Scienze della terra
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- PublicationA Bader’s topological approach for the characterization of pressure induced phase transitions(Università degli studi di Trieste, 2012-03-12)
;Parisi, FilippoPrincivalle, FrancescoIn questo lavoro è stata messa a punto una metodologia basata sull’analisi topologica della densità elettronica secondo la teoria di Bader che ha permesso di indagare la stabilità di fasi mineralogiche in condizioni di alta pressione. In una prima fase è stata caratterizzata la decomposizione della ringwoodite (olivina-γ) in Mg-perovskite e periclasio ( post spinel phase transition) che si ritiene essere responsabile della discontinuità sismica che si osserva a 660 Km di profondità, tra la zona di transizione del mantello ed il mantello inferiore. Lo scopo del lavoro è stato quello di ottenere informazioni sulla disposizione degli elettroni nella struttura cristallina e sulla evoluzione al variare delle condizioni di pressione. L’analisi effettuata ha mostrato l’instaurarsi di una forte instabiltà strutturale (caratterizzata da una “conflict catastrophe”) nella ringwoodite a circa 30 GPa. Tale risultato conferma il coinvolgimento della transizione di fase “post-spinel”nella discontinuità sismica a 660 Km. In una seconda fase la procedura è stata applicata alla fase Mg-perovskite allo scopo di testarne la validità. Lo studio dell’evoluzione della topologia della densità elettronica nel range di pressione da 0 a 200 GPa ha permesso di individuare una regione di stabilità della fase perovskitica (da circa 22 a circa 124 GPa) delimitata tra due “fold catastrophes”. Le due “fold catastrophes” si hanno entrambe in prossimità di discontinuità sismiche: la prima, attribuita alla transizione di fase da ringwoodite a Mg-perovskite + periclasio corrisponde alla discontinuità sismica a 660 Km e la seconda, attribuita alla transizione da Mg-perovskite a post-perovskite a circa 130 GPa, osservata a circa 2600 Km di profondità, tra il mantello profondo e il D′′-layer, poco prima della discontinuità di Gutemberg a 2900 Km.1445 949 - PublicationA process study of the Adriatic-Ionian System baroclinic dynamics(Università degli studi di Trieste, 2015-04-28)
;Reale, MarcoCrise, AlessandroIl sistema Adriatico Ionio è un importante componente nella circolazione termoalina del bacino orientale mediterraneo. Il mar Adriatico è la più importante sorgente di acqua profonde per il bacino. Il mar Ionio è una sorta di punto di incrocio per acque con caratteristiche diverse : le acque atlantiche in superficie , quelle levantine negli strati intermedi , le acque profonde adriatiche in quelli sul fondo . La variabilità osservata nella circolazione Ionica , con reversal periodici da stato ciclonico a stato anticiclonico e e viceversa, negli ultimi 20 anni è stata oggetto di dibattito in quanto è stata attribuita rispettivamente all'influenza della variazione delle proprietà termoaline delle acque profonde prodotte nel sud Adriatico sul bilancio di vorticità dello Ionio o a variazioni nel rotore del wind stress sul bacino ionico.Questo lavoro di tesi si prefigge di esaminare tutte le ipotesi relative alla dinamica del sistema adriatico-ionio da un punto di vista modellistico e la sua risposta in termini di bilancio di vorticità e di energia all'azione di forzanti esterne come il wind stress e i flussi termoalini. I risultati finali di questo approccio modellistico hanno mostrato la maggiore importanza del bacino est (mar cretese e passaggio di creta) rispetto all'Adriatico nel determinare la variabilità , a livello di bilancio di vorticità e di energia , della circolazione ionica .971 1207 - PublicationAnalisi di dati acquisiti con OBS(Università degli studi di Trieste, 2010-04-21)
;Brancatelli, GiuseppeNicolich, RinaldoGli OBS (Ocean Bottom Seismometer) sono ampiamente utilizzati negli studi sismici crostali attraverso l’utilizzo delle registrazioni di onde rifratte e riflesse a grande offset (Wide Angle Reflection/Refraction, WAR/R). L'analisi di questi dati comporta, solitamente, l'impiego di modellistica diretta e/o inversa al fine di giungere alle velocità dei singoli strati e alle profondità delle interfacce. In questa tesi, invece, si presenta un approccio diverso che prevede: 1) costruzione di modelli di velocità dall’analisi dei segnali rifratti; 2) elaborazione dei dati OBS al fine di ottenere immagini sismiche a riflessione. In particolare, gli OBS e gli scoppi sono stati riportati ad uno stesso datum (superficie del mare), utilizzando il Wave Equation Datuming (WED). Dopo il WED è stato possibile applicare l'elaborazione tipica della sismica a riflessione. I profili OBS analizzati sono stati acquisiti nell'area dell'Arco Ellenico e, i risultati ottenuti, hanno permesso di riconoscere le strutture geologiche principali e i meccanismi dell’evoluzione tettonica. L'utilizzo del WED ha migliorato la risoluzione delle sezioni finali rispetto a quanto ottenibile con le correzioni statiche classiche. Per confronto è stata applicata la metodologia WED anche a dati simici ad alta risoluzione a terra, risolvendo problemi di correzioni statiche e di strutturazioni tettoniche apparenti nell'area della Bassa Pianura Friulana.1195 2266 - PublicationApplicazione della sistematica isotopica dello Sr alla tracciabilità e alla qualificazione di prodotti vitivinicoli: studio sul Prosecco veneto(Università degli studi di Trieste, 2014-04-24)
;Aviani, Umberto ;Ponton, MaurizioPetrini, RiccardoViene studiata l'applicabilità della sistematica isotopica dello Sr alla qualificazione e alla tracciabilità di origine geografica di prodotti vitivinicoli, in questo caso il Prosecco veneto DOC. Vengono caratterizzati campioni di uva provenienti da dieci diversi vigneti e delle vendemmie 2010, 2011 e 2012, oltre ai campioni di suolo corrispondenti. Vengono usati anche i dati di chimismo di suoli ed uve al fine di comprendere meglio i complessi equilibri nel sistema pianta-acqua-suolo. Si osserva che i campioni possono essere differenziati sia in funzione della localizzazione geografica che secondo l'anno di vendemmia. Le variazioni geografiche vengono attribuite alla diversa geologia dei siti, le variazioni annuali agli apporti atmosferici e/o antropici di Sr. Si osserva una correlazione positiva tra composizione isotopica dell'uva e quella della frazione labile del suolo corrispondente, permettendo una modellazione di massima, consistente nella previsione del valore dell'uva a partire da quello del suolo. Le diverse componenti dell'uva (bucce, succo, semi e raspo) risultano avere composizioni isotopiche sovrapponibili, confermando l'assenza di frazionamento isotopico. La sistematica isotopica dello Sr si conferma come buona tecnica da applicare a problemi di caratterizzazione e tracciabilità, possibilmente in un contesto multivariabile. Ciò nonostante, le dinamiche presenti tra suolo e biosfera sono molto complesse e variabili, e questo si traduce spesso in elevati margini di errore di cui bisogna tenere conto durante le modellazioni e le conclusioni.866 3265 - PublicationLE BARENE DELLA LAGUNA DI MARANO E GRADO: ANALISI DEGLI ASPETTI MORFO-EVOLUTIVI NELLA PROSPETTIVA GESTIONALE.(Università degli studi di Trieste, 2014-04-24)
;Bezzi, AnneloreFontolan, GiorgioLo studio delle barene della laguna di Grado e Marano è stato affrontato attraverso due differenti approcci: 1) una raccolta di dati morfologici e sedimentologici in 13 siti campione 2) un’indagine a macroscala attraverso il confronto di foto aeree (1954, 1990, 2006) e l’applicazione di differenti tecniche di analisi in GIS. L’integrazione dei due diversi approcci ha permesso in primo luogo di proporre una classificazione delle barene in base alle loro caratteristiche morfologiche e sedimentologiche: barene di margine lagunare, margine di canale, retro barriera, bacini paralagunari recenti, isolate. Inoltre si è giunti a una definizione e quantificazione dei processi evolutivi in atto e delle loro cause. Il declino significativo nelle superfici a barena corrispondente a 145ha (16% dell’estensione del 1954), una volta esclusa la forzante quantitativamente più rilevante (azione antropica diretta con 175ha), appare molto ridotto e limitato al secondo intervallo di tempo. Le variazioni areali riscontrate sono infatti il risultato di perdite e guadagni a scale differenti, spesso in grado di compensarsi, le quali sono state classificate in diverse tipologie morfoevolutive, associate ad altrettante forzanti. La metodologia proposta è originale e si mostra adatta all’analisi delle aree che presentano una certa scarsità di dati. Dall’analisi topologica sulle singole barene emerge che i fenomeni erosivi che si manifestano con rilevanza maggiore sono in ordine decrescente: l’annegamento (effetto combinato di eustatismo, subsidenza regionale e autocompattazione), erosione da ondazione indotta dal transito dei natanti, azione del moto ondoso da vento, i processi legati alla dinamica costiera. I processi di accrezione sono invece imputabili agli apporti fluviali, agli apporti legati alle correnti di marea, ai processi accrescitivi nei bacini paralagunari recenti e in ex valli da pesca. La mancanza di un comportamento unitario dell’intera laguna e la differenziazione temporale fanno intendere come siano predominanti le forzanti a breve termine rispetto alle forzanti che agiscono sul lungo termine, prima fra tutte l’eustatismo. Il confronto con i dati ipsometrici ottenuti dal confronto batimetrico 1966-2011 conferma però la tendenza trasgressiva in atto nell’intera laguna con approfondimenti diffusi soprattutto a carico dei fondali intertidali, ma anche la differenziazione esistente tra i bacini. I dati di bilancio sedimentario mostrano inoltre una relazione con la variazione areale delle barene per ogni singolo bacino. Parte integrante del lavoro è costituita da un geodatabase contenente tutti i dati e le informazioni relative alle barene; esso può rappresentare un valido strumento di supporto nei processi decisionali di gestione e di pianificazione territoriale. A tal fine sono state individuate una prima serie di filosofie gestionali e strategie d’intervento, associate alle differenti tipologie erosivo / accrescitive individuate.1379 4087 - PublicationCaratterizzazione cristallochimica e termobarometrica delle fasi minerali costituenti i noduli peridotitici a spinello di Hannuoba (Cina Nord-Orientale)(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Scarbolo, MarildaPrincivalle, FrancescoA NW di Pechino, nella Cina Orientale, vi sono numerosi plateau basaltici Cenozoici, con dimensioni areali di miglialia di km. Uno tra questi è il plateau di Hannuoba (>1700 km2), costituito prevalentemente da basalti alcalini con inclusi abbondanti xenoliti peridotitici sia di derivazione mantellica (mantello superiore) che crostale. Nella presente tesi è stato affrontato lo studio cristallochimico, termobarometrico e geochimico per gli elementi in traccia di una suite di xenoliti campionati ad Hannuoba. Le stime della temperatura di chiusura intracristallina, basate sullo scambio cationico tra siti non equivalenti di uno stesso minerale, hanno dato valori medi di ~750 °C. Tali temperature suggeriscono che gli xenoliti si sono raffreddati abbastanza lentamente, in accordo con le modalità di messa in posto dei basalti ospiti (flood basalts). Le stime termobarometriche hanno individuato un campo di stabilità P-T nel mantello pari 15-20 kbar e 870-1050 °C, coerente con la localizzazione della Moho a 42 km per l'area in esame. La distribuzione degli elementi in traccia nei clinopirosseni ha confermato la natura in parte impoverita degli xenoliti, evidenziando inoltre per alcuni un arricchimento relazionabile ad un agente metasomatico di derivazione crostale.1266 7407 - PublicationCaratterizzazione della struttura litosferica del bacino intracratonico del Parana' (Sud America) mediante modellazione di dati gradiometrici e gravimetrici da satelliti di nuova generazione (GRACE e GOCE)(Università degli studi di Trieste, 2012-03-12)
;Mariani, Patrizia ;Braitenberg, CarlaUssami, NaomiRiassunto: La finalità di questo studio è la caratterizzazione della litosfera sottostante il bacino intracratonico del Paraná. I modelli gravimetrici adottati sono vincolati ai dati geofisici tra i quali quelli sismologici più recenti (Lloyd et al., 2010) e sono corroborati dai modelli petrografici (Bryan & Ernst, 2008). Si offre un approccio che include la comparazione isostatica a quella sismologica al fine di interpretare al meglio la struttura litosferica nell’area del bacino in analisi e di comprendere le variazioni geodinamiche legate alle province geologiche ivi presenti. Il bacino del Paraná (Sud America) è ubicato nella piattaforma stabile del Sud America, ed è circondato da cratoni tra i quali: il cratone amazzonico, il cratone di San Francisco e il Rio de La Plata. La sua genesi in epoca paleozoica è quella di vasto bacino sedimentario, sul quale però durante il Mesozoico (Cretaceo inferiore) si è sviluppata un’intensa attività vulcanica (Capitolo 3). Quest’attività effusiva lo classifica tra le maggiori LIP (Large Igneous Province) mondiali, provincie magmatiche con volume di materiale espulso superiore a 0.1 Mkm3 (Bryan & Ernst, 2008). L’analisi effettuata in questo lavoro è eseguita tramite lo studio del campo gravimetrico da modelli di nuova generazione derivanti dal satellite GOCE (Gravity field and steady state Ocean Circulation Explorer) e GRACE (Gravity Recovery and Climate Experiment). I prodotti gravimetrici satellitari di GOCE possiedono una risoluzione senza precedenti (mezza lunghezza d’onda 80 km): ciò consente di validare i modelli gravimetrici precedenti (280 km, EGM08, Pavlis et al., 2008) che per offrire una maggior dettaglio nelle anomalie integravano ai dati satellitari di GRACE le campagne gravimetriche terrestri, non sempre complete e quindi globalmente precise e di adempire agli indispensabile fini di interpretazione geodinamica. La descrizione dei modelli e la validazione degli stessi sono offerte nel Capitolo 2. I campi potenziali studiati per le principali province geologiche sono illustrati nel Capitolo 5; mentre nel Capitolo 6 si applica la metodologia spettrale sulla seconda derivata verticale del potenziale per discernere le diverse litologie individuate nell’area di studio. L’anomalia di Bouguer calcolata tramite sviluppo in armoniche sferiche viene corretta sia in superficie e in profondità stimando l’effetto di gravità dei sedimenti conosciuti (Capitolo 4) e le conoscenze geofisiche note. Il bacino è composto da: i sedimenti pre-vulcanici paleozoici di spessore pari a circa 3500 m, la Formazione Serra Geral composta principalmente da basalti tholeiitici del cretaceo inferiore (~1500 m di spessore), ed infine i sedimenti post-vulcanici del cretaceo superiore appartenenti al Gruppo Bauru, solo 300 m di spessore (Capitolo 3). Sfruttando i modelli sismologici regionali è stato infine possibile valutare anche il contributo gravimetrico dello spessore crostale stimato con la sismologia. Con questi elementi viene calcolata la Bouguer residua, che è interpretata come anomalia isostatica e quindi correlata alle strutture geologiche locali e regionali. Questo comporta il riconoscimento di una struttura anomala sotto la parte settentrionale del bacino del Paraná comprendente anche parte del settore adiacente Blocco del Guaporé. L’inquadramento a scala maggiore però permette di evidenziare un’area molto più ampia di quanto riconosciuto in prima istanza. Tale anomalia è centrata infatti nel nucleo archeano del cratone amazzonico, di cui quindi il bacino del Paraná risulta solamente il suo braccio più meridionale. In assenza di attività tettonica-magmatica recente (ultima risale 50 Ma) ed in mancanza di grandi anomalie superficiali, tale anomalia positiva potrebbe essere inserita in un contesto regionale e più profondo, rappresentando delle dinamiche di mantello. Infine tramite inversione gravimetrica è stata quantificata numericamente l’anomalia nel bacino di studio utilizzando la geometria semplice di un tronco di cono. La quantità di materiale in presunto underplating che dovrebbe spiegare l’anomalia positiva è compatibile ai modelli petrografici conosciuti. Tali modelli sottolineano come la presenza di un magmatismo noto in superficie rappresenti solo una piccola parte di quello che dovrebbe trovarsi in intrusione: è stato calcolato infatti che il magmatismo superficiale potrebbe rappresentare solo la decima parte di quello associato in profondità.1453 4371 - PublicationCaratterizzazione delle risorse geotermiche della bassa pianura friulana (regione FVG)(Università degli studi di Trieste, 2010-04-21)
;Cimolino, AurelieDella Vedova, BrunoScopo della ricerca. La ricerca di dottorato è mirata allo studio delle risorse geotermiche profonde (acquiferi profondi e sub superficiali) presenti nel sottosuolo della Bassa Pianura Friulana, mediante l’integrazione di metodi geofisici applicati con metodi stratigrafici e idrogeologici, geochimici e numerici. Le tematiche del dottorato si sono focalizzate su: delimitazione spaziale e caratterizzazione dei sistemi acquiferi (anche come reservoirs a bassa entalpia); studio dei meccanismi di ricarica e circolazione delle acque; definizione della struttura geotermica e valutazione della risorsa nell’area di Grado (Gorizia), dove è stato perforato un pozzo esplorativo (1110 m di profondità). I risultati preliminari della ricerca costituiscono il primo studio integrato in Regione per la caratterizzazione e valutazione della risorsa geotermica effettuato con metodi geofisici da pozzo. Alla luce del modello geologico preesistente, il nuovo modello concettuale emerso dalle ricerche effettuate risulta per molti versi innovativo. Fasi di acquisizione dei dati. Il dottorato è risultato sinergico alle attività di ricerca sviluppate dal DICA dell’Università degli Studi di Trieste, nell’ambito di alcuni progetti innovativi finanziati negli ultimi anni dal Servizio Geologico regionale (Direzione Centrale Ambiente e Lavori Pubblici - RFVG) che hanno permesso la raccolta di numerosi dati inediti. I progetti sono: “Realizzazione della Carta Geologico-Tecnica della Risorsa Geotermica Nazionale e definizione delle Linee Guida per il suo Utilizzo”[Progetto 1]; “Perforazione del pozzo esplorativo Grado-1 per la quantificazione della Risorsa Geotermica - Progetto Geotermia Grado”[Progetto 2]; “Studio sugli acquiferi regionali finalizzato anche alla definizione di linee guida per il corretto e compatibile utilizzo delle loro acque”[Progetto 3]. Questi progetti sono stati completati con diverse collaborazioni con DISGAM e DST dell’Università di Trieste e l’OGS di Trieste. Attività di ricerca. La ricerca si è articolata in diverse fasi operative, anche in accordo ai progetti sopraccitati: 1)Definizione del quadro geologico e strutturale dell’avampaese friulano mediante analisi della letteratura esistente. 2)Studio degli acquiferi sotterranei profondi della Pianura friulana (fino alla profondità massima di 600 m circa) [Progetto 1]. In particolare, in questa fase: sono stati esaminati i dati in sito, analisi geochimiche ed isotopiche di campioni di acqua provenienti da alcuni acquiferi significativi; sono state elaborate mappe delle isobate del tetto dei sistemi acquiferi e mappe delle isoterme delle acque di strato. 3)Raccolta, analisi e contributo alla realizzazione di un database dei pozzi per acqua perforati nella Pianura Friulana che ha integrato oltre 1800 litostratigrafie e altri dati accessori [Progetto 3]. Lo studio ha compreso l’elaborazione numerica delle superfici delimitanti i principali sistemi di acquiferi e delle relative mappe, mediante l’applicazione di diverse metodologie statistiche e l’analisi dei variogrammi sperimentali. Questo ha aggiornato il modello idrogeologico ottenuto dal Progetto 1. 4)Studio del reservoir geotermico profondo mediante un pozzo esplorativo di circa 1100 m di profondità a Grado (Gorizia) e all’acquisizione e all’elaborazione dei dati del pozzo [Progetto 2]. Questa fase ha impegnato la dottoranda in assistenza continua alla D.L. in cantiere (tra gennaio ed aprile 2008) e nelle specifiche attività di: acquisizione e analisi di dati tecnici di perforazione, parametri chimico-fisici dei fluidi di circolazione, produzione del master log e well log di cantiere; monitoraggio termico e prove idrauliche di pompaggio nel reservoir geotermico; raccolta e analisi dei cuttings e delle carote, descrizione macroscopica delle litologie, ricostruzione della stratigrafia sulla base delle analisi preliminari di laboratorio sui cuttings e sulle carote; analisi delle caratteristiche geochimiche principali delle acque campionate; acquisizione e analisi dei logs geofisici di pozzo, che hanno fornito gli elementi-chiave per la ricostruzione delle strutture profonde. 5)Ricostruzione geologica della struttura di Grado e modello idrogeologico e termico per il termalismo profondo, mediante l’integrazione dei dati disponibili e dei nuovi dati acquisiti, con particolare attenzione a: stratigrafie e logs geofisici provenienti da pozzi perforati da Eni, Ina Naftaplin e altri; sezioni sismiche a terra, in Laguna di Grado e Marano e nel Golfo di Trieste; carte del tetto dei carbonati e delle isobate del Quaternario nella Pianura Friulana; mappe di anomalia gravimetrica e magnetica per il Golfo di Trieste ed il suo entroterra. Risultati del dottorato di ricerca. I dati acquisiti nell’area di Grado e Laguna circostante, integrati con le informazioni regionali hanno permesso di individuare e ricostruire una struttura dinarica esterna, non nota precedentemente, che costituisce la sede del sistema di circolazione termale che è caratterizzato da diversa permeabilità. La struttura è interessata da rilevanti faglie beanti sub-verticali e strutture tettoniche che probabilmente mettono in contatto i sistemi termali più profondi con il tetto del reservoir. L’area di Grado è caratterizzata da: una copertura di età plio-pleistocenica di sedimenti sciolti alternati, caratterizzati da granulometria variabile da ghiaioso-sabbiosa a limoso-argillosa; una potente successione clastica costituita da sedimenti neogenici marnoso-arenacei (semilitoidi) e dalle torbiditi del Flysch paleogenico; un basamento carbonatico composito, reservoir del sistema geotermico, rinvenuto a partire da 618 m di profondità nel pozzo Grado-1. Il basamento è risultato suddiviso in intervalli ben distinti. Sono stati individuati calcari di rampa paleogenici e la loro sequenza di sviluppo e annegamento con la comparsa del flysch. I calcari ad Alveolinidae e Nummulitidae sono stati differenziati dai sottostanti calcari micritici di piattaforma di età cretacica superiore anche grazie al riconoscimento di netti marker nel Gamma Ray Log. La correlazione tra i diversi logs geofisici acquisiti in pozzo ha permesso di differenziare ulteriormente il reservoir carbonatico in intervalli distinti per litologia (densità, porosità, resistività, radioattività naturale, …) e moduli elastici; le facies geofisiche sono risultate ben relazionabili a quelle riscontrate nell’offshore croato. I dati idraulici acquisiti durante le prove di strato (con portata naturale e stimolata) e le analisi geochimiche ed isotopiche delle acque hanno permesso di affinare il modello di circolazione idrotermale. Questo considera almeno due sistemi di circolazione all’interno dei carbonati, separati da un setto idraulico: il tratto 616–830 m circa è caratterizzato da circolazione di acque in poche fratture ma molto aperte (con portata spontanea di circa 15 l/s e temperatura di circa 41.4°C); nel tratto 830–1000 m circa si ha una debole circolazione di acque all’interno di un ammasso roccioso più massiccio, interessato da un reticolo fitto ma con modesta apertura; a partire da 1000 m circa si rinvengono acque più calde (45°C a fondo pozzo) in un reservoir a notevole permeabilità (per fratturazione e incarsimento) che potrebbe richiamare i fluidi del sistema idrotermale presente alla profondità di 600-800 m. A scala locale, le strutture tettoniche presenti e probabilmente riattivate recentemente costituiscono una importante via di migrazione, circolazione e cortocircuitazione dei fluidi profondi (acqua e gas) con i sistemi più superficiali. A scala più ampia, il quadro strutturale elaborato per l’area di Grado è caratterizzato da un sistema di strutture inverse ovest-vergenti che coinvolgono il basamento carbonatico e le soprastanti coperture e da un raddoppio tettonico individuato nei calcari; queste strutture sono state interpretate come il fronte dinarico più esterno e costituiscono la diretta prosecuzione di fronti compressivi affioranti in Istria. Il modello stratigrafico elaborato risulta inoltre coerente con il quadro stratigrafico generale desumibile dai pozzi perforati nell’offshore croato e con quanto ipotizzato a partire dalle mappe di anomalia gravimetrica e dalle sezioni sismiche disponibili. Nel più ampio contesto della Bassa Pianura friulana le attività di ricerca hanno consentito di: caratterizzare preliminarmente dal punto di vista chimico-fisico ed isotopico le acque profonde circolanti a diverse profondità (in seno alle coperture post paleogeniche) nelle aree caratterizzate da anomalie geotermiche e le relative mappe delle isoterme valutare la presenza di alcune strutture tettoniche (coinvolgenti le coperture prequaternarie e giungenti in prossimità della superficie) in grado di veicolare fluidi profondi con acque superficiali nelle aree a nordorientali della Laguna di Grado rappresentare mappe regionali delle superfici delimitanti tetto e letto dei principali sistemi di acquiferi confinati evidenziati dalle litostratigrafie dei pozzi e ricostruire un modello numerico schematico del sottosuol. L’insieme dei risultati ottenuti ha permesso dunque di validare le ipotesi di lavoro formulate inizialmente e di proporre un più solido, rinnovato e, per molti versi, innovativo modello geologico-termico basato su inediti dati sperimentali. Il modello geologico elaborato risulta decisivo anche in relazione all’imminente realizzazione del pozzo esplorativo Grado-2, che permetterà al contempo di validare le ipotesi assunte e fornire ulteriori dati sperimentali.2274 4517 - PublicationCaratterizzazione e modellazione di colate detritiche(Università degli studi di Trieste, 2014-04-24)
;Boccali, ChiaraZini, LucaLa ricerca si inserisce all’interno dei numerosi lavori che da ormai qualche decennio hanno come scopo lo studio delle colate detritiche, fenomeni altamente pericolosi e distruttivi che hanno determinato e determinano la morfologia della rete idrografica secondaria, incrementando il rischio idrogeologico nei bacini montani dell’arco alpino e non solo. I bacini montani del Friuli Venezia Giulia risultano particolarmente vulnerabili dal punto di vista idrogeologico per i pesanti condizionamenti orografici, geologico-strutturali e sismici, che generano la coesistenza di tutti quei fattori negativi determinanti per l’innesco dei fenomeni di colate. Questo lavoro si è occupato del settore più orientale dell’arco alpino del Friuli Venezia Giulia: il bacino del fiume Fella e, nel dettaglio, la Val Canale, che nell’ultimo secolo è stata interessata da circa 20 eventi alluvionali “eccezionali”, con conseguente innesco di colate detritiche. Il ricordo più vivo è certamente quello dell’ultimo evento di piena, registrato a fine Agosto 2003, che dalla Val Canale al Canal del Ferro ha generato più di 1100 fenomeni franosi ed alluvionali, causando la perdita di due vite umane e danni stimati attorno al miliardo di euro. A tale disastroso evento hanno fatto seguito numerosi studi specifici da parte della Protezione Civile regionale, del Servizio Geologico e di diversi team di esperti, volti alla definizione e alla delimitazione dei fenomeni e, soprattutto, delle aree di pericolosità, nonché alla progettazione di adeguate opere di mitigazione con lo scopo di prevenire danni futuri. Proprio per l’abbondanza di dati già esistenti e per, purtroppo, l’abbondanza e la frequenza dei fenomeni di colata detritica in quest’area dell’arco alpino, è stato scelto di sviluppare la ricerca nell’ottica di individuare una metodologia valida ed adatta alla caratterizzazione dei bacini da colata e dei loro depositi. Tale metodo vorrebbe garantire la realizzazione di una modellazione numerica quanto più rispondente al vero, proprio perché compiuta a partire da dati reali e non solamente da informazioni di back analysis, che spesso vengono dedotte applicando modelli da letteratura, studiati e sviluppati in tutt’altre aree dell’arco alpino, dell’Europa e del mondo. Con tali scopi sono stati scelti sei bacini ricadenti nella Val Canale e nella Val Pontebbana, simili per il comportamento dei fenomeni alluvionali ma diversi dal punto di vista litologico e morfologico, soprattutto alla luce degli interventi di sistemazione effettuati nell’ultimo decennio. La metodologia utilizzata comprende in primo luogo un’adeguata ricerca bibliografica, volta ad acquisire una conoscenza completa del bacino e della sua “storia”. In seguito sono stati eseguiti sopralluoghi lungo le aste torrentizie, dalla zona di deposito alla zona di innesco, in funzione della morfologia degli alvei e delle sponde, nonché della stabilità dei depositi. Durante i rilievi di campagna sono stati eseguiti campionamenti di materiale detritico. La scelta dei punti di campionamento è risultata uno dei punti chiave della ricerca ed è legata all’estrema eterogeneità dei depositi da colata detritica, tipicamente mal classati e comprendenti materiale da molto fine a metrico ed oltre. Per acquisire uno spettro quanto più completo dell’andamento granulometrico dei depositi, i bacini sono stati campionati sia nella zona di innesco che in quella di deposito. Alla fase di campionamento ha fatto seguito una fase in laboratorio, comprendente analisi granulometriche, mineralogiche e reologiche. Le analisi granulometriche hanno lo scopo di risalire alla curva granulometrica dei campioni, andando ad identificare le percentuali di ciascuna classe granulometrica, e sono il primo passo per differenziare i depositi prelevati in posizioni diverse lungo l’asta torrentizia. Le analisi mineralogiche, volte al riconoscimento dei diversi minerali presenti nella frazione più fine del campione (< 4 µm), permettono di verificare l’omogeneità genetica dei depositi di uno stesso bacino e di individuare l’eventuale presenza di minerali argillosi, che possono incidere sul comportamento reologico della miscela acqua-sedimento, alla base dei fenomeni di colata. Di pari passo con la caratterizzazione granulometrica e mineralogica si è proceduto alle analisi reologiche. Scopo principale di tali analisi è la determinazione dei parametri reologici (yield stress e viscosità), i quali governano il comportamento dei fluidi e sono alla base della futura modellazione numerica. Le colate detritiche, secondo l’approccio reologico, sono considerate come fluidi omogenei e viscoelastici; si suppone cioè che il comportamento del flusso sia controllato dalle proprietà della cosiddetta matrice, ossia la miscela di acqua e particelle fini nella quale sono disperse quelle più grossolane. Date tali premesse, le analisi reologiche sui campioni prelevati nel corso di questo dottorato sono state eseguite solo sulla frazione più fine del materiale (< 62 µm) utilizzando il reometro a piatti zigrinati paralleli di diametro pari a 35 mm (Rheostress Haake RS150, Haake GmbH, Germania). I diversi campioni sono stati preparati a differenti concentrazioni volumetriche solide, la cui scelta è legata fondamentalmente alla stabilità del campione sul piatto inferiore dello strumento. I dati sperimentali sono stati quindi correlati tra loro tramite regressione esponenziale per ottenere i coefficienti reologici necessari alla futura modellazione numerica. L’ultima fase dello studio è stata dedicata alla modellazione numerica dei fenomeni di colata detritica. La modellazione fisico-matematica dei debris flow ha principalmente lo scopo di determinare la possibile area di propagazione dei fenomeni, nonché la loro velocità ed energia, con l’obiettivo finale di delimitare le aree di pericolosità e di fornire informazioni utili alla progettazione di adeguate opere di mitigazione. Nell’ambito di questo lavoro le simulazioni sono state eseguite con il modello idraulico bidimensionale FLO-2D, utilizzabile per simulare il flusso dell’acqua in corsi d’acqua anche di notevole larghezza o per la simulazione di flussi non-Newtoniani in aree di conoide. Alla luce dell’obiettivo di individuare una metodologia atta alla caratterizzazione dei bacini da colata anche in assenza di dati di back analysis, le simulazioni numeriche sono state eseguite con il duplice scopo di verificare l’effettivo areale di influenza dei fenomeni e di testare i valori dei parametri reologici derivati dai campioni prelevati lungo i rii studiati. Per ciascun bacino sono state confrontate le informazioni ricavate dalle analisi di laboratorio e dalla modellazione numerica al fine di individuare quale e/o quali caratteristiche dei depositi incidono sui risultati delle simulazioni e in che modo condizionano il comportamento del flusso detritico. In conclusione è stato possibile evidenziare pro e contro della metodologia sperimentale e definirne l’applicabilità allo studio delle colate detritiche.1792 761 - PublicationLa cartografia marina: ricerche ed applicazioni orientate ai rischi geologico-ambientali in aree campione.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-28)
;Morelli, DaniloFanucci, FrancescoRIASSUNTO Dati raccolti nell’ambito di progetti di cartografia geologica marina nazionali ed internazionali sono stati utilizzati per ricerche sui rischi geologico-ambientali in alcune aree marine italiane maggiormente critiche dal punto di vista della valutazione dei rischi. Questo rappresenta un campo di applicazione estremamente complesso a causa della varietà dei processi collegati, i quali a loro volta sono controllati da più fattori naturali ed antropici la cui interazione è spesso di difficile valutazione e previsione. Nei settori di margine continentale del Mar Ligure e dell’Arco Calabro (tirrenico e ionico) dati morfo-batimetrici, sismo-stratigrafici, strutturali, e sedimentologici ricavati dalle più moderne tecnologie d’indagine offshore sono stati integrati con altri dati geologici e geofisici pregressi, utilizzando metodologie di visualizzazione, analisi e restituzione tridimensionale digitale di gran dettaglio. Le ricerche sono state condotte in collaborazione con specialisti ed esperti di geologia marina e morfotettonica attiva delle attigue aree emerse, focalizzando l’attenzione sui dissesti gravitativi superficiali e profondi e di loro correlazione con faglie attive recentemente, potenzialmente sismogenetiche o tsunamogeniche. I risultati ottenuti hanno consentito, nelle singole aree, una definizione più approfondita dei caratteri dei vari elementi di geo-hazard ed una più chiara ricostruzione dei meccanismi di interazione tra i vari processi responsabili della loro genesi ed evoluzione. L’analisi dettagliata di alcuni casi maggiormente rappresentativi ha anche confermato la complessità dei tematismi trattati e sottolineato alcune problematiche cruciali, tuttora aperte, su cui concentrare le ricerche future. Il margine continentale del Mar Ligure, tanto nel settore alpino che in quello appenninico, mostra evidenze morfologiche di processi di mobilizzazione gravitativa di ingenti masse sedimentarie. Questi sono maggiormente concentrati nel margine alpino (scarpata di Imperia), associati allo sviluppo di numerosi canyon e alla forte sismicità dell’area, mentre nel settore appenninico, dove l’attività sismica è minore, riguardano principalmente il Canyon di Levante e la Frana di Portofino. Quest’ultima rappresenta un elemento di particolare interesse per i meccanismi di formazione ed il volume dei materiale coinvolti. Nei margini tirrenico ed ionico della Calabria il sollevamento tettonico pleistocenico dell’Arco Calabro (0.8-0.9 mm/anno) è accompagnato da una cospicua attività sismo-tettonica e da frequenti e voluminosi movimenti di massa lungo tutta la scarpata. Tali processi sono concentrati lungo lo sviluppo di articolati sistemi di canyon sia nel Golfo di Squillace che nei settori di Bovalino e Siderno ed anche nel settore tirrenico indagato (tra Palmi e Scilla). Tale focalizzazione dei fenomeni di instabilità è controllata dall’attività sismo-tettonica di lineamenti strutturali di dimensione regionale, paralleli (Faglia di Scilla) allo sviluppo del margine o interpretabili come prosecuzione a mare di sistemi che tagliano trasversalmente tutto l’Arco Calabro. Come appendice al lavoro di ricerca svolto è stato inserito un contributo riguardante l’area dello Stretto di Messina, elaborato per l’occasione del centenario del terremoto di Messina. In tale area una morfodinamica, estremamente rapida, è controllata dai caratteri idrodinamici dello stretto, da faglie attive e movimenti di massa correlati all’attività sismo-tettonica. In tale contesto degli elementi di particolare rischio geo-ambientale sono delle frane che in prossimità di Messina interessano un corpo sedimentario di notevoli dimensioni. Oltre ai contributi sulle conoscenze relativi ai singoli casi è possibile definire alcune conclusioni generali confortate anche da dati di letteratura. I movimenti di massa sottomarini sono estremamente diversificati, e pur presentando alcune analogie rispetto a quelli che si verificano a terra spesso presentano dei meccanismi di innesco e di evoluzione diversi: sono molto più mobili, coinvolgono volumi notevoli di materiale, trasportati in molti casi a notevole velocità e distanza. Un carattere ricorrente nelle aree analizzate è la scarsa presenza di accumuli di frana piede della scarpata rispetto al volume di materiale franato (mancante) lungo il pendio. Una spiegazione plausibile è fornita dai fenomeni che accompagnano lo sviluppo di frane di grosse dimensioni come l’acquaplaning, che agendo come lubrificante al fronte della frana, può determinare l’allontanamento, la disgregazione e dispersione dei materiali (flussi detritici e torbiditici) in aree bacinali molto distanti (100-1000 Km). Tale ipotesi già verificata in altre aree, se confermata per le aree indagate potrebbe, attraverso la datazione dei livelli detritici e torbiditici bacinali correlabili a grandi frane sottomarine, consentire la definizione dei tempi di attivazione e dei tempi di ritorno delle stesse, ed eventualmente il loro rapporto con la sismicità storica regionale. In questo tipo di approccio si deve tener conto dei caratteri sia dell’area sorgente del dissesto che delle zone di accumulo più distali (debriti, torbiditi) al fine di ricostruire un quadro completo dei processi in atto in grado di definire qualitativamente tutti i fattori geologici in gioco (imput sedimentari, sismo-tettonica, presenza di gas, ecc..) e il loro grado di pericolosità. A prescindere dall’interesse scientifico su tali tematiche è fondamentale il loro approfondimento in termini di valutazione di rischio geo-ambientale, considerando le perdite economiche e di vite umane che gli eventi calabro-siciliano e liguri hanno registrato in passato. Inoltre, nonostante la difficoltà di stimare, prevedere o più semplicemente definire la ricorrenza di terremoti di grande entità, l'analisi della sismicità storica e dei tempi medi di ritorno mette in evidenza l'esistenza di ritardi anche importanti per eventi medio-grandi, lungo alcuni dei sistemi di faglie attive sia in Calabria-Sicilia orientale che in Liguria. Gli studi effettuati confermano la convinzione, già espressa da altri ricercatori, che la morfodinamica sottomarina sia più intensa e veloce di quella sub-aerea. Ciò è senz’altro verificato nel presente studio a proposito delle aree in cui l’attività sismo-tettonica, “motore” principale dei processi studiati, supera un certo livello di soglia. Si dimostra comunque che i dissesti dei fondali pellicolari e profondi, limitati ad aree ben definite, possono prodursi anche in zone di sismicità ridotta (Mar Ligure di Levante; Canyon di Levante -Frana di Portofino), ma non per questo di minore importanza in termini di pericolosità. Altra importante conclusione dello studio è che in contesti geodinamici apparentemente molto diversi in base alle conoscenze correnti (margine attivo calabro-ionico e margine passivo ligure) si riscontrano processi morfodinamici sottomarini di paragonabile tipologia ed entità. Ad un esame più attento risulta però che i contesti geodinamici detti, in termini di tipologia di strutture , flusso tettonico, e movimenti verticali non sono poi così diversi , anzi presentano marcate analogie.1761 5383 - PublicationCoastal sedimentary traps as potential borrow sources for nourishment of neighbouring erosional beaches.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-28)
;Delli Quadri, FrancescaFontolan, GiorgioITALIANO Nel corso degli ultimi 20 anni, intensi fenomeni erosivi hanno interessato gli arenili situati lungo l’arco costiero nord adriatico e tra le soluzioni impiegate per contrastare tali fenomeni la pratica del ripascimento è stata largamente utilizzata, in quanto permette di riportare le spiagge ad un nuovo equilibrio evitando di provocare impatti significativi sul sistema litoraneo. La problematica maggiore connessa a questo tipo di intereventi è legata alla necessità di ingenti quantità di sabbia dalle caratteristiche granulometriche compatibili con quelle delle spiagge in erosione, con il duplice scopo di ridurre gli impatti negativi sul sistema spiaggia e di minimizzare i costi legati alle operazioni di estrazione e sversamento. Le strategie di gestione delle risorse sabbiose vanno assumendo una notevole importanza all’interno degli strumenti di gestione costiera (Finkl, 1994) e tali strategie, oltre a dover essere basate su estese competenze nel campo della geologia e della sedimentologia, devono prendere in considerazione tutti i fattori ambientali che influenzano il sistema e ne sono influenzati. Problematiche attuali quali l’innalzamento del livello marino e gli effetti sui sistemi costieri, i fenomeni erosivi, la progressiva diminuzione di aree utilizzabili come cave di prestito (sia onshore che offshore) e la creazione di impatti conseguenti alle diverse misure di protezione dei litorali richiedono un approfondito interesse e la ricerca di soluzioni innovative. A partire dalla seconda metà degli anni novanta, ingenti quantitativi di sabbia, pari a 8×106m3 (Consorzio Venezia Nuova, 2006), sono stati sversati sulle spiagge presenti lungo l’arco costiero nord adriatico. Gli interventi, attuati tramite il prelievo di sedimenti presso le coltri sabbiose che ricoprono gli alti fondali delle aree residuali di piattaforma, hanno interessato ad esempio le spiagge di Jesolo, Sottomarina, Pellestrina, Isola Verde. Attualmente, secondo quanto previsto dal Magistrato alle Acque di Venezia tramite il suo concessionario Consorzio Venezia Nuova (2006), è previsto l’utilizzo di circa 3×106m3 di sabbia per interventi di mantenimento, tramite ricariche più frequenti e di minore entità. La pratica di approvvigionamento di sabbie presso le aree relitte di piattaforma ha tuttavia lo svantaggio di essere onerosa, a causa dell’impiego di grandi draghe o di lunghe pipeline per coprire le distanze dalla costa. In tale contesto, un’alternativa vantaggiosa può essere rappresentata dalla ricerca e dall’utilizzo di sabbie dai rialzi morfologici associati alle bocche tidali o eventualmente in alternativa dagli apparati di foce fluviale. Le bocche tidali costituiscono le principali vie di comunicazione marittime da e verso le lagune e necessitano di ordinaria manutenzione nei casi in cui il trasporto longshore sia tale da occludere il canale. In questi contesti uno studio morfodinamico rappresenta una base indispensabile per una corretta pianificazione degli interventi finalizzati al mantenimento dell’ officiosità delle bocche lagunari; la funzionalità e la navigabilità possono essere garantite attraverso le operazioni di dragaggio periodico, con prelievo mirato di sabbie nelle aree di accumulo del delta di riflusso (barra lineare di margine di canale e lobo terminale).Questa operazione si configura dunque come soluzione vantaggiosa per le operazioni di ripascimento di litorali in erosione, in quanto i depositi di ebb-tidal delta generalmente presentano caratteristiche granulometriche compatibili con quelle dei litorali adiacenti. La pratica di escavazione dai bassifondi marini o “ebb-shoal mining” viene largamente effettuata negli Stati Uniti, in Florida e New Jersey ad esempio (Cialone & Stauble, 1998). A seguito della raccolta di dati batimetrici e sedimentologici, in parte forniti dal Magistrato alle Acque - Consorzio Venezia Nuova ed in parte acquisiti attraverso ricerche bibliografiche e due campagne di acquisizione di dati, sono state effettuate numerose elaborazioni con lo scopo di definire le potenzialità di prelievo di sabbie da alcuni apparati di delta di riflusso localizzati lungo l’arco costiero nord adriatico. La ricerca ha permesso inoltre di ampliare la base dati già esistente ed approfondire la morfodinamica delle bocche tidali presenti nel contesto ambientale nord adriatico, nonché le caratteristiche morfologiche degli ebb-tidal delta ad esse associati. Massicci interventi antropici, attuati a partire dallo scorso secolo, hanno portato alla modificazione dei litorali e dell’assetto delle bocche tidali, attraverso la costruzione di strutture permanenti a difesa degli arenili e per consentire la navigazione. Pertanto, le analisi sono state effettuate sia su apparati di bocca tidale in condizioni naturali che su bocche tidali stabilizzate da moli foranei. Infine, è stata analizzata l’evoluzione morfologica recente di alcuni apparati di foce fluviale (Adige, Piave e Sile), al fine di indagare l’eventuale possibilità di estrazione di sedimenti dagli scanni sabbiosi prospicienti tali apparati. Parte integrante del lavoro di ricerca è stata la messa a punto di una specifica procedura geostatistica in ambiente GIS (utilizzando il software ESRI ArcGis™), basata sul metodo elaborato in origine manualmente da Dean and Walton (1973). Una dettagliata analisi morfologica e morfodinamica degli apparati di bocca tidale e foce fluviale è stata effettuata attraverso l’elaborazione di modelli digitali del fondale marino (DEMs), consentendo l’elaborazione di alcune relazioni predittive relative a determinati parametri fisici quali prisma tidale, sezione della bocca e volume del delta di riflusso. Tali risultati sono stati messi a confronto con analoghe elaborazioni, relative a differenti contesti costieri come ad esempio le coste statunitensi e neozelandesi, in modo tale da evidenziare locali fattori morfodinamici responsabili dello sviluppo degli apparati di delta di riflusso. Le numerosi analisi metodologiche, condotte tramite l’estensione Geostatistical Analyst all’interno del software ESRI ArcGis™, hanno permesso di ottenere una valida procedura per il calcolo dei volumi di sabbia depositati nelle strutture di delta di riflusso. Infine, attraverso l’integrazione di tutti i dati raccolti, sia di nuova acquisizione che provenienti da fonti preesistenti, è stato predisposto un geodatabase in GIS, denominato Ebb-delta Geodatabase, che raggruppa tutte le potenziali cave di prestito individuate nonché le caratteristiche granulometriche dei depositi. Relativamente agli apparati deltizi del Piave e dell’Adige, dall’analisi è emersa una situazione critica di erosione dei fondali antistanti le foci, da attribuirsi con una certa sicurezza alla drastica diminuzione dell’apporto di materiale grossolano, avvenuta alla fine degli anni ’50 del secolo scorso e causata dagli interventi antropici sulle lungo le aste fluviali. I delta sommersi, privati di una parte consistente del contributo sedimentario, hanno subito un asporto di quantità significative di sedimento ad opera del moto ondoso e delle correnti marine e le occasionali ricariche, dovute agli eventi di piena, non sono sufficienti a riequilibrare il sistema. Su tale situazione insistono inoltre fenomeni puntuali, come nel caso dell’Adige, dovuti alla recente messa in opera di manufatti che hanno ulteriormente accentuato il processo di erosione dei fondali E’stato ritenuto pertanto che, in ragione di una dinamica sedimentaria legata ad eventi discontinui e a cicli stagionali di erosione-deposizione, ed essendo insufficiente l’apporto solido da parte dei corsi d’acqua, l’estrazione di materiale alle foci del Piave e dell’Adige non sia una soluzione praticabile ai fini del ripascimento di litorali in erosione. Diverso è il caso del fiume Sile, per il quale è stato verificato che l’apporto solido è per sua natura scarso, dunque insufficiente a creare significative anomalie deposizionali nell’area di foce. Gli apparati di delta di riflusso associati alle bocche tidali, sia naturali che stabilizzate, rappresentano al contrario significative trappole sedimentarie in ambiente sottocostiero, caratterizzate da volumi di sabbia compresi tra 270.000m3 e 10×106m3. La procedura geostatistica elaborata, definita procedura geostatica semi-automatica (Authomatic Detrending Procedure-ADP), si è rilevata un utile strumento analitico per la valutazione dell’estensione dei depositi sabbiosi e le elaborazioni effettuate hanno consentito di integrare dati provenienti da fonti non omogenee. Inoltre, lo studio della morfodinamica delle bocche tidali di Lido, Chioggia, Malamocco e Buso ha fornito un’interessante analisi relativa all’evoluzione dei delta di riflusso a seguito della costruzione di moli foranei. Come sottolineato da Carr and Kraus (2001), lo sviluppo verso mare e l’estensione degli apparati di delta di riflusso è determinato dall’ampiezza del prisma di marea, dalla pendenza della piattaforma costiera, e dal processo di confinamento del getto tidale da parte dei moli. Nonostante la casistica esaminata nel corso dello studio sia stata limitata a 11 bocche tidali, la correlazione riscontrata tra i valori di prima tidale ed i volumi ottenuti tramite la procedura geostatistica dimostra che nel caso di bocche tidali non armate i processi tidali siano prevalenti sull’azione del moto ondoso nell’influenzare lo sviluppo delle coltri deposizionali. La relazione V-P elaborata per l’area costiera nord adriatica risulta molto simile a quella ottenuta per le bocche tidali neozelandesi da Hicks and Hume (1996) mentre si discosta in maniera significativa da quelle elaborate per le coste statunitensi da Walton and Adams (1976) e Marino and Mehta (1988). L’utilizzo di una procedura standardizzata, come nel caso della procedura geostatica elaborata all’interno del progetto di ricerca qui presentato, ha permesso di ridurre la soggettività nella stima dei volumi che caratterizzava il metodo proposto originariamente da Dean and Walton (1973). Inoltre, tale procedura si è rivelata particolarmente utile nei casi in cui l’assetto morfologico risulti particolarmente complesso, come nel caso delle bocche tidali armate con moli fortemente aggettanti (Lido, Chioggia, Malamocco, Buso). In questi casi infatti è stata verificata una significativa discordanza tra i valori ottenuti tramite l’applicazione delle relazioni predittive e i risultati delle elaborazioni geostatistiche. Prima degli interventi di stabilizzazione, la maggior parte delle bocche tidali nord adriatiche presentava una configurazione marcatamente asimmetrica, dovuta all’ingente contributo del trasporto litoraneo che ha contributo in numerosi casi alla costruzione di lidi sfasati nella direzione sopraflutto (i.e. Punta Sabbioni; Alberoni; etc). A partire dal diciannovesimo secolo, a seguito delle difficoltà riscontrate per la navigazione dovute all’interramento e/o alla migrazione del canale principale, diverse foci lagunari sono state armate e tale intervento ha comportato una drastica modificazione del regime deposizionale nell’area sottocostiera. Di conseguenza, in relazione alla lunghezza dei moli foranei, la struttura deposizionale di delta di riflusso ha subito un processo di riconfigurazione, generalmente attraverso una traslazione verso mare a maggiori profondità, accompagnata da una parziale erosione dell’accumulo pre-esistente. In numerosi casi inoltre la presenza dei moli ha funzionato come sbarramento per il trasporto litoraneo il quale, prima di venire catturato dal getto tidale ed entrare nel by-pass sedimentario della bocca, ha alimentato l’accrescimento dei litorali posti sopraflutto, come ad esempio nel caso del litorale di Punta Sabbioni adiacente alla bocca di porto di Lido. Ciò ha portato alla formazione di differenti tipologie di delta di riflusso, pesantemente influenzate dall’intervento antropico, per le quali il volume di equilibrio teorico potrebbe essere raggiunto solamente a seguito di un ingente contributo del trasporto longshore, in un arco di tempo considerevole. Uno dei risultati di maggior interesse del presente lavoro risiede dunque nella verifica di uno “stato di immaturità” dei delta di riflusso associati alle bocche tidali stabilizzate, come nel caso della bocca di porto di Lido in cui la costruzione dei moli risale a circa un secolo fa. Come evidenziato da Hansen and Knowles (1988), il processo di confinamento da parte dei moli porta il flusso tidale ad abbandonare il canale principale naturalmente scavato, i canali marginali di flusso e la piattaforma di swash, con effetti sulla pre-esistente struttura deposizionali paragonabili a quelli osservati nei processi di rottura naturale dell’ ebb-tidal delta (ebb-tidal delta breaching; Fitzgerald et al., 1978). Al Lido a seguito della costruzione dei moli la maggior parte dei sedimenti in transito nell’area sottocostiera sono stati depositati sulla spiaggia di Punta Sabbioni, con una conseguente diminuzione del carico sedimentario disponibile per la costruzione del delta di riflusso. Poiché il volume stimato a seguito delle recenti indagini risulta corrispondere a solamente il 10% dell’ipotetico volume di equilibrio, il caso del Lido può essere considerato come un caso di delta “immaturo”, in quanto solo dopo l’esaursi dell’ingente fenomeno di accrescimento dell’arenile di Punta Sabbioni (che risale alla fine degli anni ’60) ha potuto intercettare la gran parte del carico sedimentario associato al trasporto longshore. Numerose incertezze permangono allo stato attuale delle indagini per quanto concerne l’effettivo raggiungimento del volume di equilibrio teorico; le annuali operazioni di escavazione effettuate per mantenere l’officiosità del canale, potrebbero difatti portare ad una configurazione stazionaria del deposito, che potrebbe essere confermata solamente attraverso uno specifico piano di monitoraggio. Gli studi effettuati sulle altre bocche tidali armate localizzate all’interno del contesto in esame hanno in ogni caso evidenziato un comportamento morfodinamico simile; i risultati delle elaborazioni confermano una estensione dei delta di riflusso inferiore a quanto previsto dalle relazioni predittive anche alle foci di Malamocco, Chioggia, e Buso. Per concludere, si sottolinea come la messa a punto di uno specifico database in GIS delle caratteristiche sedimentologiche delle morfologie oggetto di indagine costituisca un efficace strumento di gestione, che permette di associare ai diversi tipi di deposito le informazioni più significative riguardanti la localizzazione; i volumi utilizzabili, etc. Conoscendo le caratteristiche granulometriche dell’arenile da sottoporre all’intervento di ripascimento, un’interrogazione al database permette di identificare le potenziali cave di prestito compatibili, per poi progettare gli interventi più idonei, come ad esempio il prelievo di sedimenti dal canale principale nei casi in cui vi sia un surplus che provoca intralcio alla navigazione, oppure l’estrazione di sabbia nelle aree del delta di riflusso a maggior tasso di crescita (canali marginali flusso e/o lobo terminale). In ogni caso, l’estrazione deve essere limitata sia in estensione che per quanto riguarda lo spessore, per evitare effetti negativi e significativi disequilibri sui fenomeni di rifrazione delle onde e sulla dinamica sedimentaria. Non vi è alcun dubbio che un’attuazione sconsiderata della pratica di estrazione di sabbie dai delta di riflusso possa comportare conseguenze negative sui fondali ed i litorali adiacenti, d’altra parte come suggerito da Hansen and Work (1999) se gli interventi vengono pianificati in modo tale da rimuovere una frazione ridotta del deposito mantenendo così i naturali processi di scambio sedimentario, gli impatti sui litorali adiacenti possono essere di minima portata. La preservazione dell’assetto generale del delta, attraverso l’escavazione di sedimento nella parte terminale verso mare su un’area più estesa in superficie e meno in profondità, può efficacemente ridurre l’alterazione dei pattern di rifrazione delle onde e dei meccanismi di trasporto dei sedimenti.1499 1716 - PublicationIl contributo dei dati sismici per la valutazione delle risorse idriche e geotermiche della pianura friulana(Università degli studi di Trieste, 2008-04-28)
;Barison, Erika ;Masetti, DanieleNicolich, RinaldoL’attività di ricerca svolta in questi tre anni di dottorato ha coperto vari campi d’interesse nell’ambito della geologia e della geofisica con l’acquisizione, elaborazione ed interpretazione di dati sismici a riflessione ad alta risoluzione e l’applicazione alle ricostruzioni stratigrafiche per studi idrogeologici. I dati preesistenti da cui si è partiti sono state la “Mappa del Tetto dei Carbonati” e la “Mappa delle Isobate del Quaternario”, presentate all’interno del quaderno “Carta del Sottosuolo della Pianura Friulana” e realizzate dal DICA nel 2004 (Nicolich et al., 2004). Esso contiene anche cinque sezioni geologiche, derivate dall’interpretazione e conversione in profondità di linee sismiche, che attraversano la Pianura Friulana e Veneta orientale, e le stratigrafie dei pozzi per ricerche di idrocarburi presenti nel territorio. Queste mappe sono state riviste e corrette attraverso una serie di nuovo dati acquisiti nel corso di questi tre anni. Il primo passo è stato l’acquisizione di 8 km di linee sismiche a riflessione ad alta risoluzione, distribuite nei territori dei comuni di Aquileia (una linea lunga 4 km) e Grado (tre linee, per un totale di 4 km). Le linee sismiche hanno permesso di vedere in dettaglio la struttura del sottosuolo nell’area in studio. Le linee acquisite a Grado, inoltre, sono servite per posizionare il pozzo Grado-1. Con gli stessi criteri usati per l’interpretazione di queste linee sismiche è stata rivista la linea sismica ad alta risoluzione realizzata precedentemente dal DICA nel settore occidentale, nel territorio del comune di Precenicco. Successivamente sono state interpretate le linee sismiche a riflessione ad alta e altissima risoluzione, acquisite dall’OGS nel Golfo di Trieste e nelle Lagune di Marano e Grado. Tutti questi dati, una volta convertiti in profondità, hanno fornito le informazioni necessarie per l’estensione in mare delle due mappe prima citate. Lo scopo di questo lavoro è stato la definizione delle risorse geotermiche nel sottosuolo della Bassa Pianura Friulana. Per raggiungere questo obiettivo sono stati raccolti ed analizzati i dati da pozzo per ricerche idriche più affidabili presenti nella Bassa Pianura Friulana. In particolare sono state correlate le stratigrafie di 142 pozzi e, mediante l’utilizzo di un opportuno software commerciale (Rockworks), sono state identificati e definiti i sistemi di acquiferi di interesse geotermico esistenti nel sottosuolo, anche grazie all’ausilio di analisi geochimiche ed isotopiche effettuate dal gruppo di lavoro in pozzi scelti per un monitoraggio su lunghi tempi. La sequenza degli acquiferi è stata anche riportata sulle linee sismiche ad alta risoluzione acquisite a terra con il riconoscimento degli orizzonti riflettivi corrispondenti. Il risultato è stato illustrato con sezioni stratigrafiche 2D e successivi modelli interpretativi che mostrano estensione e spessori degli acquiferi, mappati in profondità con i corrispondenti valori di temperatura delle acque. Un lavoro analogo a quello svolto per i profili a terra e a mare nella Bassa Pianura e nel Golfo di Trieste, ovvero interpretazione e conversione in profondità dei dati, è stato eseguito per altre linee sismiche, acquisite preminentemente nell’Alta Pianura Friulana alla fine degli anni ’70 dall’Agip, concesse dalla stessa per tempi di riflessione fino a 1,5 s TWT, e ri-processate dall’OGS, su incarico della RAFVG, per recuperare dati più prossimi alla superficie con obiettivo applicazioni idrogeologiche. Le linee, interpretate sulla base delle conoscenze geologiche attuali e convertite in profondità, oltre a fornire le informazioni necessarie per il controllo e una migliore definizione delle Isobate del Tetto dei Carbonati e delle Isopache del Quaternario, mettono in evidenza le strutture geologiche del sottosuolo della pianura friulana, identificando la catena dinarica sepolta e le deformazioni sud-alpine. Le immagini chiariscono anche l’evoluzione delle strutturazioni tettoniche e delle sequenze deposizionali, con delimitazione dei riempimenti con i Flysch dinarici, con le sequenze mioceniche legate all’avanzamento delle unità sud-alpine, a partire dalla formazione indicata come Gruppo della Cavanella. Più in superficie è stata esaminata l’evoluzione delle sequenze plio-quaternarie con una migliore precisazione delle formazioni che costituiscono la base dei depositi dql Quaternario: substrato occupato dai carbonati mesozoici, dal Flysch eocenico, dalle molasse del Miocene e infine l’estensione del bacino di deposizione delle sequenze plioceniche.1720 10300 - PublicationContributo di dati di gravità nella valutazione del vulcanismo CAMP in Africa Nord-Occidentale(Università degli studi di Trieste, 2015-03-27)
;Fabbri, JuliusBraitenberg, CarlaLa domanda alla base di questa ricerca è stata se il metodo della gravimetria satellitare possa essere utilizzato per seguire le unità geologiche anche in luoghi difficilmente accessibili. L’obiettivo di questa ricerca è di verificare se le missioni satellitari di nuova generazione permettano di identificare la più grande delle province ignee della Terra (Bertrand et al., 2013), nota come CAMP (Central Atlantic Magmatic Province) in Africa nord-occidentale. Oltre alle motivazioni scientifiche, una possibile applicazione è l’esplorazione di risorse minerarie e lo sfruttamento di energia geotermica. Tale provincia ignea è una LIP (Large Igneous Province) che si estende in Nord e Sud America, Atlantico, Europa ed Africa (istituita in Marzoli et al. 1999). Essa si è sviluppata a seguito della frammentazione del super-continente Pangea al limite Triassico-Giurassico, ca. 200 Ma fa. A causa probabilmente del riscaldamento globale del mantello e/o dalla convezione dello stesso innescata da dislivelli di blocchi litosferici, dai dicchi-sorgente si produssero i cosiddetti basalti da flusso e si verificò un intenso vulcanismo con imponenti colate laviche tali da suggerire a taluni ricercatori che gli elementi volatili presenti nel magma abbiano contribuito ad aumentare i gas serra con conseguenze nel clima globale e nelle estinzioni di massa. I depositi in esame sono costituiti da lave, tholeiti continentali, doleriti, basalti e gabbri. Ciò che rimane di questa attività vulcanica sono dicchi singoli o in sciami, batoliti, sill, colate laviche e plateau basaltici (nei fondali oceanici). L’Africa nord-occidentale è costituita principalmente da un cratone composto da rocce molto antiche dell’Archeano (3000-2500 Ma). Esso emerge a nord nello scudo Reguibat e, a sud, la dorsale dell’Uomo o del Leone (Lucazeau et al., 1991). Il cratone è circondato dalle zone di geosutura (greenstone e cinture mobili) associate al cosiddetto evento termo-tettonico Pan-Africano, verificatosi ca. 650 Ma fa con l’assemblaggio del continente africano da blocchi crostali più piccoli. Nelle Mauritanidi affiora il basamento ercinico (ca. 350 Ma) mentre negli Atlas e nelle Magrebidi prevalgono rocce più recenti connesse all’orogenesi alpina (0-150 Ma). Al centro del cratone si trova il bacino paleozoico Taoudenni che riempie una vasta area depressa. Tutto il territorio in esame è caratterizzato da una forte presenza di rocce metamorfiche dense e magmatiche di ogni età, con presenza di più di un “punto caldo” che potrebbe essere definito un terreno igneo (Bryan et al. (2008) con più LIP spesso sovrapposte o limitrofe. Mediamente, tutte queste rocce magmatiche e metamorfiche hanno una densità di 3000 kg/m3 (Kröner, 1977 ), maggiore di quella della crosta standard e dei sedimenti. Particolare attenzione è stata dedicata ad un lineamento tettonico noto come Pelusium Megashare System (PMS) che attraversa tutta l’Africa nord-occidentale (Neev et al., 1982) chiaramente visibile in tutte le immagini satellitari di Google Earth ma che è riportato solo in pochissime pubblicazioni. Per la prima volta in questa tesi si ipotizza un collegamento tra la CAMP e PMS. La gravimetria satellitare consente di rilevare variazioni di densità nella crosta terrestre. Ove vi sono rocce più dense, il segnale rilevato (detto anomalia gravimetrica) è positivo e viceversa. La gravimetria da satellite si è rivelata un valido strumento per identificare le aree con surplus di massa. La risposta all’interrogativo iniziale è dunque affermativa anche se, da quanto esposto, risulta difficile o impossibile associare ad un certo segnale positivo una data LIP. L’elaborazione dei segnali è avvenuta partendo dai dati del satellite GOCE (ultima generazione, a un’orbita di 250 km ma già ammarato) e GRACE (obsoleto ma tuttora in orbita a ca. 450 km). I dati utilizzati sono dei modelli del campo di gravità terrestre che contengono i coefficienti di Stokes per lo sviluppo in armoniche sferiche del potenziale. I modelli utilizzati sono l’EGM2008 (comprendente anche dati di terra, con risoluzione massima 10 km se sviluppato al massimo ordine di 2159) e GOCO TIM R4 (con una risoluzione massima di 80 km, la migliore mai ottenuta da dati satellitari globali). Il modello EGM2008 è stato sviluppato fino all’ordine e grado 720 per eliminare dati spuri (Pavlis, 2012) e, in tal modo, ha permesso di raggiungere una risoluzione di ca. 27 km se si considera metà lunghezza d’onda. Dopo il controllo della qualità dei dati, essi sono stati elaborati nel seguente modo, come esposto nei capitoli 2, 3 e 4. Ai dati grezzi sono state applicate tre riduzioni per sottrarre gli effetti di gravità indesiderati che mascherano il segnale cercato più debole. È stato sottratto l’effetto di gravità della topografia, dei sedimenti e dell’interfaccia crosta-mantello (ICM). Partendo dall’anomalia “in aria libera” (FA), è stata quindi ottenuta l’anomalia di Bouguer (BA) e la BA corretta per i sedimenti. Poi, calcolata la Moho (ICM) isostatica, si è prodotto il residuo isostatico corretto per i sedimenti. I campi elaborati sono la gravità gz (espressa in milli Gal, mGal) ed il gradiente Tzz (misurato in Eötvös, E). Sono state usate le risoluzioni di 0.5° e di 0.05°, computati ad una quota di 4000 m s.l. m perché maggiore del più altro rilievo montuoso dell’area. Dopo aver modellato dei casi a geometria semplice (cap. 6) si è passati alla modellizzazione di tre casi reali. I tre siti scelti per l’approfondimento sono: Tindouf (Algeria), Taoudenni (Mali), Timbuktu (Mali). Nel bacino di Tindouf un sill doleritico CAMP è annesso al suo probabile dicco-sorgente reso evidente dalla gravimetria che identifica bene anche una vicina miniera di Ferro. Nel bacino Taoudenni, le due anomalie principali suggeriscono la presenza di cumuliti magmatici spessi una dozzina di chilometri e connessi con la superficie attraverso dicchi obliqui. Il sito presso Timbuktu è trattato nel dettaglio perché al di sotto del vicino lago Faguibine è stata rivelata un’intrusione magmatica lunga ca. 250 km. In superficie vi sono evidenze di magmatismo (per es. fumarole) tali da preoccupare le popolazioni locali (El Abbass et al., 1993). Tra i risultati inaspettati, si ricorda il forte segnale gravimetrico generato dalle peridotiti in Marocco ed un’importante anomalia (80 mGal) nel Grand Erg Occidental (Algeria) al di sotto del Sahara che sembrerebbe essere causata da un corpo denso lungo ca. 600 km.1030 2481 - PublicationDeep structure beneath the Central-South Tibet crustal density modelling and azimuthal anisotropy variation inferred from Quasi-Love wases(Università degli studi di Trieste, 2010-03-29)
;Zhang, Sufang ;Zhongjie, Zhang ;Panza, GiulianoBraitenberg, CarlaThe area of the present study is the central part of southern Tibet. It consists of two accreted terranes, Lhasa and Himalaya terranes, which today record the deformation history that originated from the processes of collision between the Eurasia and India plates. Our study of the crust/mantle structure in terms of seismic velocity, density, anisotropy and petrologic composition are undoubtedly significant to deepen the understanding of the continent-continent collision and its dynamics. This PhD thesis can be briefly summarized into four parts that are listed in the following. 1) In order to reveal the characteristics of the crust/mantle deformation that has been generated by the Indian/Eurasia collision in the southern Tibet plateau, we study the propagation of Quasi-Love (QL) waves. Our study is based on the results from numerical modeling, which proved that QL is sensitive to lateral variation of seismic anisotropy, rather than heterogeneity and other factors. The results we obtain from processing locally observed seismograms, reveal a West-East variation of crust/mantle deformation in each terrane of the plateau. 2) A 3D density model of central-south Tibet is produced by modeling the Bouguer gravity field using all existing constraints. 3) Integrating seismic velocity and density models of the crust in the Lhasa and Himalaya terranes, we infer crustal composition models in central and southern Tibet. 4) Combining crustal density, velocity and mineralogical composition models, some important issues, such as the Indian slab subduction angle, and the relationship between crustal density and earthquake occurrences are discussed. Some results based on the gravity modeling are summarized as follows: 1) under the constraint of the geometrical structure defined by seismic data, a 3-D density model and Moho interface are proposed for central-south Tibet; 2) the lower crustal density, smaller than 3.2 g/cm3, suggests the absence of eclogite or partial eclogitization due to delamination under the central-south Tibet; 3) seismicity is strong or weak in correspondence of the most negative Bouguer gravity anomaly, so there is not a relationship between them; 4) the composition of the lower crust, determined after the temperature-pressure calibration of seismic P wave velocity, might be one or a mixture of: 1. amphibolite and greenschist facies basalt beneath the Qiangtang terrane; 2. gabbro-norite-troctolite and mafic granulite beneath the Lhasa terrane. When using the data set published by Rudnick & Fountain (1995), the composition of the middle crust turns out to be granulite facies and might be pelitic gneisses. Granulite facies used to be interpreted as residues of partial melting, which coincides with the previous study by Yang et al. (2002) on partial melting in the middle crust. Amphibolite facies are thought to be produced after delamination, when underplating works in the rebound of the lower crust and lithospheric mantle. From the seismology study, I have made the following conclusions: 1) through numerical simulation of surface wave propagation in heterogeneous media, we find that amplitude and polarization of surface wave only change a little when considering heterogeneity and QL waves, generated by surface wave scattering, are caused by lateral variation of anisotropy. 2) QL waves have been identified from the seismograms of selected paths recorded by the Tibetan station CAD, and are utilized to determine the variation of the uppermost mantle anisotropy of the Tibetan plateau. The location of the azimuthal anisotropy gradient is estimated from the group velocities of Rayleigh wave, Love wave and QL wave. We find that a predominant south-north lateral variation of azimuthal anisotropy is located in correspondence of the Tanggula mountain, and a predominant east-west lateral variation of azimuthal anisotropy is found to the north of the Gandese mountain (near 85°E longitude and 30°N latitude) and near the Jinsha river fault (near 85°E longitude and 35°N latitude).1316 2014 - PublicationGas hydrate occurrence and Morpho-structures along Chilean margin(Università degli studi di Trieste, 2009-04-27)
;Vargas Cordero, Ivan De La Cruz ;Fanucci, Francesco ;Fanucci, FrancescoTinivella, UmbertaDuring the last decades, the scientific community spent many efforts to study the gas hydrates in oceanic and permafrost environments. In fact, the gas hydrate occurrence has a global significance because of the potential energy resource represented by the large amount of hydrocarbon trapped in the hydrate phase. Moreover, it may play a role in global climate change, and it is also study because of the hazard that accumulations of gas hydrate may cause to drilling and seabed installations. In seismic data, the base of the gas hydrate presence is detected by a strong reflector, called BSR. Along the Chilean continental margin, in the last decades the BSR is well reported by several geophysical cruises. In particular, the BSR is recognized along the accretionary prism. An important aspect related to the gas hydrates is the estimate of gas concentration in the pore space by using seismic data. In fact, both compressional and shear wave velocities provide information about the presence of gas hydrate and free gas in marine sediments. A quantitative estimate of gas hydrate and free gas concentrations can be obtained by fitting the theoretical velocity to the experimental velocity. For this purpose, in this Thesis several seismic data are analyzed in order to detect, quantify and explain the gas hydrate presence in this region. Frontal and basal accretions were identified by interpreting six post-stack time migrated sections, which across the entire margin (continental shelf, continental slope, oceanic trench and oceanic crust). The trench infill southwards of Juan Fernandez Ridge is characterized by a succession of reflectors with high and low amplitude associated to turbidites. A thinner bed (0.3 s) was recognized in correspondence to the accretionary prism characterized by several morphological highs. These morphological highs were associated to different accretional stages. On the contrary, a thicker bed (0.8 s) was recognized in correspondence to an uplifted accretionary prism characterized by a smoother topography. Basal and frontal accretions can be related to the morpho-structures recognized in this part of the Chilean margin. Negative and positive flower structures can help to explain the deformational variability of the Chilean margin, because negative flowers structures are associated to transtensional domain, where the continental slope morphology is characterized by normal faults, submarine erosive channels and slump heads. Positive flower structures, instead, are associated to transpresional domain and could explain the presence of older re-activated thrusts, slightly deformed slope basins. Moreover a strike-slip component affecting the oceanic crust, can also involve the continental margin, in fact on the continental slope, positive and negative flower structures can be associated to strike-slip faults parallel to the coast or to Riedel shear. The BSR is an important indicator of gas hydrate and free gas presence and we performed a processing to enhance its presence. In all analysed sections, the BSR was recognized in correspondence to an ancient accretionary prism with different seismic characteristics along the margin. A strong and continuous BSR was recognized in the northern sector (offshore Itata) and southern sector (offshore Coyhaique), while a discontinuous and weak BSR was recognized in the central Chile (offshore Arauco and Valdivia). In order to quantify the gas-phase, an advanced processing was performed. Two portions of sections were selected of about 20 km length. The first one is located in the central part (offshore Arauco) and another one is located in the southernmost part (offshore Coyhaique). In the Coyhaique offshore, the seismic section evidences the presence of a structural high that acts as structural trap for the gas and the fluid upwards migrating. Here, the BSR depth varies from 250 mbsf (in the middle of the accretionary prism) to 130 mbsf (in the structural high), reaching its maximum (330 mbsf) in the fore-arc basin. This depth variability is partially due to the different water depth and partially to the variable geothermal gradient, which varies from 35 to 95° C/km, caused by fluid migration that modifies the gas hydrate stability field. In the Arauco offshore, the BSR is strong and continuous only in a limited area, where it is possible suppose that the fluid is accumulated below the gas hydrate layer and, somewhere, the fluid reaches the seafloor. In this area, the BSR depth reaches 500 mbsf. Here, the higher BSR depth with respect to offshore Coyhaique can be justified by the high water depth and the presence of a lower geothermal gradient (about 30° C/km). The results allowed us to recognize a high (2200 m/s) and low (1270 m/s) velocity layers associated to gas hydrate and free gas presence respectively. The highest gas hydrates and free gas concentrations were detected in the Coyhaique offshore (at 44.5 °S) with an average of 12% and 1% of total volume respectively. By using the instantaneous amplitude, in particular using the BSR/seafloor ratio, it is possible conclude that the section located northernmost in offshore Itata (close to 36 °S; RC2901-728 section), can be considered an interesting reservoir of gas hydrates and free gas, because of the high estimated values of the BSR/seafloor ratio (>0.5). This study suggests that the gas hydrate can play an important role in this part of the Chilean margin for two main reasons. The first one is related to the potentiality of the hydrate reservoir. In fact, the local high concentrations of both hydrate and free gas, as suggested by previous and our studies, could be considered as a future energy resources. The second one is related to the important geo-hazard related to the gas hydrate destabilization. For example, high amount of the free gas, presumably in overpressure condition (Coyhaique offshore), could be naturally released and trigger submarine slides, inducing hydrate instability. Moreover, a possible strong earthquake could generate anomalous sea waves, which could affect at vicinity coast, inducing the gas hydrate destabilization.1515 2127 - PublicationGround motion estimation in the eastern-southern alps:from ground motion predictive equations to real-time shake maps.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Moratto, Luca ;Suhadolc, Peter ;Suhadolc, PeterCosta, GiovanniLo scopo di questa tesi di dottorato è la stima del moto forte del suolo nell’area delle Alpi Sud-Orientali. A tal fine sono state proposte delle relazioni empiriche che stimano i parametri del moto in funzione della magnitudo, della distanza dall’epicentro e della classificazione geologica del suolo; successivamente tali relazioni sono state usate per calibrare il software ShakeMaps con il fine di generare in tempo reale le mappe di scuotimento del terreno per la regione Friuli-Venezia Giulia. Le GMPEs (Ground Motion Predictive Equations) per PGA, PGV e SA sono state calcolate nell’area delle Alpi Sud-Orientali utilizzando registrazioni del moto forte del terreno. Sono state selezionate 900 forme d’onde accelerometriche filtrate tra 0.1 Hz e 30 Hz; la distanza epicentrale varia tra 1 km a 100 km, mentre la magnitudo locale, opportunamente calibrata confrontando diversi cataloghi, varia in un intervallo relativamente ampio (3.0 <= ML <= 6.3). Sono stati testati diversi modelli di attenuazione e il miglior risultato è stato individuato utilizzando specifici criteri di valutazione derivanti da considerazioni di carattere statistico (valore di R2, uso dell’ANOVA test, analisi dei residui). I coefficienti del modello finale sono stati determinati oltre che da ML, dalla distanza epicentrale e dagli effetti dovuti al sito, anche dalla saturazione della magnitudo, dalla correlazione tra magnitudo e distanza e dagli effetti di “near-source”. I coefficienti delle GMPEs sono stati calcolati per le componenti verticali ed orizzontali (rappresentata sia con la componente maggiore sia con la somma vettoriale delle due componenti); la tecnica dell’analisi dei gruppi ha permesso di ridurre l’incertezza finale sulle relazioni empiriche. Il confronto con i risultati ottenuti precedentemente evidenzia come le relazioni ottenute in questa tesi abbiano una maggiore attenuazione a basse magnitudo e a grandi distanze; risultati analoghi sono stati ottenuti per le relazioni ricavate dai dati registrati in tutta l’Italia Settentrionale. L’evoluzione recente delle reti sismiche rende oggi disponibile una grossa mole di dati acquisiti in tempo reale, per cui risulta fattibile stimare velocemente lo scuotimento del terreno tramite mappe; il software “ShakeMap” è stato adattato alle Alpi Sud-Orientali implementato allo scopo di ottenere una stabile interfaccia con il sistema di acquisizione dati “Antelope” che garantisca l’estrazione dei parametri del moto dalle forme d’onda e la creazione delle mappe di scuotimento entro 5 minuti dall’evento sismico. Questa procedura richiede una fitta e uniforme distribuzione spaziale degli strumenti di registrazione sul territorio e una classificazione geologica del suolo fatta usando le velocita’ medie, Vs30, dei primi 30m del mezzo immediatamente sotto gli strumenti. La classificazione geologica del suolo prevede la suddivisione in tre categorie (suolo rigido, suolo addensato e suolo soffice) mentre i coefficienti di amplificazione sono stati calcolati usando le relazioni proposte da Borcherdt (1994). Le relative mappe vanno calcolate usando le GMPEs e le relazioni empiriche che legano il moto del terreno all’intensità macrosismica, basate ambedue su dati registrati nella regione alpina. Le GMPEs discusse in precedenza sono state inserite nel software “ShakeMap” per la produzione delle mappe di scuotimento in tempo reale e quasi-reale nell’Italia Nord-Orientale. Per valutare l’effetto della densità di stazioni sulle mappe di scuotimento sono stati calcolati dei sismogrammi sintetici relativi al terremoto di Bovec 2004 variando il passo di griglia e la geometria dei ricevitori. I risultati ottenuti indicano come una distribuzione fitta e uniforme di strumenti sul territorio e una scelta accurata delle dimensioni della griglia dei ricevitori siano cruciali per calibrare le mappe di scuotimento in una ben determinata area geografica. Le mappe di scuotimento del suolo sono state generate per otto terremoti avvenuti nell’area considerata negli ultimi 30 anni; inoltre per gli eventi del Friuli 1976 e Bovec 1998 è stato utilizzato il modello di faglia finita con i parametri di sorgente stimati in precedenti studi. La validazione del modello è stata fatta calcolando il misfit tra le intensità macrosismiche osservate (catalogo DBMI04) e quelle “strumentali” che sono state ottenute dai sismogrammi sintetici tramite relazioni empiriche tra moto del suolo ed intensità. L’analisi è stata fatta per i terremoti del Cansiglio (1936), del Friuli (1976) e di Bovec (1998). I sismogrammi sintetici sono stati calcolati ad una frequenza massima di 10 Hz applicando il modello della riflettività; i parametri del moto sono stati estratti dai segnali sintetici calcolati nelle attuali stazioni di registrazione e successivamente sono state generate le mappe di scuotimento. L’intensità macrosismica “strumentale” è stata ricavata applicando diverse relazioni; il minor misfit è stato ottenuto usando le relazioni proposte da Kästli and Fäh (2006) per tutti e tre i terremoti considerati, il che sembra validare il nostro modello di Shake Maps.1311 4051 - PublicationIntegrazione di metodologie geofisiche, geomorfologiche, sedimentologiche e geochimiche, per la definizione della genesi e dell'età degli affioramenti rocciosi presenti sul fondale marino dell'Adriatico settentrionale(Università degli studi di Trieste, 2009-04-27)
;Gordini, Emiliano ;Marocco, Ruggero ;Marocco, Ruggero ;Vazzoler, Marina ;Tunis, GiorgioRamella, RiccardoDa molti anni i fondali marini dell’Adriatico Settentrionale sono oggetto di interesse scientifico. Si annoverano studi accademici già dal 1792 ma solamente dalla seconda metà degli anni sessanta, grazie agli studi geologici, geofisici e geomorfologici, intrapresi da alcuni ricercatori è stato possibile evidenziare che i fondali marini del Golfo di Venezia unitamente al Golfo di Trieste sono prevalentemente sabbioso-limosi e monotoni dal punto di vista morfologico e delle forme di vita animali e vegetali. Questa monocorde caratteristica del fondo dell’alto Adriatico viene interrotta solamente dalla presenza di elevazioni a substrato roccioso denominate localmente Grebeni, Trezze, Tegnùe e Scagni. I risultati di questo dottorato di ricerca hanno permesso, attraverso l’integrazione di acquisizioni geofisiche, campionamenti diretti in situ, registrazioni video e fotografiche, misure in laboratorio, di ampliare il quadro delle conoscenze acquisite fino ad ora sugli affioramenti rocciosi presenti nel fondale marino dell’alto Adriatico, e di aggiungere nuove indicazioni sull’età dei depositi cementati e sui processi diagenetici che hanno portato alla loro formazione. Dall’attività di studio morfo-batimetrico e sismostratigrafico è stato possibile trarre una prima considerazione sulla distribuzione, numero e forma degli affioramenti segnalati facendo emergere che il loro numero è diseguale nel Golfo di Venezia rispetto a quello di Trieste, con i primi di gran lunga superiori ai secondi, e che questi si presentano in entrambi i golfi eccezionalmente in forma solitaria, normalmente in gruppi di affioramenti di densità variabile da 0,5 sino a 3,25 affioramenti per km2. Dalla tipologia di questi raggruppamenti è stato possibile distinguere quelli a gruppo puntuale, quelli a gruppo allineato ed infine, quelli a gruppo frastagliato. Si è cercato infine di verificare se esistesse un rapporto tra forma di affioramento e processo genetico; è emerso che almeno al momento non si sono riscontrate relazione univoche tra forma e processi diagenetici. Questi avvengono su depositi di ambiente continentale, oppure marino con caratteri molto simili, dove il tipo di deposito sembra essere responsabile solamente di un eventuale effetto accumulo o influenzante il regime di flusso del gas attraverso i sedimenti portando ad una maggiore concentrazione di emanazioni gasose e dunque all’instaurarsi di processi di precipitazione di carbonato di calcio, tipici delle aree di seepage, lungo aree preferenziali. L’indagine sull’immediato sottofondo marino ha messo in evidenza da un lato lo scarso radicamento degli affioramenti nella coltre sedimentaria e dall’altro la presenza di numerose sacche di gas nell’immediate vicinanze degli affioramenti. Lo studio delle sezioni sottili di roccia realizzato con microscopio petrografico ed elettronico in dispersione di energia, ha portato all’individuazione di cementi riconducibili ad una precipitazione avvenuta prevalentemente in ambienti francamente marini subtidali o al limite della fascia più profonda intertidale, mentre in alcuni casi, il cemento è risultato talmente scarso da non permettere alcuna interpretazione. Confrontando i cementi aragonitici a struttura aciculare e/o fibroso raggiata individuati in alcune rocce dell’ alto Adriatico con quelli osservati in lastre carbonatiche campionate all’interno di alcuni pockmarks presenti al largo delle coste norvegesi è evidente una forte similitudine morfologica. In tal senso risulta rafforzata una genesi legata alla fuoriuscita di gas metano originatosi per la combinazione di processi di ossidazione anaerobica e solforiduzione batterica della sostanza organica presente nei sedimenti sottostanti. Dalle analisi isotopiche è emersa la conferma di quanto dedotto dalla semplice forma dei cementi. E’ risultato che il rapporto isotopico del carbonio dei campioni bulk analizzati (frazione detritica + bioclastica) si colloca in un intervallo compreso tra -26,30 / -10,28 ‰ , mentre sono risultati valori nettamente più negativi per quanto riguarda i soli campioni di cemento accuratamente prelevato al microscopio (intervallo compreso tra -49,8 / -38,0 ‰). Infine sono state condotte analisi 14C su due campioni di cemento aragonitico e su tre bioclasti inglobati sulla roccia cementata. E’ risultato che la probabile età delle torbe da cui è iniziato il processo di metanogenesi è compatibile con l’età dei cementi analizzati, che risulta variabile da 15.940 a 21.700 anni B.P., come d’altra parte supposto in altri lavori, mentre la cementazione è avvenuta in lassi di tempo inferiori da 8.220 a 4.990 anni B. P. e si è realizzata in tempi probabilmente recenti e tutt’oggi in atto. A conclusione di questo dottorato è possibile evidenziare che è stata raggiunta una esaustiva conoscenza degli affioramenti rocciosi presenti nel fondale marino dell’alto Adriatico, definendo dettagliatamente la loro diffusione, e per alcuni la loro genesi ed età. E’ stata accertata la formazione metanogenica di alcuni di questi litosomi e la loro formazione in ambiente marino. Per altri affioramenti questa definizione non è stata possibile a causa della scarsità di materiale reperibile per analisi ottiche ed isotopiche. E’ stata accertata per questi litosomi l’età olocenica della loro cementazione; rimane comunque, da accertare se questo tipo di genesi sia la sola responsabile delle migliaia di rocce sottomarine individuate, o se questa sia solamente quella preponderante su altre tipologie, attualmente non confermate. Per ultimo ma non meno importante, va sottolineato che anche in relazione a questo dottorato di ricerca si assiste oggi ad una maggior attenzione della classe politica locale e nazionale al problema della gestione e della difesa di questi particolari geo-biositi che oltretutto possono essere utilizzati e valorizzati come aree di ripopolamento bentonico e nectonico e che recentemente sono stati censiti come probabili aree SIC.1428 4234 - PublicationIntegrazione di modelli di trasporto biogeochimici nel mar Mediterraneo(Università degli studi di Trieste, 2008-04-28)
;Lazzari, Paolo ;Crise, AlessandroStravisi, FrancoThe present dissertation describes the work carried out to setup a biogeochemical 3D model for the Mediterranean Sea (OPATM-BFM) and the analysis of the preliminary results and the critical issues emerged. The purposes of this work range from the operational short term forecast to the multi annual climatological simulations. Main part of the work has been spent on the setup of the system basically composed by a passive Tracer Model (OPA Tracer Model) coupled with a biogeochemical flux model (BFM). The work is organized as follows: chapter 1) is an overview of problematics, definitions and phenomology of the Mediterranean sea ecosystem; chapter 2) presents the modeling approach applied to ecosystem; chapter 3) contains details about the specific model assembled for the Mediterranean Ecosystem; chapter 4) describes the operational model devoleped and the first evaluation of the results; chapter 5) presents the analysis of the results of a multi-annual simulation; chapter 6) analyzes the equations governing phytoplankton growth and light acclimation; chapter 7) concludes the work with final remarks and future work. The choices of the domain resolution, the complexity of the ecosystem model and the fact that large part of the packages were not designed for parallel architectures required a significant work for the optimization of the code to obtain results in reasonable time. Currently the implementation of 1 year simulation takes 48 hours in CINECA high performance computer on 32 processors. The offline paradigm adopted has shown to be the right solution to interface the model to the different OGCMs that present peculiar domain discretizations. In particular in the operational short term forecast application the core of the system OPATM-BFM is merged in an automatic pre/operational chain where the general circulation model generating the circulation (INGV MFS-SYS2b) adopts a data assimilation scheme. The result is one of the first examples of biogeochemical predictive model that is pre-operational in Europe. Model validation is based on the qualitative comparison of chlorophyll-a satellite measurements and total chlorophyll-a simulated by the model for the period of April 2007 - November 2007. Results show that the model is in general able to reproduce the west/east chlorophyll gradient but, with respect to climatolgy, there is a general overestimation of the southern areas of western and eastern sub-basin and a general underestimation of the northern areas in particular in the Gulf of Lions deep mixing area. 1 The second implementation proposed is performed on multiannual time scale. In this case the forcing OGCM is an hindcast model. Also in this case model result are compared with SeaWiFs satellite data: the seasonal cycle of chlorophyll is qualitatively reproduced for the western area with a general overestimation in the eastern area during winter. A longitudinal dependent light extinction coefficient is applied to the model to reproduce the longitudinal Deep Chlorophyll Maximum gradient characterizing the Mediterranean Sea. Analyses of vertically integrated primary production show that the model represents the biogeochemical features of the western basin whilst the Eastern basin (modeled) is less oligotrophic than expected. An explanation for this result can be related to the overestimation in the eastern intermediate layer (200 − 600m) of phosphate limiting nutrient concentration. Half of the primary carbon production flows to bacteria as in the upper range of previous estimations. As for chlorophyll surface data, there is a well marked seasonal cycle of vertical integrated phytoplanktonic biomass with a maximum during winter. Dominant functional groups are picophytoplanton and diatoms with an alternating behaviour: during winter the two groups present equal biomass but in summer, model simulates a clear dominance of picophytoplanton. Bacterial biomass is of the same order of magnitude of phytoplantkon biomass and it is in agreement with what observed in previous studies. This modeling system is currently under development in several projects: MERSEA, SESAME, VECTOR and several new projects are going to benefit from this OPATMBFM development. In particular, in both the operational and multi annual configurations OPATM-BFM, has been chosen as pilot application in the framework of FP7 DORII project started in february 2008. In the DORII project, OPATM-BFM will be integrated with real time observing systems (i.e. Slocum Glider system) by a Communication Technology including also data assimilation schemes. In CLECOMED (Impatti dei cambiamenti CLimatici sull’ ECOsistema del Mar MEDiterraneo) project, based on CINECA cornerstone projects, OPTM-BFM will be further optimized to face the high computational demand of multi-annual climatological simulations (SESAME and VECTOR). Moreover, the management of the large amount of data produced by the simulations will be a further issue. —— o —— La presente tesi documenta il lavoro effettuato per implementare un modello biogeochimico 3D (OPATM-BFM) del Mar Mediterraneo e per l’ analisi dei risultati preliminari e delle problematiche osservate. Le finalit`a di questo studio spaziano dalla previsione operazionale a breve termine fino a simulazioni climatologiche su scale di tempo pluriannuali. Gran parte del lavoro `e stata dedicata alla implementazione e configurazione del sistema OPATM-BFM composto da un modello a traccianti passivi (OPA Tracer Model) accoppiato con un modello di flussi biogeochimici (BFM). Il lavoro `e presentato come 2 segue: il capitolo 1) presenta una panoramica delle problematiche e della fenomenologia dell’ecosistema del Mar Mediterraneo; il capitolo 2) presenta l’approccio modellistico applicato all’ecosistema; il capitolo 3) contiene dettagli riguardo al modello assemblato specificatamente per il Mar Mediterraneo; il capitolo 4) descrive l’applicazione operativa del modello e l’analisi dei risultati; il capitolo 5) presenta l’analisi dei risultati per l’applicazione pluri annuale; il capitolo 6) propone uno studio sull’equazioni che regolano la crescita del fitoplancton ed il processo di acclimatazione alla luce; il capitolo 7) conclude il lavoro con commenti finali e prospettive future. La scelta della definizione spaziale e la complessit`a dell’ecosistema simulato e il fatto che larga parte dei moduli del software non erano indirizzati ad architetture parallele ha richiesto un notevole lavoro di ottimizzazione del codice per effettuare le simulazioni in tempi ragionevoli. Ad oggi il modello richiede 48 ore di calcolo per un anno di simulazione sui sistemi ad alte prestazioni del cineca con 32 processori. Il paradigma offline adottato `e risultato essere la giusta soluzione per interfacciare il modello OPATM-BFM a differenti modelli di circolazione generale (OGCM) che presentano specifiche discretizzazioni spaziali. In particolare nell’applicazione operazionale il cuore del sistema OPATM-BFM `e inserito in una catena automatica ove il modello di circolazione generale (INGV MFS-SYS2b) si avvale di uno schema di assimilazione dei dati. E’ importante notare che il risultato di questa tesi rappresenta uno dei primi sistemi di previsione biogeochimica per il Mediterraneo in Europa. La validazione dei risultati del modello `e basata su una comparazione tra le rilevazioni satellitari di clorofilla e la clorofilla totale simulata dal modello per il periodo aprile 2007- novembre 2007. I risultati indicano che il modello `e capace di riprodurre il gradiente di clorofilla ovest/est ma, rispetto alla climatologia della clorofilla, si riscontra una sovrastima delle aree meridionali dei bacini ovest ed est, e una sottostima delle aree settentrionali in particolare nell’area di mixing profondo in corrispondenza del Golfo del Leone. La seconda applicazione del modello `e basata su forzanti a scala tempo pluriannuale. Anche in questo caso i risulati del modello sono comparati con i dati da satellite SeaWiFs: il ciclo stagionale della clorofilla `e ben riprodotto per l’area occidentale nel periodo invernale. Inoltre l’analisi della produzione primaria integrata verticalmente indica che il modello meglio riproduce le condizioni del bacino occidentale mentre il bacino orientale risulta meno oligotrofico di quanto sia noto. Una possibile spiegazione di questo aspetto pu`o essere legata alla sovrastima delle concentrazioni di fosfati negli strati intermedi (200- 600 m) della colonna d’acqua. Il 50% della produzione primaria simulata fluisce nel comparto batterico nella fascia superiore delle misurazioni riportate in precedenti lavori. Come nel caso della clorofillla il modello riproduce il ciclo stagionale della biomassa fitoplanctonica con un massimo durante il periodo invernale. I gruppi funzionali dominanti sono il picofitolancton e le diatomee che mostrano un andamento alterno: durante l’inverno presentano biomasse comparabili mentre in estate il modello prevede una predominanza del picofitoplancton. 3 La biomassa batterica `e dello stesso ordine di grandezza della biomassa fitoplanctonica come riportato in letteratura. Il modello descritto `e sviluppato nell’ambito dei progetti nazionali ed internazionali quali MERSEA IP, SESAME IP e VECTOR, inoltre alcuni progetti futuri si avvarranno del sistema OPATM-BFM. In particolare OPATM-BFM sia nella configurazione operazionale sia in quella pluriannuale `e stato scelto come applicazione pilota nell’ambito del progetto FP7 DORII partito nel febbraio 2008. In DORII, OPATM-BFM sar`a integrato con sistemi di misura in tempo reale (Slocum Glider) tramite una ICT (Information and Communication Technology), includendo anche schemi di assimilazione numerica. Nel progetto CLECOMED (Impatti dei cambiamenti CLimatici sull’ ECOsistema del Mar MEDiterraneo) basato sull’ attivit`a Cornerstone del CINECA, OPATM-BFM sar`a ulteriormente ottimizzato per fronteggiare l’elevata richiesta computazionale di simulazioni pluriannuali (SESAME e VECTOR) inoltre saranno individuate le strategie ottimali per analizzare l’ elevata quantit`a di dati prodotti dalle simulazioni.1319 2081 - PublicationInterazione tra acque marine e acque di falda nella Bassa Pianura Friulana(Università degli studi di Trieste, 2012-04-19)
;Zavagno, Enrico ;Zini, Luca ;Pezzetta, ElenaFontolan, GiorgioRiassunto: Nell’ambito del dottorato è stata esaminata l’interazione tra le acque marine e le acque di falda in un’area della Bassa Pianura Friulana che si colloca all’interno del Sito di Interesse Nazionale (SIN) della Laguna di Grado e Marano. Il SIN è stato oggetto di diversi studi da parte dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del Friuli Venezia Giulia (ARPA FVG). Per questo motivo è stata instaurata una collaborazione in particolare con il Settore Laboratorio Unico Regionale – Laboratorio di Udine, che negli anni si è occupato di definire e valutare l’influenza e gli effetti dell’interazione tra le acque lagunari e le falde sotterranee. Quanto elaborato conferma ed integra le teorie ed i risultati sviluppati da ARPA FVG e fornisce ulteriori dati e prove della presenza e degli effetti del cuneo salino. La ricerca ha permesso di approfondire le conoscenze relative all’interazione fra acque marine e acque di falda nella Bassa Pianura Friulana. Questo fenomeno si verifica laddove le acque saline del mare e della laguna risalgono i tratti terminali dei corsi d’acqua (ingressione marina) e, infiltrandosi all’interno dei depositi permeabili che ne costituiscono l’alveo, raggiungono le falde sottostanti determinandone la salinizzazione (intrusione salina). Tutti i corsi d‘acqua della Bassa Pianura Friulana sono soggetti ad ingressione marina, la cui intensità dipende dalle portate e dalla morfologia del loro alveo. Per questo si sono effettuati profili di conducibilità elettrica e temperatura all’interno di alcuni dei principali corsi d’acqua e dai dati ottenuti si è elaborata una mappa relativa alla massima ingressione marina. All’interno degli alvei dei Fiumi Aussa, Corno e Stella, inoltre, sono state installate delle stazioni di misura con sonde per il monitoraggio in continuo dei valori di conducibilità elettrica, temperatura ed oscillazione del livello piezometrico. La stazione di monitoraggio sul Fiume Corno (che ricade all’interno del SIN della Laguna di Grado e Marano), data la sua posizione strategica, è stata mantenuta attiva per un periodo di 7 mesi, permettendo di effettuare delle comparazioni dei parametri registrati in continuo con i dati di livello del mareografo di Marano Lagunare (Protezione Civile) e con quelli registrati all’interno di diversi piezometri. L’elaborazione informatica di nuovi dati stratigrafici raccolti per questa parte del SIN della Laguna di Grado e Marano si è concretizzata in un modello idrostratigrafico (dal piano campagna a 35 m di profondità), basato sul grado di permeabilità dei depositi che costituiscono l’area oggetto dello studio delle falde sotterranee. Dal modello sono state estratte diverse sezioni che hanno evidenziato la presenza di tre falde principali. La più superficiale, falda “0”, posta tra 0 e 5 m da p.c., è caratterizzata da una forte discontinuità laterale e da materiali a moderata permeabilità. La falda intermedia, falda “1”, è posta generalmente fra 8 e 20 m da p.c., è continua lateralmente ed è costituita prevalentemente da materiali permeabili. La falda più profonda, falda “2”, è posta fra 25 e 35 m da p.c., costituita da materiali permeabili, risulta discontinua alla scala considerata (questa falda non è stata oggetto di studio dal punto di vista geochimico). Diverse sezioni idrostratigrafiche trasversali al Fiume Corno hanno messo in evidenza che in alcuni tratti l’alveo del fiume poggia direttamente su materiali permeabili, che permettono la comunicazione tra le acque del fiume e le falde “0” e “1”, causandone la salinizzazione. Per determinare le caratteristiche geochimiche delle acque sotterranee nell’area di studio, sono stati monitorati, con diverse metodiche, 41 piezometri. Per ognuno di essi è stato effettuato almeno un profilo di conducibilità elettrica e temperatura per verificare le variazioni di questi due parametri con la profondità. Si sono quindi evidenziati i piezometri al cui interno sono presenti acque saline stratificate, significative della miscelazione delle acque di falda con quelle marine. Per mezzo di sonde multiparametriche sono stati monitorati in continuo 13 piezometri, di cui 2 con tratto filtrante in corrispondenza della falda “0” e i restanti 11 con tratto filtrante in corrispondenza della falda “1”. I valori dei livelli piezometrici hanno evidenziato oscillazioni con frequenze paragonabili a quelle delle maree e ampiezze attenuate in modo differente da piezometro a piezometro. Confrontando i dati ottenuti con quelli relativi alle misure in continuo effettuate all’interno del Fiume Corno, è stata verificata la presenza di una relazione, in 6 piezometri, tra il corso d’acqua superficiale e le due falde sottostanti, confermando quanto mostrato dalle sezioni idrostratigrafiche. Inoltre, i valori di conducibilità elettrica, ottenuti dalle misure in continuo, hanno confermato ancora una volta quanto già evidenziato dai profili verticali e cioè la presenza di acque di origine marina. A supporto delle misure in continuo e dei profili verticali di conducibilità elettrica e temperatura, sono stati effettuati numerosi campionamenti puntuali volti a caratterizzare dal punto di vista geochimico le acque sotterranee. Per quanto concerne la geochimica tradizionale sono stati prelevati campioni d’acqua per la determinazione di: pH, Eh, T, EC, O2, S2- e Fe tot. Questi parametri sono stati utili per definire alcune peculiarità delle falde monitorate. La determinazione delle concentrazioni di ferro totale disciolto, abbinato alle misure di EC effettuate in diverse condizioni di marea, si è dimostrata utile per definire un metodo di campionamento il più possibile idoneo, ripetibile e riproducibile in funzione delle specifiche problematiche presenti nell’area di studio. Il metodo infatti tiene in considerazione variabili di campo quali tempo, volumi e velocità di spurgo, posizione della pompa, diversi pretrattamenti del campione e variabili esterne come la marea, che possono modificare i valori dei principali parametri fisici e le concentrazioni degli ioni presenti nelle acque prelevate, così da ottenere un campione il più possibile rappresentativo della falda monitorata. Per 18 piezometri sono stati resi disponibili dal Laboratorio Unico Regionale - ARPA FVG i dati relativi ai principali componenti chimici, provenienti dalle campagne di monitoraggio degli anni compresi fra il 2006 e il 2011. Questi dati sono stati utili per determinare le facies chimiche a cui appartengono le acque presenti nella falda “0” e “1”. Attraverso l’elaborazione di diagrammi qualitativi si è potuta verificare la presenza di acque a facies bicarbonato calcica ad affinità magnesiaca, a facies cloruro alcalina e acque a composizione intermedia. Si è dunque avuta la conferma, anche dal punto di vista chimico, della presenza di acque dolci (facies bicarbonato calcica ad affinità magnesiaca) mescolate con diverse intensità ad acque di origine marine (facies cloruro alcalina). Risolutiva è infine stata la determinazione, per alcuni piezometri, dei valori di δ18O e δD. I valori dei rapporti isotopici di alcuni piezometri sono risultati maggiori rispetto ai valori isotopici medi delle piogge locali ad ulteriore conferma della presenza di miscelazione fra acque di falda e acque di origine marina. Inoltre, a seguito di campionamenti effettuati ad intervalli regolari durante lo spurgo di alcuni piezometri, si è osservato una decisa variazione dei rapporti isotopici nel tempo, evidentemente dovuta al richiamo di acque a composizione isotopica diversa da quella che caratterizza la falda all’inizio dell’emungimento. Si può quindi affermare con sicurezza che le acque saline del mare, attraverso la laguna, risalgono per ingressione marina il Fiume Corno per diversi chilometri e in corrispondenza dei depositi più permeabili che costituiscono l’alveo si infiltrano, mescolandosi con le acque dolci che caratterizzano la falda “0” e la falda “1” sottostanti. I risultati ottenuti confermano in modo inconfutabile alcune delle tesi già maturate ed affermate da ARPA FVG per il SIN di Grado e Marano (Lutman A. & Pezzetta E., 2007; Pezzetta E. & al., 2008; Pezzetta et al., 2011) La tesi in oggetto costituisce la chiave di volta per spiegare la presenza di squilibri nel chimismo delle acque sotterranee derivanti dalle naturali interazioni con la laguna ed il mare. Di conseguenza supporta e approfondisce le relazioni formulate dall’Agenzia sui valori di fondo nell’area del SIN e risulta di fondamentale importanza per lo sviluppo attuale e futuro dell’area industriale. Inoltre, in generale fornisce indicazioni utili e suggerimenti pratici in merito al corretto, efficace ed efficiente monitoraggio delle acque sotterranee in aree soggette al cuneo salino.2672 909 - PublicationInversion for slip on a finite fault and fast estimation of seismic parameters in the point source case(Università degli studi di Trieste, 2012-03-12)
;Gallo, AntonellaCosta, GiovanniABSTRACT One of the principal goals of seismology is to infer the nature of an earthquake source from observations of seismic ground motion. This work shall discuss the seismic source both in the 2D finite-fault and in the point-source approximation. By inverting 3-component accelerograms the rupture history and the slip distribution for the Mw 6.3 earthquake occurred in central Italy on April 6, 2009 are determined. The method of linear programming is used for the inversion and the simplex method is applied to solve the linear programming problem (Das and Kostrov, 1994). All known parameters, such as crustal structure and station distribution are kept fixed and a large-enough fault area is considered. Physical constraints such as the positivity of the slip rates on the fault and a pre-assigned seismic moment are used to stabilize the solution. Using synthetic data with a checkerboard slip distribution shows that the obtainable spatial resolution is around 2 km. Observed records acquired from local stations of the national strong-motion network are inverted. Only data from rock stations distributed uniformly around the fault at epicentral distances less than 80 km are used. The accelerograms are filtered at 1 Hz and about 15 seconds of the signals are modelled. The obtained slip distribution shows a single major asperity and is in agreement with other similar studies of the L’Aquila earthquake. The main event of L’Aquila is used to validate a stable and automatic procedure implemented by SeiSRaM group (Dep. of Mathematics and Geosciences, University of Trieste) for the SE Alps transfrontier network to estimate in real time the seismic moment, moment magnitude and corner frequency of events recorded by broad-band velocimeters and accelerometers. The procedure has two steps: the first one consists in an interface with the Antelope system (a software that manages the network) from which pre-processed waveforms are retrieved. The second step consists in estimating the seismic moment and the corner frequency by spectral analysis. The S-wave train is identified through an automatic picking procedure of Antelope software or, if that procedure fails, through the estimates arrival times based on the travel-time. The transversal component of motion is used to minimize conversion effects. The analyzed frequency window is selected on the basis of the signal-to-noise ratio (SNR). The source spectrum is obtained by correcting the signals for geometrical spreading and intrinsic attenuation. For the latter, different relationships are tested for frequency-dependent Q value in order to characterize the anelastic proprieties of the seismic region. Source spectra for both velocity and displacement are computed and, following Andrews (1986), the seismic moment and the corner frequency are estimated. The procedure is successfully validated using the recordings of some recent strong earthquakes like Carnia 2002 (Mw=4.9), Bovec 2004 (Mw =5.1), Parma 2008 (Mw =5.4) and Aquila 2009 (Mw =6.3) and the recording of some minor events in the SE Alps area for which independent seismic moment and Mw estimates are available. Since one year the procedure is applied to events recorded by the National Accelerometric Network (RAN). The agreement between moment magnitudes estimated by the SeiSRaM procedure and the INGV local magnitudes is very good.1091 545