Scienze giuridiche
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- PublicationLa competenza dell' Unione Europea in materia di immigrazione(Università degli studi di Trieste, 2009-04-24)
;Nicolini, FrancescaDaniele, LuigiLa tesi di dottorato si propone di esaminare la portata e la natura della competenza dell’Unione europea in materia di immigrazione in relazione alla residua competenza degli Stati membri. Quello dell’immigrazione è un tema che, soprattutto negli ultimi anni, ha acquisito particolare rilievo divenendo sempre di più oggetto della normativa internazionale e comunitaria. Malgrado il grande interesse suscitato dal fenomeno presso molti studiosi di diritto comunitario ed internazionale, ancora risultano poco esplorate la natura e i limiti della competenza dell’Unione europea in tale materia. Il presente lavoro pertanto intende non tanto e non solo analizzare il contenuto della normativa comunitaria e della giurisprudenza rilevanti nel settore ma, attraverso questi ultimi, indagare sulla natura della competenza dell’Unione europea e sull’interagire di tale competenza con i poteri che gli Stati membri mantengono e/o intendono mantenere in materia di immigrazione. La classificazione della competenza dell’Unione europea e l’individuazione dei suoi limiti in rapporto alle competenze statali si presentano infatti piuttosto problematiche per quanto riguarda la materia in commento e ciò a motivo di numerosi fattori che vengono debitamente evidenziati nel corso della trattazione. In linea generale, ad un’analisi di carattere globale in cui si esaminano le caratteristiche e la natura della competenza dell’Unione in questo ambito, si affianca un’indagine che mira ad analizzare l’esercizio di queste competenze sul piano interno da un lato, e sul piano esterno, dall’altro lato. In effetti, dopo il Consiglio europeo di Tampere del 1999 - nel corso del quale è stato approvato un piano d’azione per la definizione di una politica comune dell’Unione europea in materia di asilo e immigrazione - la Comunità ha esercitato le competenze attribuitele dal Trattato di Amsterdam, adottando diverse misure comunitarie in materia. Tuttavia nel settore in esame ancora forte è il ruolo degli Stati membri e la Comunità, in alcuni ambiti, ha incontrato notevoli difficoltà nell’esercitare le proprie competenze a causa delle resistenze degli Stati stessi. Si consideri inoltre come, la nuova competenza comunitaria sia stata conciliata con il c.d. acquis di Schengen rispetto al quale occorre tenere presente la posizione di quegli Stati membri che, pur potendone prendere parte, non ne sono vincolati (Regno Unito e Irlanda) o che, ne sono vincolati, ma possono decidere se accettare o meno misure adottate a norma del Titolo IV TCE (Danimarca). Nei quattro capitoli del presente lavoro, nonché nelle conclusioni generali, l’attenzione rispetto alla politica comunitaria in materia di immigrazione si è dunque focalizzata sulle difficoltà che sussistono nello stabilire quali siano i confini tra competenze comunitarie e competenze degli Stati membri. Non sempre infatti è agevole comprendere quali siano gli spazi per un’autonoma attività normativa da parte degli Stati membri e in ogni caso, quale sia la natura di tale competenza (esclusiva o concorrente). A questo fine, dopo un’analisi delle origini e dello sviluppo della politica dell’Unione europea in materia di immigrazione vengono esaminate, nel secondo capitolo, le procedure decisionali prescritte in questo settore, in specie il progressivo passaggio alla codecisione e l’utilizzazione del metodo aperto di coordinamento, la tipologia di atti che le istituzioni possono emanare in materia e le relative basi giuridiche, il ruolo che i principi di proporzionalità e sussidiarietà hanno al riguardo. Oggetto di analisi è altresì il regime applicabile agli stranieri per i quali vige una disciplina speciale di fonte comunitaria o convenzionale. Difatti, la disciplina sull’immigrazione si contraddistingue per il suo aspetto residuale, in quanto costituisce il diritto comune in mancanza di norme speciali. Quanto al riparto di competenze tra Unione e Stati membri in materia, vengono individuati i settori di competenza esclusiva degli Stati membri e quelli in cui la competenza è invece di tipo concorrente. Con riguardo a quest’ultimi si evidenzia, oltre all’applicazione del principio di sussidiarietà, l’operatività di due clausole contenute nel TCE che fanno riferimento ad interventi degli Stati membri e che consentono a quest’ultimi da un lato, di mantenere o introdurre proprie misure nel campo dell’immigrazione dall’altro lato, di esercitare le responsabilità loro incombenti per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. (artt. 63, II co., 64 TCE). Gli Stati membri sono inoltre competenti ad adottare misure nazionali in caso di afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi ( art. 64, par. 2 TCE). Si chiariscono inoltre gli obblighi di cooperazione e di rispetto del diritto comunitario che gravano sugli Stati membri nell’esercizio delle competenze non attribuite alla Comunità. Rivolgendo l’attenzione alla normativa attuata a livello comunitario sulla base delle norme del Trattato CE rilevanti in materia di immigrazione, si sono analizzati i principali atti di diritto derivato sulla disciplina del trattamento dei cittadini non comunitari entro il territorio dell’Unione che sono stati adottati e che hanno reso possibile ricostruire un regime giuridico generale, e vari regimi settoriali, di cui i cittadini di Stati terzi, legalmente soggiornanti entro il territorio comunitario, sono beneficiari. In particolare, si sono analizzate le direttive sul ricongiungimento familiare, sui soggiornanti di lungo periodo, nonché le direttive riguardanti le condizioni di ammissione dei cittadini di Stati terzi che intendano fare ingresso entro il territorio comunitario per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato nonché a fini di ricerca scientifica. Attraverso un’analisi del contenuto di tali direttive si è tentato di individuare quali siano i risultati raggiunti soprattutto in riferimento al livello di armonizzazione realizzato e quale l’incidenza che su di esso hanno le disposizioni che fanno rinvio al diritto nazionale. (v. cap. III, parr. 2.1 - 2.2 - 2.3 -5). Un ulteriore ambito di indagine ha riguardato le competenze comunitarie in materia di migrazione economica e di diritti dei cittadini di Stati terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri. Si è cercato di porre in rilievo come la migrazione economica abbia sempre rappresentato e, rappresenti tutt’ora, uno dei settori in cui l’intervento comunitario incontra i limiti più consistenti. (v. cap. III, par. 3). Si è in presenza infatti di un ambito in cui non è stata ancora raggiunta l’armonizzazione delle regole sull’ammissione e soggiorno per motivi di lavoro, se non per taluni aspetti settoriali. Allo stato attuale infatti, nonostante sia in discussione l’adozione di una serie di atti riguardanti specifiche categorie di immigrati, nonché una proposta di direttiva quadro relativa al rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro, gli Stati membri - fatta eccezione per i limiti derivanti da accordi internazionali conclusi dalla Comunità con Stati terzi - sembrano intenzionati a conservare la loro competenza in materia e a decidere sulle modalità e sulle conseguenze inerenti la sussistenza o la decadenza del contratto di lavoro. Inoltre, per gli aspetti relativi all’integrazione degli immigrati, si applica il metodo aperto di coordinamento, non vincolante, e trovano spazio solo misure di incentivazione finanziaria, con esclusione di ogni armonizzazione legislativa (art. 79, par. 4 TFUE). Quanto al profilo esterno della competenza interna dell’Unione in materia di immigrazione, in particolare in riferimento al potere di concludere accordi internazionali con Stati terzi, è opinione comune che, in base al noto principio del parallelismo di poteri, la Comunità, pur in mancanza di un’espressa attribuzione di poteri, è competente a concludere accordi internazionali in materia di immigrazione. Si è tentato a tal fine, di individuare il carattere esclusivo o concorrente di tale competenza. Si è osservato come, in linea generale, non sia possibile riconoscere in capo alla Comunità una competenza di tipo esclusivo. Da un lato infatti, la prassi applicativa seguita per la conclusione dei suddetti accordi è quella degli accordi misti, dall’altro lato, posto che la Comunità, in taluni ambiti, deve limitarsi a stabilire norme minime, gli Stati membri sono, in linea di principio, lasciati liberi di concludere accordi con Stati terzi che prevedano norme maggiormente garantiste di quelle comuni. In ogni caso, la sussistenza della competenza esterna degli Stati è prevista in maniera espressa in materia di controlli sulle persone alle frontiere. In particolare, il Protocollo n. 31 sulle relazioni esterne degli Stati membri in materia di attraversamento delle frontiere esterne, prevede che le competenze comunitarie non pregiudichino la competenza degli Stati membri a negoziare o concludere accordi con gli Stati terzi, semprechè tali accordi rispettino il diritto comunitario e gli altri accordi internazionali pertinenti. A ciò si aggiunga la prassi in materia di rimpatrio e immigrazione illegale, in cui accordi degli Stati membri con gli Stati terzi di origine o di transito coesistono con quelli conclusi dalla Comunità e con accordi che contengono clausole di riammissione. (v. cap. II, parr. 1 e 4). Relativamente invece, al contrasto dell’immigrazione irregolare si è sottolineato come, sebbene occorra prendere in considerazione le posizioni prevalenti a riguardo degli Stati membri, si registra un buon potenziamento dell’acquis di Schengen il quale si pone in stretta connessione con la cooperazione per il controllo delle frontiere. Ciò sostanzialmente deriva dalla constatazione dell’inadeguatezza degli strumenti nazionali di contrasto del fenomeno rispetto alle esigenze generali di sicurezza. Da ultimo, nella parte finale del presente lavoro, si sono analizzate le principali modifiche prospettate in materia dal Trattato di Lisbona e dalla più recente normativa comunitaria adottata nel settore. In particolare, si è evidenziato come l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona dovrebbe comportare indubbi vantaggi per il settore dell’immigrazione sia per l’estensione della procedura di codecisione, che consentirebbe di consolidare il livello di integrazione e di superare il deficit democratico attraverso un maggior coinvolgimento del Parlamento europeo e un maggior dialogo tra le istituzioni, sia soprattutto per il venir meno dei limiti della competenza della Corte di giustizia previsti dall’attuale art. 68 Trattato Ce. Si ritiene dunque, che le novità introdotte dal Trattato di Lisbona nei settori in parola, possano non solo favorire un rilancio della politica di immigrazione dell’Unione europea attraverso un maggior livello di armonizzazione legislativa, ma anche contribuire ad una ridefinizione del sistema di tutela giurisdizionale dei diritti al fine di garantire una parità di trattamento tra cittadini comunitari e non comunitari. Inoltre, il Trattato di riforma oltre a gettare le basi per una futura adesione dell’Unione europea alla Cedu, determinerà un significativo passo in avanti nella tutela dei diritti soprattutto grazie alla norma che rende vincolante la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale strumento potrà infatti favorire oltre che un generale rafforzamento dei diritti, una più ampia tutela degli immigrati.6613 6618 - PublicationI conflitti di giurisdizione e di competenza nel processo penale(Università degli studi di Trieste, 2013-04-19)
;Cocuzza, Valentina ;Gialuz, MitjaMarandola, Antonia AntonellaIl principio del giudice naturale precostituito per legge, sancito dall’art. 25, comma 1, Cost., eleva a rango costituzionale l’intero meccanismo conflittuale e attribuisce un senso profondo a regole che, come quelle di competenza, potrebbero, a un primo approccio, sembrare molto tecniche e di carattere puramente operativo. Nell’analizzare le implicazioni tra il principio del giudice naturale precostituito e l’apparato di regole concernenti la competenza, il punto focale è consistito nel chiarire se il concetto di precostituzione alluda solo alla garanzia che gli organismi giurisdizionali debbano essere istituiti prima del fatto commesso, oppure se il medesimo concetto afferisca anche alle regole di competenza, funzionali alla specifica individuazione del giudice competente a decidere la singola regiudicanda. Sicché, il divieto di distrarre i cittadini dal proprio giudice naturale risulterebbe violato, non solo in caso d’istituzione di un giudice ex post facto, ma anche in caso di modificazione delle regole di competenza con effetto retroattivo. Nell’ambito di un’analisi dei concetti di giurisdizione in materia penale e di competenza, si è rilevato come le teorie ad essi relative sfuggano ad una individuazione teorica coerente con le scelte fatte dal legislatore ordinario. A livello teorico, infatti, tali concetti risultano intersecarsi, sovrapporsi ed escludersi vicendevolmente, originando una serie ampia quanto complessa di interpretazioni e definizioni. A livello di prima approssimazione alla disciplina compendiata negli artt. 28 ss. c.p.p., non si è mancato di adottare una prospettiva sistematica, per svolgere un’indagine “comparativa” tra gli strumenti creati dal legislatore processuale penale e quelli previsti nell’ambito del codice di procedura civile, sotto forma di regolamento di giurisdizione e di regolamento (facoltativo o necessario) di competenza. Ne è derivata la considerazione secondo cui, a differenza di quanto accade nel processo civile, il legislatore processuale penale ha attribuito rilevanza al conflitto solo quando esso è reale, senza lasciare alcuna possibilità alle parti di impugnare le pronunce che decidono solo sulla competenza e sulla giurisdizione. Ove fosse stata prediletta tale ultima soluzione, sarebbe senz’altro prevalso, in modo preponderante, il diritto del singolo alla riaffermazione del proprio giudice naturale ma, per certi versi, sarebbe stata sacrificata l’esigenza della celerità del processo, in quanto si sarebbe offerta alla parte una più ampia gamma di possibilità di impugnare, con le ovvie conseguenze sui tempi dell’iter processuale. In quest’ottica, si è concluso che il congegno predisposto dal legislatore all’interno del processo penale non sembra avere come unica finalità la riaffermazione del corretto ordine delle competenze. Conferme di tale assunto si sono rinvenute nell’istituto della desistenza, contemplato dall’art. 29 c.p.p., e nella notazione secondo cui, tra i modelli che riguardano i possibili modi di configurare il rapporto procedimento incidentale/processo, quello che caratterizza l’istituto dei conflitti non abbia alcuna influenza sui tempi del processo di merito, in quanto privo di effetti sospensivi. Si è, dunque, concluso che il sistema processuale penale non si spinge, attraverso l’istituto dei conflitti, sino ad assolutizzare il valore costituzionale del giudice naturale ma opera un ragionevole bilanciamento tra le garanzie costituzionali in gioco: da un lato, la riaffermazione del giudice naturale precostituito e, dall’altro, la ragionevole durata del processo. Lo studio analitico dei conflitti di giurisdizione ha richiesto i dovuti approfondimenti preliminari sulla dicotomia unità/pluralità della giurisdizione, nonché sull’esatta definizione del concetto di giudice speciale, in relazione (e parziale contrapposizione) a quelli di giudice ordinario e di sezione specializzata. In termini di sintesi, si è concluso che la giurisdizione speciale non può contraddistinguersi per una carente attuazione di alcuni principi e valori fondanti in tema di giurisdizione, i quali attengono al concetto stesso di giurisdizione e la cui mancanza non consente di qualificare tali organi o procedimenti né come “ordinari” né come “speciali” in quanto, ancor prima, non rientrerebbero tra gli organi o procedimenti “giurisdizionali”. Al fine di verificare gli effettivi spazi di operatività dell’art. 28 lett. a) c.p.p. si è poi focalizzata l’attenzione sulla giurisdizione in materia penale, la quale risulta affidata ai giudici ordinari ma anche ad altri giudici speciali muniti, ad oggi, di competenze giurisdizionali penali. Nel dettaglio, si sono prese le mosse da alcuni organi che, in passato, hanno avuto giurisdizione penale e che rivestivano ruolo di parte nei conflitti di giurisdizione, come l’intendente di finanza e il comandante di porto, per riservare poi uno spazio ai tribunali militari, fino a giungere al delicato e controverso tema della Corte costituzionale come giudice speciale in materia penale. In tema di conflitti di competenza, si sono analizzati i possibili casi di conflitto di competenza per materia, territorio e connessione. Lo studio di tali conflitti di competenza si è svolto riservando spazio e attenzione ad ipotesi qualificate, quali dissenso tra tribunale in composizione monocratica e tribunale in composizione collegiale (concludendo per la sussistenza di un conflitto analogo), il conflitto che insorga nella fase delle indagini preliminari, l’ipotesi di dissenso tra giudice dell’udienza preliminare e giudice del dibattimento, fino ad un caso di conflitto, affrontato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, tra magistrato di sorveglianza e giudice dell’esecuzione. Si è inoltre riservato uno spazio ai dissidi tra giudice penale e giudice civile che la Suprema Corte, in alcune occasioni, ha qualificato come conflitti di competenza. In conclusione, lo studio ha riguardato le dinamiche procedimentali tipiche dei conflitti e, segnatamente, le elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza in merito al rilievo d’ufficio e alla denuncia di parte, agli adempimenti successivi al rilievo o alla denuncia, alla comunicazione ai giudici in conflitto, nonché al divieto di sospensione dei procedimenti in corso. Inoltre, prima di soffermarsi sulle possibili risoluzioni del conflitto e sugli effetti della relativa decisione, è stato riservato un approfondimento al particolare istituto della cessazione spontanea del conflitto, sotto forma di “desistenza”.4101 7160