica, o di usare l’istinto professionale o l'intuizione per assolvere i compiti professionali. I presupposti postmoderni sull’apprendimento e i paradigmi epistemologici che definiscono l’apprendimento adulto, riconoscono che gli adulti possono vivere situazioni, avere esperienze e che questi eventi si presentano come opportunità di conoscenza. La ricerca di matrice psico-pedagogica definisce questo fenomeno come apprendimento informale, conoscenza tacita, sapere implicito. La filosofia della ricerca con cui si intende indagare il fenomeno, secondo un paradigma della ricerca qualitativa di derivazione postmoderna, assume l’approccio narrativo sia per la raccolta dei dati, sia per l’analisi degli stessi. L'obiettivo della ricerca empirica è esplorare l'esperienza raccontata degli assistenti sociali per indagare gli apprendimenti informali. In una logica induttiva partendo dai racconti dei partecipanti si è cercato di elaborare una working theory, intesa come metodologia per interpretare le modalità di apprendimento e definire gli apprendimenti che costituiscono per l’operatore sociale i suoi saperi professionali.1619 30616 - PublicationGeopolitica, identità e terrorismo.(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;Monsellato, Maria SuomyPagnini, Maria PaolaGeopolitica, identità e terrorismo. La sicurezza globale sembra, oggi più che in passato, dipendere dalle interrelazioni che legano questi tre termini. Se non si comprende allora come “penetrare l’alterità culturale” di chi ci interessa conoscere ed analizzare, il nostro “interesse nazionale”, la nostra “sicurezza”, la nostra “identità” saranno inevitabilmente affidate all’aleatorietà ed all’improvvisazione: nessuna “Ragion di Stato”, non politiche né strategie, nulla di statura adeguata è realizzabile, senza rigore e cognizione di causa. Tutto ciò assume un peso tanto maggiore quanto più si considera che, oggi, l’ordine mondiale è nell’agenda interna delle grandi potenze e che, l’interesse nazionale non è più solo forgia di politiche estere e relazioni diplomatiche e/o belliche, ma diviene per la nazione – potenza “missione” tout court. Si comprende allora bene come uno studio approfondito e “tecnico” è necessario in tutte le fasi dell’attività di intelligence, nella misura in cui è il prodotto di questa attività che va poi, necessariamente ed in esclusiva, posto alla base delle decisioni politiche di governo, diplomatiche delle relazioni estere e strategiche di presenza militare. “Penetrare” una civiltà “altra”, ricavarne informazioni utili e /o necessarie alla nostra sicurezza nazionale e funzionali rispetto alla costruzione di un qualche equilibrio internazionale di forze e di potere, essere in grado di analizzare geopoliticamente tali informazioni per trarne la retta condotta politica, strategica ed economica: questo lo scopo ultimo, questo e molto altro ancora significa “professionalizzare” l’analisi geopolitica e, più in generale, professionalizzare l’approccio “di settore” verso Identità altre.1509 3647 - PublicationAspetti e problemi connessi con l'attuazione del partenariato pubblico-privato nelle politiche dello sviluppo urbano e di governo del territorio in Italia.(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;Citarella, GermanaD'Aponte, TullioL’espressione PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO (PPP) non è definita a livello comunitario e si riferisce, in generale, a forme di cooperazione tra le Autorità pubbliche e il mondo delle imprese, che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio. Nel corso dell’ultimo decennio, il PPP si è sviluppato in molti settori, rientranti nella sfera pubblica, per lo più riconducibile a vari fattori: in presenza delle restrizioni di bilancio, cui gli Stati membri devono far fronte, esso risponde alla necessità di assicurare il contributo di finanziamenti privati all’ambito pubblico; la volontà di beneficiare maggiormente del «know-how» e dei metodi di gestione dell’impresa; infine, va inquadrato nella dinamica più generale del ruolo dello Stato nella sfera economica, che gradualmente abbandona la figura di operatore diretto per assumere quella di organizzatore, regolatore e controllore. Quindi, l’operatore economico partecipa alle varie fasi del progetto (progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento), mentre il partner pubblico si concentra principalmente nella definizione degli obiettivi da raggiungere (in termini di interesse collettivo, qualità dei servizi offerti, politica dei prezzi), garantendone il controllo. Il successo di un PPP dipende, soprattutto, dalla completezza del quadro contrattuale del progetto e dalla messa a punto ottimale degli elementi che disciplineranno la sua attuazione. In questo contesto, sono determinanti una valutazione ex-ante, una ripartizione ottimale dei rischi tra il settore pubblico e quello privato e una previsione dei meccanismi che permettano di monitorare la regolarità delle prestazioni, che, se diluite nel tempo, devono potersi evolvere per adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente macro-economico o tecnologico, nonché alle necessità di interesse generale. In linea generale, la normativa comunitaria non si oppone alla possibilità di tenere conto di tali evoluzioni, a condizione che ciò avvenga nel rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza. Premesso che la riflessione europea si posiziona a valle della scelta economica e organizzativa effettuata da un Ente nazionale o locale e si focalizza, quasi esclusivamente, sulle norme che devono essere applicate quando si decide di affidare una missione o un incarico a un terzo, lo studio realizzato, nell’illustrare la portata degli orientamenti dell’UE applicabili soprattutto alla fase di selezione del partner privato, ha posto in evidenza le incertezze e la sostanziale inadeguatezza del quadro comunitario di riferimento rispetto alle peculiarità del PPP. Pertanto, sono state formulate proposte tese alla diffusione del PPP nell’attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di sviluppo urbano e di governo del territorio, in uno scenario di concorrenza e in un contesto giuridico chiaro (strumenti legislativi, comunicazioni interpretative, azioni finalizzate al coordinamento delle pratiche nazionali e scambio di «buone pratiche» tra gli Stati membri) e al recepimento in Italia della procedura di dialogo competitivo. Infine, una particolare attenzione è stata rivolta al PPP di tipo istituzionalizzato per lo sviluppo urbano e il governo del territorio, che implica la creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e da quello privato, considerato che la cooperazione diretta permette all’Ente nazionale o locale di attuare un livello di controllo elevato sullo svolgimento delle operazioni (che può adattare nel tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell’impresa comune) e di sviluppare un’esperienza propria. La scelta del partner privato, però, nel quadro del funzionamento di un’impresa mista, non può essere basata esclusivamente sulle valutazioni che attengono al contributo in capitali o alla sua esperienza, ma dovrebbe tenere conto delle caratteristiche qualitative delle prestazioni specifiche offerte. In via preliminare, le riflessioni svolte hanno chiarito il perché, nel corso degli ultimi anni, la città è tornata al centro dell’attenzione della politica nazionale, nell’intento di fronteggiare situazioni di degrado urbanistico-edilizio, accompagnate da problematiche di tipo socio-economico e da carenza delle opere di urbanizzazione e dei servizi essenziali. Poi, l’interesse è stato rivolto alla nuova progettualità in tema di strategie per lo sviluppo urbano, grazie al dinamismo di alcune Regioni nella promozione di una nuova stagione normativa nel settore dell’urbanistica e della pianificazione territoriale, in virtù della riforma del Titolo V della Costituzione, alla disponibilità dei Fondi strutturali dell’UE come incentivo economico agli intereventi e, infine, all’introduzione di nuovi risorse finanziarie e di nuove pratiche di pianificazione e strumenti di intervento introdotti dalla DIREZIONE GENERALE PER IL COORDINAMENTO TERRITORIALE del MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI. Per quanto attiene agli obiettivi della pianificazione territoriale e urbanistica, l’Italia ha adottato una serie di indirizzi generali per le aree urbane, tesi a integrare i livelli della pianificazione ambientale e territoriale, preservare gli spazi aperti o realizzarne di nuovi, promuovere funzioni integrate e garantire la coesione sociale. È orientamento consolidato che le linee di azione dovranno tendere sempre più al superamento di una pianificazione razionale fondata sulla rigida separazione delle diverse attività umane e sui relativi indici e parametri edilizi per condividere il principio dell'integrazione, che ha consentito di andare oltre alle cosiddette «zonizzazioni» in molte legislazioni regionali, in quanto caratterizzate da una eccessiva specializzazione degli usi del territorio. Anche dal punto di vista edilizio si rileva che il DM n. 1444 del 2 Aprile 1968 - pur avendo avuto l’obiettivo di corrispondere alle fondamentali esigenze umane nella costruzione degli spazi urbani e dell’abitare, attraverso gli standard urbanistici, gli indici edilizi e la prescrizione tecnico-funzionale degli edifici - risulta ormai inadeguato a garantire il mantenimento o la ricostituzione della qualità urbana, connotata da sostenibilità. È stato posto in evidenza il ruolo centrale assunto dagli Enti locali nell’attuazione delle politiche di recupero e di riqualificazione urbana. Se gli anni Sessanta e Settanta hanno avuto l’obiettivo prioritario di realizzare le attrezzature sociali di base, garantire il diritto alla casa attraverso piani di edilizia economico e popolare, sviluppare nuova imprenditoria e occupazione mediante nuovi insediamenti produttivi, gli anni Novanta sono stati caratterizzati dalla nascita di una serie di nuovi strumenti operativi, rispetto ai piani tradizionali (Piano Regolatore Generale, Piani Particolareggiati, Piani di Zona per l'Edilizia Economica e Popolare ecc.), perché meno rigidi e più adatti a gestire la complessità dei nuovi problemi di sviluppo urbano (denominati programmi complessi), quali i PROGRAMMI INTEGRATI DI INTERVENTO (PII), PROGRAMMI DI RECUPERO URBANO (PRU), PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA PER IL RECUPERO EDILIZIO E FUNZIONALE DI AMBITI URBANI (PRIU), CONTRATTI DI QUARTIERE, PROGRAMMI DI RIQUALIFICAZIONE URBANA E DI SVILUPPO SOSTENIBILE DEL TERRITORIO (PRUSST), PROGRAMMI URBAN I e II su iniziativa del FONDO EUROPEO DI SVILUPPO REGIONALE (FESR) a favore dello sviluppo sostenibile di città e quartieri in crisi dell'UE per il periodo 2000-2006 e di recente rifinanziato, al fine di concorrere alla realizzazione delle politiche di riqualificazione urbanistica dei nuclei interessati dall'abusivismo edilizio. Premesso che la concertazione fra Pubblica Amministrazione e i privati nel settore dell'urbanistica rappresenta senza dubbio uno degli aspetti più rilevanti del processo di partecipazione e uno degli esempi più riusciti di intreccio fra interessi diversi, gli studi compiuti e le riflessioni svolte hanno posto in evidenza che il PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO (PPP) ha assunto una valenza prima culturale e poi normativa: il recupero e la riqualificazione urbana sono stati principalmente processi di progettazione coordinata, di azione concertata tra soggetti e di mediazione tra i grandi obiettivi di portata generale e particolari, finalizzati a convogliare l'iniziativa pubblico-privata verso finalità di sviluppo, attraverso forme miste di finanziamento. Ciò ha consentito di far emergere un nuovo e significativo ruolo per i soggetti privati, non solo destinatari dei provvedimenti per il recupero e la riqualificazione urbana, sia nell’individuare gli interventi da inserire nel piano e sia nel raccogliere gli investimenti volti a coprire le spese di realizzazione dei medesimi. Con riferimento agli strumenti negoziali e associativi utilizzabili per attivare le collaborazioni tra pubblico e privato, puntuali valutazioni sono state svolte in merito all’impiego del PROJECT FINANCING, della CONCESSIONE DI COSTRUZIONE E GESTIONE, nonché delle altre concessioni di gestione, della SOCIETÀ MISTA PUBBLICO-PRIVATO, della SOCIETÀ DI TRASFORMAZIONE URBANA (STU), dello SPONSOR PUBBLICO e del LEASING IMMOBILIARE. Con tali strumenti le Amministrazioni Pubbliche potranno realizzare un sistema elastico di pianificazione collegato con la programmazione economica e l'accertamento delle riserve disponibili: come evidenziato, nei casi già sperimentati, alcuni interventi di recupero e di riqualificazione urbana, per la loro rilevanza, hanno cambiato il volto di una comunità, con una ricaduta positiva sulla qualità dei servizi, sulla vivibilità di un’area e sulla creazione di spazi pubblici, capaci, per le funzioni ivi insediate, di favorire processi di aggregazione o il mutamento di comportamenti sociali consolidati. Infine, una particolare attenzione è stata dedicata a una serie di strumenti di partnership di tipo associativo, tra i quali le SOCIETÀ DI TRASFORMAZIONE URBANA (STU). Esse rappresentano una novità di rilievo nello scenario italiano per quanto riguarda la fase di attuazione degli strumenti urbanistici generali: non a caso il legislatore, ferma restando la normativa sui piani urbanistici generali, ha inteso ampliare i compiti dei Comuni e ha accordato loro la possibilità di non limitarsi a prospettare il futuro assetto urbanistico, affidando ai proprietari delle aree il compito di attuarlo, ma ha permesso agli Enti locali di andare oltre e, per il tramite di società miste, di promuovere direttamente l'attuazione degli strumenti urbanistici. Dall’analisi compiuta si è evidenziato che le STU si prefiggono di combinare il potere programmatico e regolamentare della Pubblica Amministrazione con l'interesse di soggetti privati, affinché questi apportino capitale e cognizioni tecniche. Quindi, uno strumento per utilizzare le risorse e la tecnologia di operatori privati al fine della riqualificazione del territorio, anche se non hanno ricevuto una particolare attenzione dal mercato, né sono state adeguatamente promosse dalle Istituzioni, avendo avuto applicazione, prevalentemente, per studi di fattibilità sovvenzionati con finanziamenti pubblici. Gli Enti locali hanno vissuto un profondo cambiamento nella struttura della programmazione degli investimenti e hanno individuato nelle Regioni dell’Obiettivo 1 un punto di riferimento stabile per utilizzare le risorse finanziarie dell’UE. Anche a livello nazionale mutano radicalmente gli orientamenti, perché si passa da una impostazione di integrazione a livello settoriale a una logica di integrazione di tipo territoriale o funzionale, ovvero a una ricerca sempre maggiore dell’efficacia della programmazione in relazione alla valorizzazione delle risorse dei SISTEMI TERRITORIALI LOCALI (STL). Pertanto, sono stati esaminati gli effetti geo-economici delle modificazioni intervenute nella POLITICA DI COESIONE dell’UE e del maggiore orientamento strategico e sistemico della PROGRAMMAZIONE 2007-2013, la quale è fortemente orientata a rendere l’insieme delle aree regionali più competitive nel contesto della Europa allargata e della globalizzazione. Ciò comporterà che le politiche di investimento da promuovere a livello di STL, città e singoli Comuni dovranno essere maggiormente orientate alla valorizzazione dei fattori locali di competitività, occupazione e innovazione. Considerato che l’orientamento strategico alla competitività e a fare sistema ha indotto gli Organi della programmazione nazionale ad elaborare una tabella di priorità, sono state svolte riflessioni scientifiche sui percorsi da attivare per promuovere lo sviluppo economico, l’attrattività, la competitività e l’innovazione delle città e delle reti urbane; elevare la lotta alla marginalità urbana, valorizzando il patrimonio di identità; favorire il collegamento delle città e dei sistemi territoriali con le reti materiali dell’accessibilità e delle infrastrutture e con le reti immateriali della conoscenza. Altre valutazioni di sintesi hanno riguardato taluni obiettivi, collegati alle priorità, quali lo sviluppo e l’attrazione di investimenti per servizi avanzati; la valorizzazione delle eccellenze per competere a livello internazionale; lo sviluppo eco-sostenibile; la valorizzazione sociale ai fini della costruzione dell’urban welfare; l’integrazione socio-economica e il recupero fisico e dei valori storico-identitari delle aree urbane e peri-urbane marginali e degradate; l’apertura europea e l’internazionalizzazione delle città, attraverso l’utilizzo di reti digitali per la fornitura di servizi integrati tra centri di eccellenza della ricerca, della conoscenza e del partenariato internazionale; la logistica per il recupero socio-economico e ambientale delle aree urbane e periurbane, se inserita in programmi di sviluppo urbano e compatibile con i fini della politica di sviluppo regionale. Se i DOCUMENTI STRATEGICI DELLE REGIONI DELL’OBIETTIVO 1, le priorità e gli obiettivi nazionali enunciati costituiscono il contesto di riferimento al quale i STL dovranno attingere per indirizzare le proprie scelte, in termini di programmazione e di progettazione, appare evidente che i progetti «prioritari», negoziati e a un livello adeguato di fattibilità, potranno contribuire al completamento della programmazione regionale e nazionale e, dunque, concorrere con certezza all’attribuzione di risorse aggiuntive, purché capaci di integrarsi e essere sostenibili nella programmazione settoriale di riferimento e, rispetto al STL di afferenza, di aumentare l’offerta di servizi di qualità e di infrastrutture, che accrescono il potenziale di competitività. Dalle analisi compiute è emerso che se si dovranno attivare gli strumenti della programmazione strategica, territoriale e settoriale. In tal modo, sarà possibile avere chiaro lo scenario territoriale di riferimento, ovvero recepirlo se esistente, oppure completarlo o costruirlo. Quindi, particolare importanza riveste il metodo con cui gli Enti locali individueranno il settore di programmazione, che permetterà di selezionare l’ambito di rilievo e di ottimizzarne l’integrazione con quanto già previsto, evitando duplicazioni, dimensioni non ottimali o, addirittura, la inadeguatezza complessiva della proposta progettuale. L’idea da sostenere è di confrontare la propria programmazione prioritaria con una check list, che consentirebbe di compiere una sorta di valutazione ex-ante di massima della qualità della stessa rispetto al QCS 2007-2013 e di verificare cosa fare per completare il ciclo di programmazione, oltre che permettere a un Comune o a un STL di conoscere lo stato della propria programmazione, l’adeguatezza della stessa e il percorso da compiere per avviare nella giusta direzione il periodo di programmazione futuro. Utilizzando le tecniche e i metodi per valorizzare il PARCO PROGETTI LOCALE e per rilevare nuove opportunità, si è giunti a isolare due concetti di particolare valenza strategica: il completamento della programmazione assicura un aumento della fattibilità, della cantierabilità dei progetti singoli e della loro competitività in funzione dell’attrazione di finanziamenti aggiuntivi; se si riuscirà a rendere «ordinaria» la programmazione per lo sviluppo e la competitività locale, un progetto di importanza intercomunale sarà più agevole per farlo condividere e cofinanziare dagli ambiti territoriali che lo considerano essenziale. D’altro canto, nella PROGRAMMAZIONE 2007-2013 il criterio di ripartizione dei cofinanziamenti tenderà a favorire la stabilità, la certezza dei finanziamenti e le potenzialità del progetto di attrarre eventuali capitali privati a sostegno della sua realizzazione, soprattutto se garantirà un sufficiente ritorno. Il periodo di programmazione appena terminato ha permesso di sperimentare forme avanzate di decentramento della programmazione e di costruire mirati PPP, anche se le esperienze conseguite raramente sono state in grado di attrarre stabilmente attenzioni nella parte più dinamica della società civile e economica locale, suscitando, per certi versi, un atteggiamento di perplessità anche tra i potenziali partner privati: la generazione dei PATTI TERRITORIALI PER L’OCCUPAZIONE, dei PATTI TERRITORIALI DI SECONDA GENERAZIONE, del LEADER II, di URBAN, dei PRUSST, degli STUDI DI FATTIBILITÀ DEL CIPE hanno consentito di sviluppare iniziative di PPP, ma che, nel medio periodo, sono state spesso condizionate dall’assenza di integrazione con la programmazione regionale e, di conseguenza, con la mancanza della interazione con la PROGRAMMAZIONE 2000-2006. Va però anche evidenziato che quei STL che sono riusciti, nonostante le incertezze, a completare l’iter della programmazione innovativa hanno raggiunto risultati rilevanti. Infatti, l’attuale programmazione, attraverso un quadro di deleghe e di redistribuzione delle risorse più chiaro e orientato a creare coerenza fra la delega di gestione dei STL e la disponibilità di risorse per investimenti e con il supporto dei POR e degli APQ, ha cercato di razionalizzare le esperienze precedenti, valorizzandole quando necessario, ma ricostruendo il quadro di riferimento sulla base della vision regionale del modello di programmazione ottimale. Dallo scenario delineato si è osservato che taluni PPP del passato si sono trasfusi nell’attuale programmazione, in altri casi si sono sviluppate nuove esperienze più qualificanti e significative, come per le città che hanno dato vita ai PIT METROPOLITANI di grande potenzialità. Lo sforzo sin qui compiuto, dunque, per almeno un decennio, non deve essere vanificato, a meno che non si dimostri inadeguato per affrontare i problemi locali, che sono al centro delle priorità dei STL di riferimento, perché le iniziative sono sorte per utilizzare la disponibilità di risorse e, di conseguenza, non sostenuti da un adeguato PPP e da necessaria visione strategica. Dai nuovi regolamenti e dai documenti strategici, sia europei che nazionali, è emerso che l’integrazione fra flusso di investimenti pubblici e privati è uno degli obiettivi del QCS 2007-2013, perché il PPP genera un elevato effetto leva, ovvero una maggiore efficacia in termini di sviluppo degli investimenti pubblici; permette di dimensionare e progettare molte opere o infrastrutture con maggiore attenzione all’effettivo utilizzo che se ne potrà compiere, in quanto il gestore privato che si incarica anche della progettazione ha più elementi e competenze per la ottima definizione dell’investimento; consente una maggiore attenzione nella realizzazione delle opere, in quanto colui che le realizza, durante la gestione, si deve caricare anche del costo di manutenzione; rafforza la funzione pubblica, ovvero il ruolo regolatore, controllore e programmatore dell’Ente locale che, salvo casi eccezionali, non dovrebbe farsi carico direttamente della responsabilità della dimensione tecnico-gestionale degli investimenti, ma, principalmente, del loro valore sociale, civile e di beneficio atteso in termini di sviluppo. Il convincimento maturato è che per realizzare un corretto dialogo e un’affidabile cooperazione pubblico-privata, soprattutto a livello di programmazione e progettazione, sono necessari una serie di performance da parte del soggetto pubblico locale: stabilità e qualità della programmazione, al fine di attrarre buoni e investitori; trasparenza e dialogo con i potenziali investitori, selezionati da una procedura di evidenza pubblica per rispettare le regole del mercato e individuare le proposte tecniche e progettuali più adeguate, presentando le proprie intenzioni e le condizioni alle quali accetterà proposte; promozione e competenza per comprendere la validità tecnica e l’affidabilità economica delle proposte dei diversi investitori e, nel caso non fossero adeguate, richiedere, per esempio, garanzie indipendenti accessorie agli stessi proponenti, come audit sulle previsioni di entrate di una determinata operazione, oppure allargare il dibattito e l’attenzione presentando e promuovendo, a livello adeguato, la propria proposta di cooperazione con il privato, nonché costituendo un panel di esperti di settore per supportare l’Ente locale nelle decisioni con pareri non vincolanti; gestore e non costruttore, perché i PPP nelle REGIONI DELL’OBIETTIVO 1, spesso partono da una proposta di un costruttore di immobili o di infrastrutture, piuttosto che da un gestore, per far sì che un PROJECT FINANCING o una STU siano letti, non come una forma alternativa di appalto di lavori, ma piuttosto come un’alleanza che miri a massimizzare l’efficacia dell’investimento in termini di servizio reso e di sviluppo locale della competitività. L’attenzione degli Enti locali, dunque, deve rivolgersi prima alla qualità del gestore futuro e, solo subordinatamente, alla qualità del realizzatore, anche perché lo stesso gestore ha interesse ad avere un realizzatore di qualità. Le conclusioni a cui si è pervenuti è che le procedure di PPP, prevedendo un percorso difficile e spesso complesso, occorre attivarle soltanto quando effettivamente necessario per garantire la effettiva efficacia e efficienza dell’investimento e, in subordine, per la ricerca di risorse accessorie. L’elemento prevalente nella scelta deve essere la qualità dell’investimento, piuttosto che la composizione del quadro finanziario.2201 8635 - PublicationMilitarizzazione dello spazio e sicurezza nazionale - Aspetti geopolitici e geoeconomici.(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;Barzi, AnnalisaPagnini, Maria PaolaI sistemi di difesa nazionale delle Potenze militarmente più evolute, grazie alla dotazione tecnologica che li connota, sono caratterizzati da una stretta relazione tra potere militare terrestre e capacità di controllo dei sistemi in orbita. Settori come quelli delle telecomunicazioni, dell’osservazione terrestre, della navigazione, della sorveglianza e dell’“early warning” rivelano quanto sia marcata la valenza strategica della componente spaziale per gli assetti militari odierni. Alla luce dei queste considerazioni, ma anche ipotizzando un futuro possibile sfruttamento a fini economici del cosmo, nonché constatando la rilevanza di attività commerciali con base nello spazio per lo svolgimento di attività cruciali per la vita quotidiana, come le comunicazioni o la sicurezza ambientale, è evidente l’interesse riservato dagli Stati alle problematiche inerenti la sicurezza nello spazio ed i rapporti di forza che interessano il controllo dello stesso. La materia è di estrema sensibilità, soprattutto alla luce del fatto che l’utilizzo del cosmo a fini militari e civili è, ad oggi, caratterizzato dall’assenza di un accordo generale sul piano giuridico: mancano quindi gli strumenti normativi per dirimere eventuali controversie tra i Paesi coinvolti nelle attività spaziali. La disciplina vigente a livello internazionale non permette, ad oggi, di definire un quadro preciso dei diritti e dei doveri in capo ai soggetti statuali ed alle entità che operano nello spazio e manca un impianto sanzionatorio condiviso. Non si è nemmeno pervenuti ad una definizione puntuale di cosa si intenda per “attività spaziale”. Del resto, proprio gli Stati maggiormente coinvolti nella corsa allo spazio, con particolare riferimento agli Stati Uniti, non hanno mai incoraggiato l’introduzione di una disciplina più restrittiva in questo settore. La corsa per il predominio dello spazio è stata giustificata da una certa letteratura facendo ricorso ad un’analogia con il regime giuridico che disciplina le acque extraterritoriali, che non ricadono sotto la sovranità di alcuno Stato e possono essere utilizzate a fini militari. L’indicazione data da questi autori, peraltro ampiamente recepita in seno all’Amministrazione statunitense, detta orientamenti strategici che perseguono una logica di difesa preventiva, anche mediante l’impiego di assetti da “guerra totale”. L’analogia tra la navigazione nelle acque extraterritoriali e l’uso militare dello Spazio si presenta nondimeno controversa e suscita contestazioni, soprattutto in ordine al fatto che scelte di politica spaziale mirate a stabilire il predominio di una Nazione sulle altre possano esporre i Paesi in posizione dominante al rischio di ritorsioni da parte di altre entità, statuali e non, ostili o potenzialmente tali, in grado di sviluppare ed utilizzare armi antisatellite con l’intento di spezzare il loro monopolio. Sorgono inoltre interrogativi circa la compatibilità dell’uso militare dello spazio con il diritto spaziale vigente, secondo cui lo spazio extra-terrestre rappresenta invece un patrimonio di pubblico dominio, utilizzabile per «scopi pacifici», a fini di bene comune. Aspetto cruciale di questa dinamica è la contrapposizione tra Paesi fautori di un’ottica unipolarista, quali gli Stati Uniti, per cui lo spazio costituisce il fondamento della “full spectrum dominance” (basata su deterrenza, controllo e capacità di proiezione unilaterale nel battlefield a tutti i livelli) e Paesi votati invece ad una forte egemonia regionale, come Cina e Russia, che puntano al multipolarismo. Episodi come quello che nel gennaio 2007 ha visto protagonista proprio la Cina, che ha dimostrato di poter lanciare e guidare un veicolo anti-satellitare (ASAT) contro un proprio satellite meteorologico situato alla stessa altezza dei satelliti spia americani, abbattendolo, evidenziano come la lotta per l’egemonia possa trovare nella dimensione spaziale un fattore di vulnerabilità incredibilmente sensibile in assenza di forme di controllo condivise. I fattori di minaccia di questo tipo potrebbero moltiplicarsi se la proliferazione di tecnologia antisatellite interessasse anche la cerchia degli Stati “canaglia” o addirittura gruppi eversivi, magari finanziati e supportati sul piano tecnico proprio da Stati ostili all’Occidente. Un altro fronte di rischio potrebbe essere rappresentato dall’enorme quantità di detriti spaziali, letali per i delicati sistemi orbitanti, che si verrebbero a creare in conseguenza di eventuali attacchi finalizzati alla distruzione di dispositivi nemici. Sebbene lo spazio sia, come evidenziato in premessa, già militarizzato nella misura in cui viene utilizzato a scopi di supporto dell’apparato bellico, nessun Paese vi ha al momento ancora introdotto armamenti. Varcare questa soglia significherebbe, infatti, provocare un probabile scontro per il predominio dello spazio, situazione che il sistema giuridico attuale non sarebbe pronto a gestire. Per la Comunità Internazionale, inoltre, lo sviluppo di antagonismi di questo tipo rappresenterebbe un forte fattore di destabilizzazione, ragion per cui da più parti viene auspicata l’introduzione di una regolamentazione più ampia che limiti la corsa agli armamenti nel cosmo. Alla luce di queste considerazioni, il presente lavoro intende delineare un quadro delle prospettive inerenti l’utilizzo dello spazio a fini strategici e di difesa da parte degli Stati dotati di tecnologia sufficiente per poter intraprendere il lancio e la gestione operativa di apparati a livello extra-atmosferico. In apertura di trattazione si è provveduto a tracciare, attingendo a nozioni della geopolitica classica, una sinossi di alcuni contributi risultati significativi nell’orientare le strategie spaziali degli ultimi anni, fino ad arrivare al concetto di “astropolitica”, intraprendendone una lettura critica alla luce delle recenti posizioni assunte in tema di strategia spaziale da parte dei diversi attori coinvolti. Contestualmente è stata affrontata la disanima degli aspetti giuridici salienti del regime internazionale in vigore nel settore di interesse. Nel secondo capitolo, sono stati introdotti alcuni cenni relativi ad aspetti funzionali, quali ad esempio alcune nozioni di meccanica orbitale, utili a capire le problematiche connesse al lancio ed all’operatività dei sistemi spaziali ed a valutarne l’incidenza sulle politiche dei diversi attori. Per lo stesso motivo, si è ritenuto opportuno inserire una semplice descrizione delle principali caratteristiche tecnico-funzionali degli assetti impiegati per le attività spaziali militari e civili e dei relativi sistemi di supporto terrestre. Nel terzo capitolo, è stato stilato un quadro dei possibili sviluppi nel settore aerospaziale, considerandone in prospettiva le evoluzioni sia con riguardo al gruppo dei Paesi già affermati in questo campo, sia ai Paesi emergenti. Questa parte dell’elaborato è stata redatta tramite un’intensa attività di indagine tesa a raccogliere ed archiviare informazioni tratte da riviste specializzate di settore e da manualistica istituzionale qualificata, al fine di definire un punto di situazione quanto più possibile aggiornato sulle scelte operative e sulle strategie recentemente intraprese dagli operatori del comparto. Gli argomenti che presentano i riscontri più significativi riguardano: - le recenti evoluzioni degli assetti aerospaziali statunitensi, caratterizzati, negli ultimi anni, da un progressivo shift di competenze dalla NASA al Pentagono, per quanto attiene le attività in orbite terrestri, e dal delicato passaggio del dopo-Shuttle, che potrebbe esporre l’Amministrazione statunitense a forme di cooperazione prolungata con Paesi concorrenti nel settore dei lanci, come la Russia; - la crescente autonomia spaziale rivendicata dall’Europa allo scopo di acquisire maggiore indipendenza strategica dagli Stati Uniti. Caso emblematico in questo contesto è lo sviluppo, da parte europea, del sistema di navigazione satellitare Galileo, dotato di funzionalità sostitutive del GPS Navstar statunitense. Il progetto, finanziato da Agenzia Spaziale Europea ed Unione Europea, fortemente voluto soprattutto da parte francese, inizialmente è partito in sordina, come sistema a vocazione civile, per poi assumere una connotazione militare solo una volta superato l’impatto dell’opposizione statunitense, che non ha mancato di sollevare questioni sui rischi e sulla presunta inopportunità della sovrapposizione dei due sistemi. Il programma Galileo non rappresenta solo il mezzo mediante il quale l’Europa cerca di emanciparsi dalla dipendenza strategica degli USA, ma costituiste, nel contempo, un’opportunità per stabilire rapporti di cooperazione internazionale con Paesi avanzati sotto il profilo tecnico-militare spaziale, come la Cina, che partecipa al progetto, ma che a sua volta mira in prospettiva a dotarsi di un proprio sistema di navigazione satellitare, come del resto la Russia. E’ evidente come la collaborazione con detti Paesi da parte europea rappresenti un fattore di criticità per gli Stati Uniti, che, comunque, a loro volta intrattengono, pragmaticamente, programmi comuni con i russi nell’ambito di specifici progetti, soprattutto in relazione al mantenimento della Stazione Spaziale Internazionale. Si consideri che il vettore-capsula russo Sojuz è al momento l’unico veicolo per voli umani disponibile oltre al cinese Shenzhou, mentre gli USA stanno sviluppando le future capsule Orion, sostitutive dello Shuttle, i cui primi voli con equipaggio sono però in programma solo a partire dal 2015; - lo stato dei programmi spaziali italiani e la componente spaziale degli assetti di difesa nazionale. L’Italia, dal canto suo, potrebbe beneficiare degli sviluppi che emergono in ambito europeo, soprattutto grazie a sinergie possibili tra la propria industria nazionale e partner europei in settori strategici, come quello del telerilevamento e dell’osservazione terrestre. Positivi passi in questo senso sono già stati fatti grazie al consorzio del sistema nazionale Cosmo-Skymed con la costellazione satellitare francese Plèiades. Importanti prospettive in questo settore si potrebbero aprire anche grazie al progetto “GMES - Global Monitoring for Environment and Security”, un’iniziativa sviluppata in ambito spaziale europeo che mira a incrementare le capacità dell’informazione geospaziale a supporto della politica ambientale e della sicurezza. Il comparto spaziale italiano potrebbe inoltre beneficiare dei progressi nello sviluppo di lanciatori di piccole dimensioni, in particolare con riferimento al sistema “Vega”, che potrebbe inserirsi con successo nella fascia dei lanci satellitari commerciali da 1.500 Kg in orbita bassa; - i programmi spaziali presenti e futuri di Cina e Russia: 1) la prima risulta proiettata verso un programma spaziale ambizioso, che prevede anche la realizzazione di una stazione spaziale per il 2015 ed un fitto programma di attività nei settori a valenza strategica, quali quelli dell’osservazione terrestre, delle telecomunicazioni, della navigazione satellitare, della meteorologia, dei veicoli spaziali riutilizzabili, nonché dell’esplorazione lunare, presumibilmente prodromica ad un possibile sfruttamento economico delle ricche risorse presenti sul satellite terrestre; 2) la seconda, erede dell’infrastruttura spaziale, di gran parte della tecnologia e delle risorse umane che avevano determinato i successi dell’Unione Sovietica, è impegnata nel rivendicare un ruolo di primo piano in settori cruciali per l’attività spaziale come quello dei lanciatori e dei vettori per le missioni con equipaggio. A questo proposito, va ricordato che i vettori russi Proton ed in particolare la già citata Sojuz, mantengono una solida posizione nel mercato dei lanci spaziali, anche in ragione della loro affidabilità e dei loro costi relativamente contenuti rispetto ad altri sistemi, aspetti che rendono attraente la cooperazione con i russi anche per gli Stati Uniti e l’Europa; - recenti sviluppi nell’industria spaziale di Paesi emergenti come India, Brasile, Giappone, ma anche Iran, Corea del Sud, Corea del Nord e Pakistan. Da ultimo, alla luce di queste finali considerazioni, non si è trascurato di trattare l’importante ruolo assunto in tale contesto dalle diverse industrie aerospaziali nazionali, delineando un quadro dei principali accordi di cooperazione internazionale ed evidenziando sinergie operative e possibili aree di competizione. Particolare attenzione è stata dedicata anche ai possibili sviluppi per le rispettive strategie spaziali a fronte delle opportunità che si aprirebbero nel caso diventassero attuabili forme di sfruttamento economico delle risorse presenti nello spazio. Nel contesto che emerge dall’analisi tracciata, appare evidente come l’implementazione dei programmi spaziali nazionali non possa prescindere dallo sviluppo di forme di cooperazione internazionale, se non risultando penalizzata dall’isolamento. Accade così che nel settore spaziale, per necessità, anche gli interessi di potenze tradizionalmente contrapposte si coalizzino attorno a specifici programmi. La complessa dinamica che ne deriva interessa i rapporti tra Europa e USA, tra USA e Russia, tra Cina e Russia, tra Europa e Cina ed altri ancora: tutti questi Paesi sono impegnati a unire le rispettive forze evitando però di inimicarsi le altre potenze, in una delicata partita diplomatica ed economica, che costituisce forse il lato più interessante e curioso da osservare sul fronte delle scelte strategiche che animano i rispettivi programmi spaziali.1648 10555 - PublicationGeopolitica del traffico di stupefacenti e dell'immigrazione(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;De Francesco, Sergio ;D'Aponte, TullioPagnini, Maria PaolaIl traffico degli stupefacenti correlato all'immigrazione analizzato attraverso i varchi aeroportuali di Milano/Malpensa e di Roma/Fiumicino1022 3466 - PublicationLa proiezione energetica cinese negli scenari capitalistici globali.(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;Parenti, Fabio MassimoPagnini, Maria PaolaLA PROIEZIONE ENERGETICA CINESE NEGLI SCENARI CAPITALISTICI GLOBALI Dottorando: Dr. Fabio Massimo Parenti Relatore: Prof.ssa MARIA PAOLA PAGNINI RIASSUNTO L’analisi dei cambiamenti economico-politici al livello globale ha costituito una sfida costante alla quale gli scienziati sociali sono stati chiamati a rispondere. Ciò ha portato, nel corso del tempo, allo sviluppo di molteplici approcci interpretativi, capaci di volta in volta di fornire modelli esplicativi più o meno efficaci. L’emergere della cosiddetta globalizzazione ha poi accelerato, in una certa misura, il bisogno di proseguire tali studi, che malgrado la loro diversità sono confluiti il più delle volte nell’ambito disciplinare delle “Relazioni Internazionali” (RI). La tesi sulla proiezione energetica cinese negli scenari capitalistici globali tenta di entrare in questo ampio dibattito, partendo innanzitutto dall’adesione alle analisi più accreditate sui principali cambiamenti geoeconomici e geopolitici in corso - la ricomparsa dell’Asia al centro del sistema produttivo/commerciale mondiale, il declino dell’egemonia statunitense e l’emerge della Cina come nuovo centro di accumulazione capitalistica3 - e nel contempo dalla dissociazione da quelle sulla riduzione dell’importanza dello Stato-nazione e sull’emergere di una nuova “guerra fredda”. La crescente integrazione cinese al modo di produzione capitalistico svela sia la centralità dello Stato-nazione dietro i nuovi processi di accumulazione asiatici, sia le crescenti interdipendenze economico-finanziarie fra gli USA e la Cina, sia infine l’emergere di un modello di sviluppo cinese sui generis, che abbiamo definito del free State (in confronto a quello del free trade britannico e del free enterprises statunitense). Le strategie energetiche cinesi, incentrate su una serie di accordi bi/multilaterali, regionali ed intersocietari, rendono conto dell’ampiezza dei processi di accumulazione capitalistica in alcuni poli asiatici, della spinta verso l’integrazione macroregionale e delle conseguenze geopolitiche prodotte da tali movimenti. Ricordandoci, in ultima istanza, la dipendenza delle dinamiche di cambiamento dalla dimensione energetico-materiale. Sottolineando dapprima i limiti interpretativi delle RI, in particolare delle analisi più influenti dell’approccio realista (Huntington, 1996; Bernstein e Munro, 1997; Mearsheimer, 2001, e altri), la tesi proposta rivendica la centralità dello sguardo geografico nella comprensione della natura dei cambiamenti in fieri, nonché l’adeguatezza degli strumenti analitici della disciplina geografica (l’articolazione scalare degli spazi umani) nella interpretazione della dinamica capitalistica globale (Harvey) e dei correlati sviluppi geopolitici. Il ricorso a un’analisi energetica e interscalare, che ha messo al centro dell’attenzione la regione mobile e l’infrastruttura, ha consentito di svelare la parziale trasformazione degli Stati nazione in “entità regionali mobili” (imbrigliate in un sistema sempre più interdipendente e competitivo), nonché la capacità degli Stati stessi di produrre regionalità. Da questa angolazione, il cambiamento degli equilibri del sistema internazionale è stato desunto proprio a partire dall’analisi degli sviluppi che occorrono nelle principali regioni strategiche (geo-energetico-minerarie) e dalla costruzione di sistemi di controllo economico-finanziario, direttamente influenzati dalle politiche dei principali attori statuali. Nello specifico, la tesi ha cercato di rispondere alla seguente domanda: perché la rivalità sul controllo delle risorse petrolifere (USA/Cina) si sta ponendo in forme nuove rispetto al passato? In condizioni geoeconomiche in profondo mutamento, e nell’ambito di una competizione capitalistica Ovest/Est, la Cina si moverebbe con approccio diverso dagli USA, inserendosi nei processi di globalizzazione con una diversa soggettività politica e un compromesso sui generis fra lo Stato e gli interessi economici capitalistici. Il Beijing consensus è il frutto di una strategia alternativa a quella degli USA (basata sul sostegno alle private corporations e ai loro interessi immediati), che possiamo riassumere in tre elementi distintivi: l’uso prevalente delle State-owned enterprises per scopi strategici; la costruzione di rapporti di lungo periodo, tramite investimenti in perdita o con ritorni minimi; e infine, ma non meno importante, l’attenta elaborazione di politiche macroeconomiche (monetarie, fiscali e industriali) tese a ridurre le ripercussioni negative indotte da un eccessivo affidamento agli aggiustamenti di mercato. Mentre l’approccio unilaterale degli USA sembra essere il risultato di un progressivo declino di legittimità e consenso (Washington consensus), l’azioni cinese nel mondo non ha come obiettivo l’egemonia, ma il consolidamento di uno status di grande potenza, garante di un ordine mondiale multipolare. Una strategia che è coerente con alcuni principi guida scritti nella costituzione del 1982, e che riguardano il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, la non aggressione, la non ingerenza negli affari interni, l’eguaglianza e la coesistenza pacifica. Nella sostanza, la Cina si oppone all’imperialismo e all’egemonismo e si impegna a sostenere le nazioni oppresse, la pace e il progresso nel mondo (Rinella, 2006). Tuttavia, non è l’ordine unipolare in sé che viene contestato, quanto piuttosto la posizione egemonica degli USA nei confronti della Cina, la quale è preoccupata degli effetti che l’unilateralismo statunitense possa avere sulla stabilità di regioni del mondo da cui dipende il suo sviluppo (Foot, 2006). L’obiettivo di costruire un mondo multipolare si traduce in un’estesa strategia di cooperazione bilaterale e regionale con quegli Stati asiatici, come la Russia e l’Iran, che condividono lo stesso bisogno cinese di rimarginare gli squilibri prodotti dall’unilateralismo statunitense (Domenach, 2003; Garver, 2006). Inoltre, l’emergere di un’architettura energetica asiatica più indipendente dall’Occidente, nonché di un sistema economico-finanziario multipolare, dipende anche dal ruolo ricoperto dall’India e da altri Stati asiatici (tra cui soprattutto il Pakistan, le Repubbliche Centro-Asiatiche, l’Iran e l’Arabia Saudita), le cui interdipendenze geoeconomiche e politiche con la Cina stanno aumentando sia nell’ambito di rapporti bilaterali, sia nella sfera d’influenza della Shanghai Cooperation Organization (SCO) (cioè uno spazio regionale riconosciuto de jure e in continua espansione). L’evoluzione di questa organizzazione va avanti e si rafforza sul piano di accordi economici ed energetici, che sono finalizzati, in ultima istanza, a costruire un tessuto di infrastrutture capaci di “vestire” la macroregione asiatica. Le ambizioni della Cina sono concretamente sostenute dalla sua performance economica, molto significativa sul piano quantitativo e qualitativo, dal connesso sviluppo di tecnologia militare (missili, satelliti, nucleare etc.) e dalla sua abilità diplomatica, che in ultima istanza si rifà ai principi originari dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Tutte carte da grande potenza che gli consentono di giocare un ruolo sempre più importante sull’arena internazionale, in cui l’emergere di una nuova Guerra Fredda non sembra essere un esito compatibile con i nuovi sistemi di organizzazione economico-politica capitalistica al livello mondiale. Se lo sviluppo cinese e statunitense dipende in modo crescente da ampi sistemi di approvvigionamento energetico che possono entrare in competizione, entrambi i Paesi sono sempre più legati sul piano economico-finanziario.1216 2517 - PublicationL'EVOLUZIONE DEL POTERE AEREO NEGLI SCENARI DEL TERZO MILLENNIO(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;Corsini, RobertoPagnini, Maria PaolaNei 500 anni di storia che contraddistinguono la cosiddetta “Columbian Age” (1500 -1900) lo scenario geopolitico internazionale è caratterizzato in larga misura dal confronto tra potenze navali e potenze terrestri. La prevalente superiorità del potere navale, in particolare tra il XIX e l’inizio del XX Secolo, stimola, in particolar modo nella prima metà del Novecento, la nascita e l’evoluzione delle dottrine geopolitiche classiche che vedono i maggiori interpreti (Halford Mackinder, Alfred Mahan, Nicholas Spykman, Rudolf Kjellén, Karl Haushofer, Friedrich Ratzel) schierati su due fronti. E’un confronto tra mare e terra che vede nella conquista iniziale del dominio alternativamente sull’heartland o sul rimland le due differenti interpretazioni e scuole di pensiero (anglosassone e tedesca). Sono proprie queste dottrine geopolitiche che ispirano le scelte strategiche delle grandi potenze per tutto il secolo appena trascorso, condizionando le due guerre mondiali, la guerra fredda ed i maggiori conflitti che seguono il secondo dopoguerra (Corea, Vietnam, Afghanistan, Golfo Persico). All’inizio del XIX Secolo con l’impresa dei Fratelli Wright prende il via la conquista della terza dimensione. L’aeroplano, che inizialmente nella migliore delle ipotesi poteva apparire come un mezzo in grado di offrire al potere terrestre ed al potere navale solo una piccola capacità militare aggiuntiva, si sviluppa in una progressione esponenziale che non conosce precedenti nella storia dell’evoluzione della scienza e della tecnica, dove dottrina e tecnologia si rincorrono e si stimolano vicendevolmente. Con i progressi del mezzo aereo si sviluppa la dottrina che vede in Giulio Douhet il principale precursore ed ispiratore, tanto che molte delle sue intuizione restano tuttora valide. L’affermazione del potere aereo ad un livello che lo pone a pari dignità rispetto a quello delle due forze di superficie non riesce, tuttavia, a modificare o a far evolvere le teorie geopolitiche classiche. Questo non solo per una sorta di “miopia” dei più autorevoli interpreti, ma anche per questioni di approccio metodologico: il potere aereo non ha alle sue spalle una “storia” a cui attingere e fondamentalmente la geografia classica del tempo guarda solo alla dimensione piana. Lo sviluppo del potere aereo e della dottrina aerea dall’origine ai nostri giorni viene osservato attraverso sei periodi storici che caratterizzano le fasi della sua evoluzione: il periodo pionieristico dal 1880 al 1910 dove dapprima gli aerostati e poi l’aeroplano gettano le basi verso la conquista della terza dimensione; il periodo dal 1911 al 1935 che caratterizza l’esordio bellico dell’aeroplano; la fase dal ‘36 al ‘45 quando attraverso il secondo conflitto mondiale l’impiego bellico del mezzo aereo si espande, si consolida e si afferma sulla scena internazionale; il dopoguerra che contraddistingue l’intero arco della guerra fredda con le guerre per il dominio sul rimland e sull’heartland; la fase di transizione dal 1990 al 2003 che dopo la caduta del Muro di Berlino segna la trasformazione degli scenari e delle dottrine militari; e, l’ultimo periodo, dal 2003 ad oggi, sintesi di tutto quanto avvenuto in passato. Per ognuno di questi intervalli vengono evidenziati i momenti salienti che determinano l’affermazione del mezzo aereo dapprima quale supporto alle forze di superficie e poi, con la Seconda Guerra Mondiale ed il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki come forza in grado di esprimersi in maniera autonoma sul piano strategico e persino di risolvere le sorti di un conflitto, come molti anni prima aveva predetto Douhet. Nonostante la forza delle teorie geopolitiche classiche, nei maggiori conflitti bellici del Novecento vengono premiate le potenze che meglio avevano compreso le capacità strategiche del mezzo aereo. All’evoluzione del potere aereo, racchiusa in un arco temporale relativamente breve (un secolo di storia), quando messa a confronto con quella del potere navale e terrestre, segue un’analisi delle linee di tendenza che caratterizzano la trasformazione degli scenari geopolitici. È in questi scenari che la dottrina aerea, insieme a quella terrestre e navale, deve oggi ed in futuro misurarsi. Sono gli scenari dei passato (conflitti ad alta intensità) a cui si aggiungono quelli delle operazione di pacificazione, in un contesto generale dove i riferimenti su cui poggiava il sistema westfalico dell’equilibrio delle forze sono in parte saltati. Le teorie geopolitiche classiche del XX Secolo, ispirate dalla contrapposizione tra potenze di mare e potenze di terra, sono venute meno per una serie di ragioni; tra queste ha certamente avuto un ruolo dominante l’evoluzione del potere aereo: il mezzo aereo ha di fatto annullato la dimensione geografica che un tempo rappresentava la base della competizione tra il treno e la nave per il dominio sul pianeta. Collegando l’evoluzione della dottrina aerea a quella degli scenari, è possibile giungere ad una comparazione tra potere terrestre, potere navale e potere aereo: il risultato stravolge le teorie geopolitiche classiche. Negli scenari ad alta intensità il potere aereo ha dimostrato di essere quasi sempre decisivo ed in taluni casi anche risolutivo. Il potere terrestre ed il potere navale non possono prescindere dal potere aereo, tanto che spesso comprendono organicamente segmenti di esso. Il potere aereo oltre a svolgere un ruolo di supporto essenziale per le forze di superficie, è anche in grado di operare in maniera indipendente. Si tratta quindi solo di capire in quali scenari e situazioni può effettivamente giocare questo ruolo e come deve essere utilizzato negli altri scenari.1908 26907 - PublicationForme alternative di sviluppo turistico : l'esperienza brasiliana.(Università degli studi di Trieste, 2008-03-28)
;Violi, ChristianAdamo, FrancescoA partire dagli anni ‘70 si è assistito ad un forte sviluppo delle attività turistiche nei paesi del Sud del mondo, considerati detentori di un vantaggio competitivo in termini di luoghi incontaminati, spiagge, attrattive per gli abitanti dei paesi più ricchi. Forti investimenti sono stati realizzati dai governi locali, attraverso onerosi prestiti dalle istituzioni internazionali, e dai maggiori soggetti privati operanti nel settore turistico. I progetti realizzati tramite tali investimenti possono essere ricondotti ad alcune tipologie ben identificate, che si fondano su un concetto di sviluppo essenzialmente assimilabile a quello di crescita economica. Alcune tra le teorie in oggetto, che possono essere definite “ortodosse”, si rifanno a concetti quali la diffusione, le attività di base, i poli di sviluppo e postulano la creazione di aree turistiche di grandi dimensioni, basate sulla scelta di grandi strutture alberghiere, pacchetti viaggio “tutto compreso”, dotazione di servizi e comfort adeguati alle condizioni di vita abituali dei turisti, all’interno delle quali accogliere grandi flussi internazionali in contesti spesso isolati rispetto al resto del paese. I risultati di tali investimenti, in termini di sviluppo reale delle popolazioni interessate, in molti casi non sono stati rispondenti alle aspettative. La diffusione del benessere economico è stato spesso limitato a porzioni ristrette delle popolazioni locali, a causa soprattutto delle percentuali ridotte di spesa turistica che rimangono in loco; squilibri e tensioni si sono create tra i residenti maggiormente beneficiati dai progetti turistici e quelli rimasti ai margini di tale influsso; danni all’ambiente naturale sono stati arrecati dalla costruzione di grandi resort, in termini di consumo di suolo, di impiego di risorse e di rifiuti depositati; in molti paesi si è assistito alla crescita di una “monocoltura” turistica, che ha frenato lo sviluppo di altre attività economiche ed ha esposto questi paesi alle fluttuazioni della domanda; gravi danni, infine, sono stati provocati alle tradizioni ed alla cultura di popolazioni improvvisamente trovatesi a convivere con i flussi turistici. Negli ultimi anni, però, stanno emergendo forme di turismo diverse da quelle tradizionali: tali tipologie turistiche, sebbene spesso classificate in diversi modi, possono tutte essere ricondotte alla categoria del turismo alternativo. Tale concetto necessita comunque di una adeguata riformulazione teorica per non perdere di vista lo scopo principale: uno sviluppo realmente equilibrato delle popolazioni locali interessate dal turismo. In ogni caso, al di là delle definizioni e delle distinzioni spesso labili, ciò che interessa è indagare forme di turismo dai tratti comuni: piccoli numeri, mete diverse dalle tradizionali, partecipazione delle comunità locali, maggiore impegno e responsabilità da parte dei soggetti coinvolti (turisti e organizzatori in primo luogo), attenzione a tutte le componenti dei sistemi locali ospitanti (economia, eco-sistema, società e cultura). La domanda che il presente contributo intende porsi, dunque, è la seguente: possono queste diverse forme di turismo contribuire ad un reale sviluppo dei paesi più poveri del mondo? Per rispondere si prenderà in considerazione il concetto di sviluppo alternativo, così come teorizzato da numerosi autori ed in particolar modo da John Friedmann all’interno del suo fondamentale contributo “Empowerment. The politics of alternetive development” e come evolutosi nel corso degli anni. Si intende cioè verificare, anche attraverso l’analisi di alcuni casi studio localizzati in Brasile, se forme alternative di turismo possano aiutare a combattere la povertà in termini di dis-empowerment, vale a dire di scarso accesso alle fondamentali risorse che permettono alle persone ed alle comunità locali di ottenere potere economico, politico e sociale. Nel primo capitolo si fornirà una rassegna delle principali teorie ortodosse dello sviluppo e si cercherà di collegare la diffusione delle attività turistiche nei paesi in via di sviluppo ai concetti chiave di tali teorie. Dopo aver descritto le caratteristiche assunte dai progetti turistici localizzati nei paesi in via di sviluppo verranno delineati i problemi, di carattere economico, sociale ed ambientale, che tali tipologie hanno portato con se, utilizzando anche esempi tratti dalla principale letteratura di riferimento. Nel secondo capitolo verrà ripreso il concetto di sviluppo così come postulato all’interno delle principali teorie ortodosse e ne verrà ricostruito il significato utilizzando i cardini delle teorie alternative: in particolare si farà riferimento al concetto di empowerment. Anche in questo caso verranno delineate le principali caratteristiche dei progetti turistici basati su tali approcci e verranno presentati alcuni esempi tratti dalla bibliografia, localizzati in paesi in via di sviluppo. Si cercherà, inoltre, di fornire indicazioni di metodo per trasformare i precetti delle teorie alternative in concreta applicazione, attraverso l’utilizzo di forme maggiormente partecipative di pianificazione e l’inclusione delle comunità locali nella gestione dei progetti. Verrà infine analizzato il ruolo delle organizzazioni non governative, attori sempre più presenti nelle dinamiche della cooperazione internazionale. Nel terzo capitolo viene presentata un’analisi delle forme turistiche alternative, delle quali verranno evidenziati i tratti comuni, che permettono di distinguerle dalle forme cosiddette tradizionali (o “di massa”), e le peculiarità. Attraverso l’analisi delle caratteristiche comuni, verranno poi prospettati i vantaggi di tali forme turistiche, in termini di lotta alla povertà e di riduzione delle disparità regionali e sociali. Si è cercato, inoltre, di comporre le diverse e frammentarie fonti statistiche relative alle tipologie turistiche in oggetto, al fine di identificare le tendenze degli ultimi anni e le prospettive per il futuro. Un approfondimento è dedicato alle esperienze italiane di organizzazione e gestione di progetti turistici alternativi, sia localizzati nel nostro paese sia nei paesi in via di sviluppo. In particolare è stata realizzata una ricerca sull’Associazione Italiana Turismo Responsabile, la principale organizzazione nazionale che raggruppa associazioni impegnate a vario titolo in progetti turistici alternativi. Attraverso l’invio di questionari alle associazioni ed ai loro associati (in qualità di turisti che scelgono viaggi di questo tipo) ed attraverso colloqui con i rappresentati di alcune di queste associazioni è stato possibile identificare i caratteri distintivi e le principali dinamiche della domanda e dell’offerta di turismo alternativo in Italia. I casi studio utilizzati all’interno del quarto capitolo per verificare tale ipotesi sono stati personalmente visitati dall’autore nel corso di un periodo di ricerca sul campo svolto in Brasile con l’appoggio del Laboratorio de gestao do territorio presso l’Universidade Federal do Rio de Janeiro. Essi si riferiscono ad alcune realtà locali, all’interno degli stati del Cearà, della Bahia e di Rio de Janeiro, nelle quali progetti alternativi di sviluppo turistico sono stati implementati negli ultimi anni, sia in maniera autonoma da soggetti locali sia in collaborazione con soggetti italiani operanti in loco. Tali progetti abbracciano un ampio spettro delle tipologie turistiche classificabili tra quelle alternative, dale turismo responsabile a quello di comunità all’eco-turismo. All’interno di un paese vasto e molto differenziato, dal punto di vista geografico, economico e sociale, quale il Brasile il turismo può assumere un ruolo fondamentale nelle strategie di sviluppo e di redistribuzione della ricchezza tra le diverse aree. Numerosi studi, condotti da ricercatori brasiliani e non, portano a concludere che spesso progetti turistici basati sulle tradizionali teorie dello sviluppo, portati avanti da investitori stranieri con l’appoggio incondizionato del governo nazionale e delle amministrazioni locali, abbiano condotto a risultati nno soddisfacenti dale punto di vista di un reale avanzamento nelle condizioni generali di vita delle popolazioni coinvolte. Molto spesso, inoltre, problemi aggiuntivi sono nati a seguito dell’implementazione di tali progetti, quali sovraffollamento dovuto a fenomeni migratori di grande portata (associati alla speranza, in gran parte delusa, di ottenere lavoro all’interno di tali progetti turistici) o sfruttamento eccessivo delle risorse naturali del paese. Soltanto negli ultimi anni, però, sono state inserite all’interno dei documenti di pianificazione nazionale e locale istanze relative allo sviluppo di attività turistiche maggiormente differenziate, che facciano leva sul potenziale naturale e culturale del paese, utilizzando le differenze interne come un vantaggio competitivo e non riducendole attraverso forme turistiche omologanti. Il turismo alternativo può allora trovare spazio nelle strategie complessive di sviluppo del paese ed i casi studio analizzati mostrano come forme turistiche che rispettino le peculiarità locali e che si avvalgano della partecipazione delle comunità interessate siano in grado di innescare processi di sviluppo, inteso come aumento delle capacità personali e di comunità e lotta ai processi di dis-empowerment.1896 7909 - PublicationAlle falde del Monte Kenya. Ai confini dello sviluppo. L'intervento umanitario triestino alle pendici sud-orientali della "montagna splendente."(Università degli studi di Trieste, 2008-04-17)
;Viezzoli, GiampieroBattisti, GianfrancoIl presente lavoro di ricerca prende particolarmente in esame una regione situata in Kenya, il Mbeere. Il motivo di questa scelta è semplice. In questa regione keniana si è sviluppato per diversi decenni un significativo intervento umanitario da parte della città di Trieste, specialmente attraverso la sua diocesi, i suoi missionari, l’organizzazione non governativa ACCRI, i volontari laici, il coinvolgimento di tante persone della città giuliana, e non solo, ma anche di altre parti d’Italia, attraverso donazioni, sostegni materiali e morali di vario genere e, da ultimo, anche di organismi associativi come i Rotary Clubs di Trieste e del Friuli Venezia Giulia. Uno slancio quindi che è stato ad un tempo civile, sociale, religioso, intrapreso da varie componenti della città e volto a promuovere una parte certamente delimitata, ma molto rappresentativa, della vasta nazione keniana. Si è ritenuto maturo così il tempo di un’adeguata riflessione su questa esperienza, per svolgervi un’analisi dettagliata, non solamente da un punto di vista storico, vale a dire della cronologia degli eventi che hanno contrassegnato questa esperienza in quasi quarant’anni, a partire dal 1970, ma anche per comprendere meglio il territorio su cui è insistita questa esperienza. Comprendere le peculiarità di quella regione in termini fisici, economici, antropologici, sociali. In sostanza uno studio di geografia umana, forse nel senso classico del termine, teso cioè a comprendere la presenza dell’uomo in una determinata porzione di territorio, in rapporto ai fenomeni più pregnanti dell’ambiente che lo circondano e come questi influenzano la sua esistenza. Inoltre, poiché emerge con immediatezza quanto ci si muova in un contesto socio-economico molto arretrato, il presente studio geografico assume anche le caratteristiche di una ricerca condotta sui contenuti e le modalità del sottosviluppo di questa zona, inserendosi, probabilmente, nel filone tipico degli studi di geografia dello sviluppo. La regione considerata è infatti quella che si estende sul versante sud orientale del monte Kenya, il massiccio centrale principale della nazione keniana, a cui da lo stesso nome. Un territorio molto particolare da un punto di vista geografico perché varia dalla sommità montuosa dell’ex cratere, costituita oggi dai due picchi principali Batian e Nelion entrambi di un’altitudine superiore ai 5000 metri, per scendere gradualmente, in tipico ambiente afro-montano, costituito da lande e pietraie, poi da umide foreste alpino-tropicali, quindi da foreste di bambù, falde montuose e declivi collinari, fino alle quote più basse di 800-1000 metri, ricoperti di savana arbustiva in clima semiarido. Questa enorme varietà di paesaggio condiziona moltissimo l’esistenza dell’uomo, le sue scelte esistenziali, le produzioni agricole, gli assetti sociali e culturali delle comunità. Questa grande varietà umana ed ambientale è stato possibile studiarla da vicino anche perché l’intervento umanitario triestino, non è partito subito dalla regione del Mbeere ma, in realtà, ha iniziato proprio sulle pendici più alte, ancora abitate, del monte Kenya, vale a dire nell’Embu superiore, territorio montuoso, circondato dalla foresta tropicale, a quote altimetriche che raggiungono tranquillamente i 2000 metri. Qui, nella piccola località di Ngovio, si è svolta la prima fase della missione triestina, dal 1970 al 1984. Successivamente, a completamento di un ciclo molto positivo e ricco di risultati concreti, l’intervento umanitario di Trieste ha scelto di riposizionarsi in un ambiente naturale ed umano molto più svantaggiato e sofferente, quello definito dell’Embu inferiore o, appunto, del Mbeere, dal nome dell’etnia che lo abita e che diverrà, infatti, la sua denominazione ufficiale allorché le autorità governative, nel 1996, decideranno di costituirlo in distretto amministrativo autonomo, al pari degli altri distretti in cui è suddiviso il Kenya. Riconoscimento tardivo, segno evidente della marginalità con la quale esisteva ed era percepita questa zona, in effetti molto trascurata anche dai colonizzatori inglesi, cosa che non le ha mai consentito uno sviluppo degno di questo nome, ma che, allo stesso tempo, l’ha preservata lungamente dalle caotiche trasformazioni tipiche della modernità. Un pezzetto d’Africa rimasto quindi intonso, con i suoi grandi pregi, ma anche con il peso delle sue arretratezze e difficoltà esistenziali. Un piccolo microcosmo molto significativo dal punto di vista dello studio di un Africa rurale che non riesce ancora ad emanciparsi, pur se attraversata tutto attorno e trasversalmente dalle grandi correnti dei cambiamenti sociali e culturali che spazzano l’intero continente nero. In questo territorio marginale si insediano nuovamente nel 1984 i sacerdoti e volontari triestini. Tale insediamento avviene proprio in concomitanza con una delle più gravi carestie degli ultimi decenni, quella conseguente alle annate gravemente siccitose del 1983 e 1984. Vengono quindi avviate varie iniziative atte a sostenere la popolazione del luogo fortemente provata dalla penuria alimentare ed idrica. Nella ricerca vengono esaminate queste tipologie di intervento. Lo studio di questo territorio è inoltre significativo per altre ragioni. La prima è rappresentata dalle conseguenze prodotte dalla riforma agraria e dalla suddivisione delle terre, Land Adjudication Programme, che sconvolge l’assetto tradizionale della ripartizione dei terreni fra i clan della popolazione Mbeere e si riflette pesantemente sugli stessi archetipi di produzione agricola. Altro elemento peculiare da considerare è l’attività esogena su questo territorio, promossa dal Governo keniano, mediante la costruzione di grandi sbarramenti idroelettrici sul corso del fiume Tana, il principale del Kenya quanto a lunghezza e portata d’acqua, che sconvolge il basso Mbeere con grandi lavori, nuove infrastrutture, mutamento dell’ambiente tipico fluviale, arrivo di manodopera straniera dall’Europa orientale, nuove strade asfaltate mai viste prima, grandi automezzi, in una parola un notevole quanto improvviso impatto con la modernità. Quindi è significativo comprendere i processi di sostegno alla popolazione avviati in questo articolato contesto proprio dall’intervento umanitario preso in esame, a cosa effettivamente esso mirava, l’entità e tipologia degli aiuti realizzati, quali riscontri si sono avuti sull’evoluzione economica, agricola, perfino sociale della gente del luogo. Ad esempio, il favorire il diffondersi della produzione della frutta tropicale fra le coltivazioni locali, l’introduzione delle piante foraggiere idonee all’ambiente arido, la creazione di vivai orto-frutticoli, la ripresa della raccolta del miele, la trasformazione artigianale di alcuni di questi prodotti. Per non dimenticare l’opera di sistemazione di strade o piste all’interno della savana, la realizzazione di dighe, invasi, pozzi, cisterne, serbatoi nonché di importanti centri di aggregazione sociale, costituiti dalle piccole chiese o cappelle, dispersi nel fitto della boscaglia. Diviene quindi importante l’esame del progetto di Kamurugu, il centro agrario dimostrativo-sperimentale avviato dalla cooperazione triestina e che rappresenta l’esempio più riuscito e significativo dal punto di vista della cooperazione allo sviluppo svolta in questa zona, ma anche in tutto il Kenya, tanto che nel 2002 le Nazioni Unite, con sede a Nairobi, lo proclameranno l’intervento più riuscito di riduzione della povertà in Kenya. Una serie di analisi quindi che consentono di capire meglio non solo la realtà di un ben delimitato territorio, ma anche di comprendere i complessi meccanismi legati allo sviluppo, le correlazioni fra le tipologie di produzione agricola e la povertà rurale, lo stato della sanità pubblica, la carenza dell’approvvigionamento idrico, la precaria scolarizzazione, le deboli infrastrutture, il loro impatto complessivo sui processi di sviluppo in atto, ma che faticano alquanto a realizzarsi. Ecco perché una sezione di questo studio è dedicata anche a comprendere il problema della povertà e del sottosviluppo in tutto il Kenya, per poi poterlo meglio declinare al livello dei piccoli distretti rurali come il Mbeere. Infine si è dovuto provvedere a svolgere un doveroso aggiornamento sulla situazione politico-economica del Kenya quale realizzatasi all’indomani delle elezioni presidenziali e parlamentari del 27 dicembre 2007, il cui esito, com’è noto, ha precipitato il paese in un rovente clima di scontri etnici e sociali. Scontri che hanno avuto pesantissime ripercussioni sull’economia, la quale era in piena crescita da diversi anni e che ora sarà invece seriamente messa alla prova. Fortunatamente la mediazione dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha avuto successo, ha riavviato il dialogo istituzionale interrottosi ai massimi livelli e ha ridato concrete speranze di pace al popolo keniano.1407 562 - PublicationL'incidenza geosociale dei flussi migratori nella localizzazione delle strutture bancarie.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-17)
;Murer, MariagraziaPegorer, PaoloLe modifiche degli assetti finanziari nei paesi ad economia avanzata e i fenomeni migratori sono due aspetti della contemporaneità che producono mutamenti geosociali all’interno delle realtà locali. Lo studio dell’organizzazione dello spazio attraverso i rapporti socioeconomici, ponendo attenzione alle dinamiche che sostengono i processi di indifferenziazione, porta a cogliere le alterazioni che condizionano l’espressione compiuta del valore dei luoghi e dei singoli individui. Attraverso ottiche appartenenti alla geografia sociale e alla geografia dei sistemi finanziari e utilizzando una prospettiva “territorialista”sul significato di sviluppo locale, abbiamo indagato sull’inclusione finanziaria dei migranti in un’area circoscritta del Veneto Orientale che si caratterizza per la numerosa presenza di agenzie bancarie e una percentuale di cittadini stranieri in linea con quella nazionale. All’interno di quest’area sono stati somministrati questionari ai lavoratori stranieri suddivisi per genere, nazionalità e tempo di permanenza in Italia e sono state effettuate interviste con rappresentanti delle organizzazioni istituzionali, economiche, sociali del territorio. Le conclusioni dell’indagine rivelano che, a fronte di dati nazionali e locali che indicano un aumento costante di cittadini stranieri “bancarizzati”, emergono realtà individuali che pongono in evidenza elementi di criticità di un sistema che offre risposte standardizzate senza tener in considerazione le differenze, le identità uniche, le complessità di cui sono portatrici le persone e i luoghi che da esse sono formati e questo può concorrere a determinare differenziazioni territoriali e nuove gerarchizzazioni spaziali.987 2533 - PublicationIl trasporto aereo analisi delle trasformazioni in atto e studio di fattibilità di una rotta(Università degli studi di Trieste, 2008-04-17)
;Carli, FrancescaBattisti, GianfrancoIl trasporto aereo europeo fino agli anni ’80 rappresentava il settore più rigidamente controllato dagli apparati governativi, e solo grazie all’impulso degli organi comunitari ha avviato una fase di rinnovamento delle proprie strutture giuridiche che ha profondamente ridefinito i principi del mercato. Il tutto è stato attuato mediante un processo di deregulation del settore verificatosi negli Stati Uniti dieci anni prima, che ha avuto come effetto più evidente lo sviluppo dei vettori low cost e no frills. La vendita di biglietti aerei a prezzi irrisori rispetto alla possibilità dei vettori tradizionali è stata resa possibile grazie alla diversa struttura della nuova generazione di vettori, capace di scardinare completamente il sistema di trasporto aereo ed imponendo un nuovo sistema di regole sul mercato. La tesi in oggetto quindi si è posta l’obiettivo di studiare l’effettiva fattibilità di un collegamento aereo, analizzando l’intera e complessa procedura del processo che porta al risultato finale di operabilità dello stesso in termini di vantaggio economico, con effetti indotti di espansione sul mercato e di immagine dell'azienda stessa. Si vuole in particolare portare un contributo pratico, includendo l'analisi di una serie di dati economici, statistici e sociali utili a rafforzare quel segmento del processo che considera gli aspetti legati al territorio geografico in cui si va ad operare, tassello che si colloca tra rilevanti fattori economici, legislativi, statistici e sociali indispensabili al raggiungimento dell'obiettivo finale. Un collegamento aereo necessita di un'analisi di base del territorio su cui va ad operare, dalle potenzialità dell'area in termini di bacino di utenza, le infrastrutture esistenti (collegamenti ferroviari ad alta velocità, rotte e vettori aerei già operanti sul territorio, capacità aeroportuali..), l’economia generale del territorio regionale, le valenze turistiche e la realtà sociale presente (tipologia di utenza potenziale per un determinato collegamento). Gli obiettivi conoscitivi che hanno guidato il lavoro si sono focalizzati sulla comprensione del settore del trasporto aereo in Europa, attraverso l’analisi degli aspetti giuridici e del mercato entro cui si sono sviluppate le nuove tendenze dei vettori aerei. Si pongono in evidenza le nuove politiche strategiche dei nuovi entranti, le strategie competitive adottate dalle compagnie low cost, con riferimento al tipo di vantaggio perseguito e all’ambito nel quale esse scelgono di operare, rilevando quali elementi fondano la sostenibilità del vantaggio competitivo ed individuando gli aspetti innovativi che caratterizzano le strategie dei vettori di nuova generazione. Nello specifico, il lavoro consta di un’analisi teorica, nella quale vengono esposte le principali nuove regole e normative che caratterizzano oggi il mercato aeronautico, accanto alla definizione degli argomenti che insistono sul panorama del trasporto aereo che coinvolgono i vettori stessi: la definizione dei confini dell’aria accanto alla nuova normativa del cielo unico europeo, il processo di liberalizzazione e gli accordi internazionali tra vettori. Oneri di servizio pubblico, tasse aeroportuali e concessione degli slots sono gli altre argomentazioni che trovano ambito nel capitolo giuridico che vuole creare un cappello introduttivo utile a comprendere il sistema del trasporto aereo oggi e le dinamiche insistenti sul mercato. L’analisi dedicata al mercato aeronautico copre due capitoli, suddivisi per area geografica considerata: il primo analizza la situazione mondiale ed europea e la sua evoluzione negli anni, la sua struttura e la competizione insistente tra vettori tradizionali, ossia le majors da sempre primeggianti accanto ai piccoli vettori regionali subordinati nei collegamenti minori tra gli aeroporti satelliti e gli hub principali serviti dai vettori di bandiera, e i nuovi low cost che hanno in pochi anni rivoluzionato l’intera ottica di mercato. In questo contesto si sono analizzate le nuove reti di trasporto attivate accanto al nuovo assetto del sistema, i modelli aerei a confronto e le reti delle rotte attivate. L’altro capitolo focalizza l’attenzione al mercato italiano, ed osserva con spirito analitico gli effetti dell’evoluzione mondiale ed europea all’interno del contesto nazionale, i vettori insistenti sul mercato e l’approccio dei low cost e low fare in questo ambito. La situazione del mercato italiano ha permesso di effettuare alcune analisi sulle problematiche esistenti ed ipotizzare alcune ipotesi di soluzione, osservando più da vicino i vettori italiani oggi operativi sul mercato nazionale ed approfondendo il caso eclatante di Alitalia e dell’hub di Malpensa oggi al centro di grosse discussioni politiche legate alla cessione del vettore di bandiera italiano. Il fenomeno low cost e le sue strategie nel mercato sono stati esplorati in due capitoli distinti, attraverso l’esposizione dei diversi modelli nati sul mercato mondiale ed europeo, e gli effetti che hanno avuto sull’intero contesto del trasporto. Costi ed analisi di mercato dei vettori sono risultati un indispensabili argomenti per la realizzazione del caso studio proposto nella parte finale del lavoro. Con queste analisi è stato possibile infatti comprendere le tipologie di costo sostenute dai diversi modelli di vettori, la diversa filosofia attuata per la loro riduzione e l’adeguamento del nuovo sistema low cost anche da parte delle stesse infrastrutture che collaborano a stretto contatto con il mondo dei vettori: gli aeroporti. Anche i costruttori di aeromobili hanno dovuto adeguare i propri modelli costruttivi in prospettiva del nuovo mercato che va a delinearsi nel corso degli anni, incentrando il focus su modelli jet di piccola capacità adatti a brevi collegamenti, con livelli di qualità e confort più elevati rispetto ai vecchi e rumorosi motori a turboelica, accanto alla costruzione di enormi macchine adatte a lunghi percorsi e trasporto di numerosi passeggeri. Un altro elemento da considerare nel processo di analisi sulla fattibilità di un collegamento aereo in una precisa realtà geografica riguarda la competizione da parte di altre modalità di trasporto come quella ferroviaria, specie nell’area centro europea, dove l’alta velocità offre una valida alternativa all’utenza in tempi di costi e tempi di percorrenza. La seconda parte del lavoro propone un caso studio di una rotta aerea richiesto da un vettore low cost italiano attivo sul mercato europeo. L’analisi della fattibilità di un nuovo collegamento aereo da Bologna ad Amsterdam, già attivato da un vettore tradizionale, vuole focalizzare l’attenzione sul territorio emiliano ed il bacino di utenza gravitante attorno all’aeroporto, attraverso l’analisi dei dati statistici ufficiali e quelli reperiti direttamente sul campo. Oltre alla stima del traffico esistente, si vuole misurare anche quello di possibile generazione in conseguenza all’offerta di un volo low cost con tariffe più basse. La fattibilità in termini di costo, sia per il vettore considerato (MyAir), che per quello leader sul mercato europeo (Ryanair), forniranno un utile termine di paragone che andrà a sommarsi tra gli elementi indispensabili a concludere sulla fattibilità o meno del collegamento ipotizzato. Lo studio della pianificazione delle rotte aeree assume significatività rilevante quando tali attività incentivano la mobilità e creano sul territorio le dinamiche tali da renderlo economicamente attivo ed attrattivo attraverso la creazione di nuove attività economiche. Sullo stesso principio, anche le aerolinee traggono vantaggio nell’insediarsi in aree geografiche vive ed attive, interessate dal processo di espansione e costituite da una struttura sociale ed economica dinamica ed interessata ad essere collegata con altre aree e nuovi mercati.4597 6434 - PublicationIl monitoraggio degli effetti del global change sui sistemi naturali.Indagini e campagne glaciologiche sul ghiacciaio di Fontana Bianca in Alto Adige(Università degli studi di Trieste, 2008-04-17)
;Di Lullo, AndreaRossit, ClaudioIl presente lavoro di ricerca descrive le attività sul campo e le conseguenti elaborazioni dei dati raccolti, durante la campagna glaciologica sul ghiacciaio di Fontana Bianca, in Val d’Ultimo, durante l’anno 2006-2007. I ghiacciai sono ottimi testimoni dell’andamento climatico, e le variazioni nelle dimensioni orizzontali e verticali degli stessi sono direttamente collegate alle oscillazioni climatiche cui è soggetta l’area montuosa ove si trovano. Tali cambiamenti sono percepibili anche dalla collettività da un semplice confronto fotografico. I ghiacciai non hanno importanza solo come riserve di acqua, infatti determinano anche il regime idrologico di molti bacini idrografici alpini ed hanno grande rilievo per l’industria del turismo. L’accumulo ed il rilascio di acqua è di grande valore nei più disparati ambiti sia scientifici sia pratici, come nel caso della produzione di energia idroelettrica, in quello delle previsioni di piena e delle oscillazioni del livello degli oceani, per le modifiche nelle forme del territorio o l’irrigazione delle superfici agricole nei periodi di siccità. Il ghiacciaio di Fontana Bianca è un piccolo ghiacciaio di circo esposto ad est, che si trova nella parte sud delle Alpi orientali, precisamente nel gruppo dell’Ortles–Cevedale. Ha una superficie di circa 0,49 km2 (rilievo 2007) e si sviluppa dai 3370 m s.l.m. ai 2890 m della lingua glaciale in orografica destra. A causa della continua e progressiva perdita di massa glaciale e della posizione della linea di equilibrio, che si trova ormai da alcuni anni, al si sopra della parti più alte del ghiacciaio, l’apparato mostra ormai evidenti segni di disgregazione con la progressiva emersione di nuove isole rocciose. Per le sue dimensioni contenute, per la facilità d’accesso e per la mancanza di zone particolarmente pericolose, questo ghiacciaio si è rivelato un “ottimo” bacino d’osservazione. Sul ghiacciaio di Fontana Bianca i primi bilanci di massa furono effettuati tra il 1983 ed il 1988. Dopo un’interruzione di tre anni, le misurazione vennero riprese dall’Ufficio Idrografico della Provincia Autonoma di Bolzano in collaborazione con l’Istituto di Geografia dell’Università di Innsbruck. Dall’anno idrologico 2002-2003, le campagne di misura vengono effettuate autonomamente dall’Ufficio Idrografico. Il bilancio di massa viene riferito all’anno idrologico, che va dal primo ottobre al 30 settembre, ed all’interno di esso sono calcolati separatamente il bilancio invernale, basato sul periodo che inizia il primo ottobre e termina al momento di massimo accumulo, e il bilancio estivo, che copre il periodo restante. Il metodo utilizzato è quello glaciologico diretto, che si basa sulla misura delle variazioni dello spessore della massa glaciale rispetto alla chiusura del bilancio precedente. In pratica si misura periodicamente la lunghezza della sporgenza di paline ablatimetriche infisse nel ghiaccio in posizioni scelte in base a criteri di rappresentatività. Per ogni palina si calcola il saldo netto tra la quantità di neve che si accumula e quella di neve e ghiaccio che fondono. I valori di bilancio complessivi vengono calcolati estrapolando all’intera superficie glaciale i valori relativi alle singole paline. Tutte le operazioni di calcolo sono state effettuate in ambiente GIS (ArcView 9.2) e restituite sotto forma di cartografia tematica e di dati in formato excel. Nelle ultime analisi viene proposto un confronto tra i risultati ottenuti ed i dati pubblicati dal World Glacier Monitoring Service, ed esaminata la tendenza globale edita dal Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici (IPCC) nel Quarto Rapporto di Valutazione.941 3390 - PublicationSonno e variazioni dell'efficienza di attenzione e inibizione.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Jugovac, DavideCavallero, CorradoIl presente lavoro nasce dall’esigenza di integrare la psicofisiologia del sonno con i modelli della psicologia cognitiva. Si è voluto in questo modo chiarire l’effettiva natura dei decrementi osservabili a carico di funzioni cognitive importanti quali l’attenzione e l’inibizione in condizioni di debito di sonno, superando le generiche conclusioni spesso riportate in letteratura e relative a non meglio specificati deficit attenzionali (Dinges e Kribbs, 1991). I compiti utilizzati sono stati l’Attention Network Test (ANT), costruito sulla base del modello di Posner e Raichle (1994), e lo Stop Signal Task (SST), compito afferente allo stop signal paradigm di Logan e Cowan (1984). Gli esperimenti effettuati sono stati in tutto cinque, ma soltanto tre di essi hanno riguardato una manipolazione sperimentale delle condizioni di sonno. Il secondo e il quarto esperimento sono stati invece necessari per avere conferma del fatto che le modifiche apportate ai compiti non avessero modificato in maniera significativa la loro capacità di valutare le funzioni cognitive in questione. In generale, sia l’Attention Network Test che lo Stop Signal Task si sono rivelati degli strumenti validi per la rilevazione delle variazioni del livello di vigilanza nell’ambito della ricerca sul sonno. Nel primo esperimento, le prestazioni ottenute in seguito ad una notte di sonno normale sono state confrontate con quelle che seguivano una notte di deprivazione totale. Entrambi i compiti hanno rilevato un calo del livello di allerta evidenziato dall’incremento delle latenze medie di risposta ai test. Per quanto riguarda l’ANT, al minor grado di vigilanza non ha fatto seguito un peggioramento generalizzato dell’efficienza di tutti e tre i network attenzionali ma soltanto di quello relativo al controllo esecutivo. Il test SST ha invece rilevato un netto peggioramento nella capacità dei partecipanti di inibire una risposta dominante in condizioni di veglia prolungata. Nel loro complesso i dati indicano pertanto che la deprivazione totale di sonno provoca un peggioramento significativo in particolare dell’efficienza delle funzioni inerenti al controllo esecutivo. Il terzo esperimento ha riguardato lo studio degli effetti di una riduzione di sonno a tre ore, con risveglio anticipato. Pur trattandosi di una quantità inadeguata per consentire alla persona un pieno recupero delle proprie funzionalità cognitive, in alcuni studi essa si è rivelata sufficiente per mantenere alcune prestazioni intatte (Wilkinson et al., 1966). Per quanto riguarda l’attenzione, i risultati ottenuti hanno confermato quanto osservato nell’esperimento di deprivazione totale di sonno. Anche dopo tre ore di sonno l’incremento dei tempi di reazione e il calo dell’accuratezza hanno confermato l’abbassamento del livello di attivazione dei soggetti. Allo stesso modo però il calo della vigilanza non si è manifestato in un generico abbassamento delle risorse attentive riguardando invece la sola componente del controllo esecutivo. Diversamente dal primo esperimento, nonostante il calo della vigilanza si sia rivelato di entità inferiore rispetto a quello osservato in situazione di deprivazione, il peggioramento dell’efficienza della rete attenzionale del controllo esecutivo è risultato essere della stessa entità. Inoltre, mentre in seguito a deprivazione totale la prestazione dei soggetti aveva subito un peggioramento significativo per tutti i tipi di prova, l’opportunità di dormire per tre ore ha variato l’impatto della manipolazione sui diversi tipi di trial rendendo il quadro osservato più complesso. I risultati allo Stop Signal Task non hanno invece messo in evidenza alcun peggioramento in seguito a riduzione di sonno. Tale dato, messo a confronto con il peggioramento osservato in seguito a deprivazione totale, sarebbe di per sé interessante in quanto potrebbe far pensare all’esistenza di un numero minimo di ore di sonno sufficienti a mantenere intatta l’efficienza dell’inibizione di una risposta dominante contrariamente a quanto osservato per l’attenzione. Tuttavia, l’assenza di un peggioramento nelle latenze medie di risposta come anche nell’accuratezza, rende necessario un atteggiamento prudente nell’interpretazione dei dati ottenuti. Ad oggi, lo studio degli effetti di una notte di sonno ridotto sui processi cognitivi ha riscosso un interesse minore rispetto alle conseguenze di un periodo di veglia prolungata ininterrotta (Lavie, 1999). Nel loro insieme, i risultati del terzo esperimento mostrano invece come questo tipo di studi sia altrettanto interessante e verosimilmente più complesso rispetto alle situazioni sperimentali maggiormente studiate. Con l’ultimo esperimento si è voluto indagare se i deficit riscontrati in condizioni di debito di sonno sperimentalmente indotto fossero osservabili anche in una situazione clinicamente rilevante come quella di pazienti affetti da sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS). I risultati ottenuti per mezzo del test ANT e del test SST hanno confermato questa ipotesi. Per quanto riguarda l’attenzione, anche in questo caso il peggioramento nei tempi di risposta riscontrato nei pazienti OSAS non ha prodotto un abbassamento generalizzato dell’efficienza dei tre network attenzionali. Il deficit si è rivelato invece essere ancora una volta a carico del solo controllo esecutivo. Per quanto riguarda la capacità di inibire una risposta dominante, la sindrome OSAS si è rivelata debilitante portando i pazienti affetti da questa patologia ad avere una prestazione significativamente peggiore rispetto ai gruppi di controllo. Il risultato è stato dunque simile a quello ottenuto dai partecipanti al primo esperimento in condizioni di deprivazione totale. Nel loro complesso, i dati ottenuti nel corso dei vari esperimenti hanno ripetutamente messo in evidenza la sensibilità delle funzioni esecutive sia alle condizioni di debito di sonno sia in presenza di patologie legate ad un disturbo del sonno come l’apnea ostruttiva. Questo risultato rappresenta un importante sviluppo per una miglior comprensione degli effetti esercitati dalla carenza di un sonno ristoratore sul processamento cognitivo. Infatti, se i dati qui presentati hanno nuovamente confermato che la mancanza di sonno comporta un calo complessivo del livello di allerta, gli stessi hanno indicato in maniera altrettanto chiara come questo peggioramento non si manifesti in maniera generalizzata ma abbia caratteristiche precise e dotate di una certa sistematicità e coerenza.1932 14626 - PublicationNumbers, space and motion, convergent data about their interaction. Behavioral, electrophysiological and TMS evidence(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Salillas Perez, ElenaSemenza, CarloIn this thesis five studies on the relationship between numbers and space and between numbers and motion are presented. The introduction of the thesis contains a description of works dealing with the link between numbers and spatial attention. This includes some behavioral data exploring shifts of spatial attention induced by numbers, data from hemispatial neglect and neuroimaging data. We further explore space-number relationship across modalities (vision and audition) and discuss how the semantics of numbers are dependent or independent form the used modality. This includes an study on blind population using the auditory modality. In a second part, the possible relationship between numbers and motion is introduced and discussed. Two papers that bring convergent data about it are provided. In the first one, an interference of the perception of motion into a number comparison process is presented. In the second paper, a neural substrate in the intraparietal sulcus is proposed as a focus of intersection between number and motion processes. Finally, a study with neglect patients explore possible compensatory mechanism of motion in their altered spatial representation of numbers. Amounting evidence exists on the relationship between numbers and space (see introduction). Numbers´ semantics would have the form of a mental number line with spatial characteristics. Fischer and collaborators (2003) showed that a lateralized target presented on the left visual field (LVF) is detected faster after low numbers than after high numbers and a target presented on the right visual field (RVF) is detected faster following a high number than after low numbers. The studies presented here explore these shifts of attention induced by numbers in electrophysiological terms. Event related potentials (ERPs) allow to explore the process underlying this effect: we describe it as a conjunction of attentional sensory and cognitive, more controlled, mechanisms. We test the possibility that the effect extends to the auditory modality both in sighted and in blind individuals. And we show interesting differences between the two populations in the way they manipulate a similar left-to-right number representation. Regarding the link between motion and number processes, we show how rightward motion facilitates a process thought to call the core presentation of numbers: number comparison. We also explore the vertical dimension, in which upward motion has the same facilitatory effects in number comparison. We show how selective attention to motion has effects on the number comparison process and that his effect may be independent of space-location effects. Furthermore, using transcranial magnetic stimulation (TMS), we present evidence of possible common neural networks processing numbers and motion. One area of intersection, we show, is the ventral intraparietal sulcus (VIPS). VIPS has been proposed previously as an area processing motion in humans. We show that besides motion it is implied in number comparison processes. Finally, we use the behavioral paradigm from the third paper to explore possible effects of motion perception in number processing in hemispatial neglect. While several papers show their difficulty in the representation of the “left side” of the mental number line or in its access, we show that this difficulty or misrepresentation can be compensated by the external presentation of leftward coherent motion. Therefore, common attentional processes seem to be acting over external and internal representational space. In summary, the present thesis provides evidence of the space number relationship and describe how they interact through electrophysiological methods. Some tentative conclusions about the modality dependencies of the number-space link can be drawn from the comparison between modalities. Besides, when there is no access to the visual modality, in congenital blindness, we show how a left to right mental number line stands, but its manipulation varies. We propose motion as another process operating over number representation and provide direct evidence of this new link. Finally, we show how motion acts as a compensatory mechanism in neglect.1068 1782 - PublicationProcessing regularities without language(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Versace, Elisabetta ;Vallortigara, GiorgioHauser, MarcNatural environments contain different regularities: from the daylight/darkness cycle to the use of alarm calls to signal the presence of predators. Different species can hence find advantage of extracting regularities to adapt their behaviour to the physical and social environment. In this thesis I investigate the capabilities of different species to process visual and acoustic regularities. The experiments presented here are structured around the distinction between different types of regularities that can work as predictors – repetitions of the same event, item-based regularities, and abstract regularities – and correspondent computational capabilities. As a general working hypothesis, I have investigated whether the processing of abstract regularities requires the capability to extract item-based regularities and whether the processing of item-based regularities requires the capability to extract repetitions of the same events, in a hierarchical organization. Another line of research concerns the processing of positional regularities. These patterns refer to the specific locations of the stimuli, for instance the edges of a string, or the relative position of the tokens that compose a string. In the first study I used a new paradigm in which subjects, cotton-top tamarins, faced the problem of avoid auditory masking in the production of contact calls during intermittent background noise. In order to vocalize during silent intervals, tamarins could use information conveyed by repeated stimuli that functioned as valuable predictors of silent intervals. The results show that all subjects mastered the repetition of simple acoustical cues: tamarins extracted predictive acoustic cues from an intermittently noisy environment and used this information to time vocal output and avoid masking. Using visual configurations, I also studied the computational capabilities of these monkeys to process item-based and abstract regularities in the visual domain. Tamarins were first trained to discriminate between patterns consistent and inconsistent with either an item-base regularity – A(X)^n B – or an abstract regularity – Ai(X^nAi. In the subsequent test phase, they had to distinguish between new stimuli consistent or inconsistent with the target rule. The results are consistent with a hierarchical organization of computational capabilities: while tamarins promptly mastered the item-based pattern, they were able to generalize only partially to new stimuli consistent with the abstract regularity. Hence, although this thesis does not completely answer the empirical question about the hierarchical organization of regularity processing, it brings relevant data to the debate. The second line of research investigates regularity processing using using the interspecific comparison. Using the habituation-discrimination method with chimpanzees and an analogous method with human beings, I compared the strategies used in these species to encode positional information in acoustic sequences. Results suggest that both chimpanzees and humans, irrespective of the possession of language, have a bias in favour of the elements located at the edges of acoustical strings. In choosing the methods to study cotton-top tamarins, chimpanzees, and human beings, I have used different paradigms and modalities of presentation of the stimuli that take into consideration species-specificities (constraints and specializations). I have also paid close attention in designing experiments that can be used to study either positional regularities, repetitions of the same stimuli, item-based, and abstract regularities, while leaving the possibility to extend the study of the hierarchical organization of computational capabilities open.1125 2130 - PublicationThe immigrant child: psychological and socio-cultural adjustment to the Italian host culture.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Dimitrova, RadosvetaTallandini, Maria AnnaThe aim of this doctoral thesis was to deepen the knowledge of psychological and socio-cultural adjustment patterns in immigrant school-aged children in Italy. More specifically, the research was aimed at assessing whether the expression of emotional instability, prosocial behavior, aggression and depressive symptoms, differed between immigrant and native Italian and Slovene children. Special attention is dedicated to the Friuli-Venezia Giulia region, accounting for different community facets and integration approaches adopted by the main ethnic communities of immigrants (i.e Albanian and Serbian). This area has been investigated because it presents distinctive characteristics due to the presence of two native communities - the Italian and the Slovene one which is an ethnic minority, possessing a particular minority status. The theoretical background of psychological and socio-cultural adjustment domains is conceptualised within a framework of immigrant communities developed by Ward and colleagues (Ward & Kennedy, 1999; Searle & Ward, 1990). Accordingly, psychological adjustment studied here concerns mental health aspects such as depressive symptoms, mood disturbances and general well-being, whereas socio-cultural adjustment refers to social competence and ability to interact adequately within the host society. Furthermore, the issues of psychological and socio-cultural adjustment are integrated into two conceptual models on development for children with immigrant and multicultural backgrounds. The first one is the model of Garcia Coll and Szalacha (2004), which examines the interaction of culture, ethnicity and immigration in relation to children’s developmental competencies. A key assumption is that immigrant children’s psychological, socio-cultural and cognitive development is influenced by their social position within a stratified society and by how developmental outcomes are promoted or inhibited by schools. The second model developed by Brody et al. (2002) provides an additional means to examine the relation between parental psychological well-being and children’s psychological and socio-cultural adjustment. In particular, parental psychological well-being such as higher self-esteem, greater optimism and lower depressive symptoms promotes supportive parent-child relationships that together facilitate the development of children’s competence in enabling them to cope effectively with stressful experiences. Based on these considerations, the present studies were guided by four hypotheses. First, it was expected that immigrant children due to their disadvantaged social position and migration-related life experiences would show more psychological and socio-cultural adjustment difficulties than their native peers. Second, we hypothesized that children’s psychological and socio-cultural outcomes would be linked to both language and cognitive skills, and that the association between these variables would be strongest for the immigrant group. Third, we explored adaptation processes through indicators of psychological and socio-cultural outcomes as reported by teachers. We expected to find higher levels of adjustment difficulties in immigrant than in non-immigrant children. Finally, negative parental immigration experiences including less positive sense of self, less optimism, more depressive symptoms and parenting distress were expected to predict compromised psychological functioning in children. The investigation was based on three different multiethnic samples of immigrant (Albanian, Russian and Serb) and non-immigrant (Italian and Slovene) school-aged children. They were tested with the Childhood Social Adjustment Capacity Indicators Questionnaire (Caprara et al., 1992), the Children’s Depression Inventory (Kovacs, 1988), the Peabody Picture Vocabulary Test - Revised (Dunn & Dunn, 2000) and the Raven Coloured Progressive Matrices (Raven, 1984). Teachers were requested to complete the Childhood Social Adjustment Capacity Indicators Questionnaire (Caprara et al., 1992) and the Teacher Report Form (Achenbach, 1991). In addition, both parents were administered the Rosenberg Self-Esteem Scale (Rosenberg, 1979), the Life Orientation Test (Scheier & Carver, 1992), the Center for Epidemiological Studies-Depression Scale (Radloff, 1977) and the Parent Stress Index-Short Form (Abidin, 1993). The results confirmed previous conclusions that immigrant and non-immigrant group mean levels of adjustment differed significantly (Leavey et al., 2004; Atzaba-Poria et al., 2004; Stevens et al., 2003), pointing to psychological and socio-cultural difficulties that immigrant children experience in adjusting to the Italian host culture. There were four major findings. First, immigrant children showed more adjustment problems due to higher levels emotional instability, aggressive behavior, and depression, and lower levels of pro-social behavior than non-immigrant children. Second, there was a strong association between psychological and socio-cultural adjustment problems and lower cognitive capacities in the immigrant group of children who scored lower on both language and cognitive tests compared to the two non-immigrant groups. Third, children’s adjustment difficulties in response to the migration process were confirmed by their teachers’ reports indicating higher scores on emotional instability, aggression, internalizing, withdrawal, anxiety and depression. Finally, both immigrant parents showed lower levels of psychological well-being due to lower self-esteem and higher depressive symptoms, higher parenting distress and parent-child dysfunctional interaction. The results of this thesis add to the findings (e.g Leavey et al., 2004; Atzaba-Poria et al., 2004), that children involved in immigration transition display more problematic psychological and socio-cultural adjustment patterns compared to native-born children. The relevance of these findings can be seen in both theoretical and applied research contexts. On the one hand, future investigations into the field of immigration may utilize these outcomes to gain an insight into the problems experienced by immigrant children in adjusting to a new Italian culture. On the other hand, the results indicate ways to enhance support programs in order to assist immigrant children’s successful psychological and socio-cultural adjustment. This thesis is composed by seven chapters starting with theoretical introduction to the theme of psychological and socio-cultural adjustment domains (Chapter 1), and an overview of recent immigration phenomena in Italy (Chapter 2). The following chapters present four empirical studies (Chapters 3 to 6). Chapter 3 aimed at investigating psychological (depressive symptoms) and socio-cultural adjustment (emotional instability, pro-social, and aggressive behavior) in Albanian and Serbian immigrant in comparison to Italian non-immigrant children. In addition, adjustment correlates of immigrant children’s cognitive skills (Chapter 4) and teachers’ reports on immigrant children’s psychological and socio-cultural problems (Chapter 5) were also investigated. Chapter 6 examines parental psychological well-being and children’s adjustment. Conclusions, suggestions for future research and practical interventions with immigrant children are discussed in the seventh and final chapter.2371 29639 - PublicationContinuity and discontinuity in moral reasoning: The "side effect" effect and utilitarianism in young children and adults.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Pellizzoni, Sandra ;Surian, LucaSiegal, MichaelThe thesis is an investigation of moral abilities in preschoolers and adults. The general aim is evaluating the continuity hypothesis in moral development (Turiel, 2006). The work is divided into two main parts: the first part deals with the relation between intentionality judgments and moral evaluation as revealed by the ‘Side Effect’ Effect (SEE), the second part deals with utilitarian judgments elicited using variations of the Trolley and Footbridge dilemmas. The SEE was first documented in adults (Knobe, 2003) asked to consider scenarios in which agents dismiss information about the harming or helping side effects of their actions. Harmful side effects of these actions are judged as having been produced intentionally whereas the helpful side effects are not. Leslie, Knobe and Cohen (2006) reported a similar asymmetry in 4- and 5-years-olds. The present research, based on previous studies (Knobe, 2003a; Leslie, Knobe, & Cohen, 2006), it is intended to shed light on the computational processes that result in the SEE. Our experiments confirm that the effect is clearly present in young children. Further, data show that the crucial aspect on which both adults and children base their intentionality judgments is the agent’s foreknowledge of the effect of the action. In situations where the agent had a false belief (Experiments 5 and 8) or did not have foreknowledge of the valence of the outcome (Experiments 4 and 7), participants often formulated negative intentionality judgments. For this reason, we stress the importance of computing of intentionality derived from information on the epistemic mental states of the agent (Nuñez & Harris, 1998; Siegal & Peterson, 1998). Our results suggest that young children, like adults, understand and give meaning to an agent’s behavior on the base of his/her epistemic mental states. In research on adults (Experiment 3), the SEE persists when sentences such as “I do not care if the environment will be harmed, but we must increase profits. Let’s start the new program” is substituted with the sentence “I am sorry if the environment will be harmed, but we must increase profits”. Similarly, children continued to produce the SEE when the sentence “Andy does not care if Janine will get upset” is omitted (Experiment 7). The surprising, counterintuitive aspect of the SEE lies in participants’ asymmetrical attribution of intentionality when a disavowed side effect is negative but not when it is positive (Knobe, 2003a). From our results, it emerges that, if the agent foreknew the negative side effects of his actions, participants were likely to make an intentionality attribution. In other words, the effect emerges if the participants are informed about the agent’s epistemic mental state, more than the careless attitude, of the agent. However, when participants are presented with ambiguous situations, in which the agent could not have foreknown the outcome (Experiment 4) or the agent makes declarations of uncaring (Experiment 6), about half of the participants attributed intentionality to the agent. As for adults, when children are unaware about the agent’s foreknowledge of the outcome the sentence “I do not care” has a strong impact on the attribution of intentionality. The second part of the work investigated the extent to which young children and adults base judgments of actions aimed to protect others on moral utilitarianism. We based our research in this instance on Cushman, Young, and Hauser (2006) and Greene, Sommerville, Nystrom, Darley and Cohen (2001) findings. As shown in previous investigations, the majority of Italian adult participants (90%) in our research (Experiments 9 and 10) stated that it is permissible to change the direction of the trolley but it is not permissible to show a man from a footbridge (20%). Short moral dilemmas were given to 207 children illustrated with the help of wooden models. For example, the models for a child version of the so-called ‘footbridge consisted of a 45° inclined plane with a straight track and a footbridge above. At the end of the track were five Lego play-people. Standing on the footbridge were two other play-people: a small one (the main story character, John) and a big one (the potential victim). When asked to consider the rightness of intervening to sacrifice one person in order to save five others, the majority of children aged 3 to 5 years did not advocated intervention when the action required the agent to have physical contact with the victim, as in the ‘footbridge dilemma’, while the majority of children did advocate intervention when physical contact was not required, the ‘trolley dilemma’. Overall, the children’s responses were remarkably similar to those of adults in previous studies. No significant differences were found among age groups. The findings provide support for a continuity account of moral judgment during the course of human development. Although from our data it is not possible to choose among the models that try to give explanation to the asymmetry, it appears that children and adults show the same pattern of answers on the footbridge and the trolley scenarios. Further evidence for continuity awaits longitudinal and training studies. In line with some recent studies on the similarity of moral judgments in children and adults our data show that children seem to process moral stimuli early in life producing asymmetrical moral evaluations on the trolley and footbridge scenarios. Moreover, children seem to analyze the agents’ actions in term of mental state and frame these in terms of knowledge, caring attitude and outcome. These data seem to confirm the findings that point to an early capacity to compute intentionality based on moral information about potentially positive and negative outcomes and are consistent with the proposal that human minds are endow with an innate moral faculty, as recently argued by Dwyer (2007) and Hauser, (2006).1353 1323