L'invenzione di Cartesio. La disembodied mind negli studi contemporanei: eredità o mito?

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Nel Colloquio con Burman, Cartesio afferma la legittimità di separare essenza ed esistenza nel pensiero, in quanto possiamo concepire qualcosa senza la sua esistenza in atto (sine actuali existentia), “come una rosa in inverno”. Dalla possibilità di concepire la mens come distinta dal corpo, ut rosa in hieme, la filosofia della mente e la ricerca storico-filosofica contemporanea, a partire dal cognitivismo di tradizione anglo-americana, hanno sviluppato la tendenza ad attribuire a Cartesio l’invenzione storica di una mente autonoma dalla sua corporeità, i cui stati sono individuati unicamente dal loro disincarnato ruolo funzionale. Si è così andata diffondendo un’immagine dell’uomo cartesiano come intrinsecamente duplice ed eterogeneo, risultante da una mente, paragonabile a uno spirito angelico, congiunta alla macchina di un corpo animale. Di contro, un’opposta linea interpretativa rivendica un Cartesio critico del dualismo mente-corpo, sostenendo che l’unione delle due sostanze nell’uomo, la res cogitans e la res extensa, costitusce una vera unità psicofisica, date le profonde trasformazioni che essa comporta sia a livello psichico che fisiologico. A partire da questo dibattito, testi più o meno frequentati, anche delle stesse Meditazioni, vengono riesaminati per capire se l’invenzione di una ‘mente disincarnata’ sia effettivamente un lascito del pensiero cartesiano o, per contro, un mito storiografico. Ci siamo chiesti se il dualismo metafisico di sostanza pensante ed estesa sia effettivamente incompatibile con l’unità intrinseca dell’essere umano; se la mente sia direttamente accessibile a se stessa e caratterizzata da processi cognitivi indipendenti da immaginazione e sensibilità e solo accidentalmente connessa a cose al di fuori di essa, o se invece le sia connaturata la comprensione di contenuti empirici e particolari nella dimensione dell’universalità; e infine quale significato abbia, per l’interazione mente-corpo, il ricorso di Cartesio a modelli analogici, algebrici e fisici, sul filo della differenza, spesso ignorata, tra mens e res cogitans.

Cinzia Ferrini è ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste, dove attualmente insegna storia della filosofia moderna e contemporanea. Nel 2014 ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale a professore ordinario in Storia della filosofia. È autrice di ampi studi e contributi a opere collettanee sul pensiero classico tedesco, pubblicati in Italia e all’estero, con particolare attenzione a temi di filosofia della natura, alla logica, alla fenomenologia dello spirito, al rapporto della filosofia moderna con quella antica e con il dibattito contemporaneo su idealismo, realismo e pragmatismo. È curatrice di raccolte nazionali e internazionali di saggi sul pensiero kantiano. Tra le sue pubblicazioni: Guida al De orbitis planetarum di Hegel ed alle sue edizioni e traduzioni. La pars destruens (Haupt, Bern / Stuttgart / Wien, 1995); Dai primi hegeliani a Hegel: per una introduzione al sistema attraverso la storia delle interpretazioni (La Città del Sole, Napoli, 2003); C. Ferrini (a c. di), Eredità kantiane (1804-2004).Questioni emergenti e problemi irrisolti (Napoli, Bibliopolis, 2004 pp. 277-316) K.R. Westphal (ed.) The Blackwell Guide to Hegel’s Phenomenology of Spirit (Oxford, Wiley-Blackwell, 2009, pp. 72-135); M Egger (Hg.), Philosophie nach Kant. Neue Wege zum Verständnis von Kants Transzendental- und Moralphilosophie (Berlin & New York, De Gruyter, 2014, pp. 140‐188).

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