Scienze politiche e sociali
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- PublicationA comparative analysis of Sava, Tisza, Dniester transborder water river basin management agreement and cooperative policies and their impact on the enhancing of mutual understanding and the well being of people involved(Università degli studi di Trieste, 2011-04-29)
;Martignago, GabrieleMeyr, GeorgWater is a natural resource indispensable to life. Throughout history, water has mostly been viewed as a source of conflict, this bias often eclipsing its significant opportunity for cooperation potential. In the past two centuries, the growing pressure exerted on water resources by traditional and new water uses has increased dramatically; Today, IWRM is the modern water governance paradigm, the institutional mechanism parsing the concept of water between a “social and economic good” , which has has gained wide acceptance lately; new International Conventions have been adopted. This in turn has prompted a shift in axis of water governance: from a supply led to a demand driven approach. In EU, the enactment of Water Framework Directive (EU WFD) in 2000 represents a turnaround point in the governance of freshwater resources. All EU river basins must develop a River Basin Management Plan (RBMP) having as benchmark the “good status” of all water by 2015. During the RBMP’ s planning stage the river basin authorities must inform and consult the citizens and actively involved the stakeholder (Public Participation). Since the EU WFD represents one of the first examples of EU legislation which explicitly upheld the boundaries of a biophysical system over the political-administrative institutions governing them, the PhD dissertation attempts to find out if the ED WFD induce PP process can enhance the mutual understanding and wellbeing of basin riparian people living in and around the EU borders., To this end, it focuses on and compares the “Public Participation” process features of the water governance regimes of three transborder river basins - Sava, Tisza, and Dniester ,all located in and around one of more socioeconomic and political complex EU border. Being the first investigation that has attempted this kind of comparative analysis, the roof level’ findings concerning the three case studies and the rationale underpinning their interpretation may serve as a starting point for further research in this field.1560 1578 - PublicationAbitanti di uno spazio incerto. Pratiche e paradossi in una etnografia tra rifugiati, operatori e diritti sociali.(Università degli studi di Trieste, 2014-04-16)
;Signorini, Virginia ;Pocecco, AntonellaBoileau, Anna MariaQuesta indagine propone una lettura del sistema- rifugio italiano partendo dal paradosso della inclassificabilità del rifugiato, non più cittadino del proprio Paese di origine e non ancora cittadino del Paese di approdo, focalizzandosi su quello spazio liminale – a cavallo tra lo status di rifugiato e lo status di cittadino – in cui prendono vita le pratiche quotidiane tipiche del contesto del rifugio. Una componente del contesto italiano è la precarietà del confine tra protezione e abbandono che si rispecchia nella instabile possibilità di inserimento nei progetti nati per svolgere a vario titolo azioni di facilitazione nell'accesso ai diritti sociali dei rifugiati. Sono molti i rifugiati che nonostante l'esistenza di tali progetti si trovano in molti casi costretti a vivere in contesti marginali. Le categorie della cittadinanza e del rifugio non sono qui considerate come sole categorie giuridiche, ma come processi attraverso cui l'individuo si relaziona con il proprio sé e con i soggetti che incontra, e a seconda dell'ambito di potere in cui si trova. Tramite l'osservazione e la raccolta di testimonianze di chi quotidianamente si muove lungo la linea immaginaria che collega il mondo dei progetti a quello dei potenziali ospiti, questo lavoro di ricerca permette una rilettura del sistema rifugio ponendo in rilievo le sue contraddizioni nell'ambito delle relazioni tra la dimensione del terzo settore e delle istituzioni, tra le politiche e le pratiche afferenti a tali dimensioni e quotidianamente messe in atto nella relazione tra gli operatori e i rifugiati “dentro ai progetti” e nelle quotidianità al di “fuori dei progetti”. La lente attraverso cui si è scelto di procedere in questa osservazione, nella specifica esperienza della Toscana, è quella dei percorsi di accesso al diritto all'accoglienza e alla salute nel passaggio dalla loro titolarità alla effettiva esigibilità. Particolare attenzione è rivolta alle dinamiche che riguardano quelle persone rifugiate che appartengono alle cosiddette “categorie vulnerabili”. Il lavoro si interroga su quale sia e quale dovrebbe essere il ruolo dei progetti, e di chi vi opera all'interno, nell'accesso ai diritti dei rifugiati in generale e in particolare di quei rifugiati considerati in una condizione di prioritaria necessità di inserimento in percorsi di supporto nell'accesso ai propri diritti. In particolare, la ricerca viene a verificare se nel corso degli ultimi venti anni di esperienze nell'ambito del rifugio, in cui le “emergenze” si sono avvicendate all'ideazione di esperienze ad hoc e a momenti di riflessione sulle problematicità del processo, si sia effettivamente venuta a creare una “cultura del rifugio” a livello nazionale, che nella sua ipotetica coerenza interna risponda in maniera adeguata alle richieste del contesto1848 72864 - PublicationAfrican Caribbean Pacific and European Union Collaboration on Trans-border Policies(Università degli studi di Trieste, 2012-04-27)
;Gligor, Georgiana ;Boileau, Anna MariaPellizzoni, LuigiQuesta tesi presenta la collaborazione tra l’Unione Europea ed i paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) con particolare riferimento a Lesotho e Sudafrica. Si concentra soprattutto sull’impatto dell’Accordo di Cotonou sulle politiche locali di cooperazione tra i due paesi. La ricerca parte da due ipotesi: (1) La firma dell'accordo di partenariato di Cotonou, dal Lesotho e Sudafrica ha migliorato la cooperazione transfrontaliera tra i due paesi; (2) Lo sviluppo socio-economico e politico attuale è dovuto alla collaborazione tra l'Unione Europea ed i paesi ACP. Il lavoro si basa su un approccio empirico e l’analisi qualitativa e quantitativa dei dati e delle osservazioni raccolte in Lesotho. La ricerca sul campo è costituita da un periodo trascorso presso la delegazione dell’Unione Europea in Lesotho, durante il quale sono stati raccolti dati, interviste e rapporti ufficiali. Il primo capitolo presenta la storia della collaborazione tra l'UE e gli Stati ACP, partendo dalle convenzioni di Yaoundé e Lomé all'accordo di Cotonou. Nel secondo capitolo assieme ad una revisione della letteratura vengono descritti i paesi ACP ed i loro legami con l’Unione Europea. Con il terzo capitolo si passa alla ricerca sul campo, mostrando le differenze tra le varie normative e la situazione reale nei paesi selezionati. Vengono presentanti vari progetti e la loro evoluzione. I programmi transfrontalieri tra Lesotho e Sudafrica sono introdotti ed analizzati nel quarto capitolo assieme alla loro trasformazione nel tempo. L’ultimo capitolo sposta il focus sui progetti locali, i loro problemi e la loro possibile risoluzione futura. La tesi finisce con le conclusioni e le raccomandazioni per il futuro.1107 2407 - PublicationAlong the path of identity transformation of different Albanian communities from their original Balkan environment to their destination in Italy as migrants(Università degli studi di Trieste, 2011-04-29)
;Kovacevic, SvjetlanaBoileau, Anna MariaThe main aim of this research was to gain deeper knowledge about so-called “Albanian Question”. Through numerous interviews with members of Albanian, Kosovar and Macedonian/Albanian communities I tried to investigated the reasons and possible further developments of this phenomenon. I was also interested in showing the instable and ongoing nature of national identities.1162 1193 - PublicationAnalysis of the renewable energy sources perspectives in the state of Croatia(Università degli studi di Trieste, 2014-04-16)
;Licul, MauricioBoileau, Anna MariaThe whole Europe is dependent on the import of energy in various forms . Given that Europe has no longer its raw materials in large quantities and had to turn to new technologies in order to produce the required amount of energy needed. There is the similar situation also in Croatia , which has recently become a full member of the European Union . This paper attempts to critically analyze the current situation in the energy sector . The thesis is oriented on the identification of the problems , barriers and reasons regarding the usage of certain types of technology , and why the implementation of this technologies are not differently organized and developed in the Republic of Croatia. The thasis also analyzes the objectives of the energy development strategy , the legal framework of implementation of renewable energy sources , the problem faced by renewables in their implementation and other segments that are associated with sustainable energy ig general. In the thesis also some themes regarding subsidizing energy production are analysed , therefore the thesis also tried to evoke the auto balance between subsidizing conventional forms of energy production and minor state subsidies for new renewable forms of energy . After each chapter the conclusions are drawn from various sub-segments , Thru the questionnaire different direct opinion and conclusions from society was analysed considering those same energy topics. The survey was conducted on a total of 617 respondents from seven different cities on the Croatian territory . The idea was to compare the results obtained from the survey with logically conclusions and argumentation that emerged from the analysis of the documents and statistical data from the previous practice in the energy sector in Croatia . The paper accented suggestions and ideas for distributed implementations of the smale scale sources with most emphasis on the fotovoltaic tecnology . Proposal for smaller sources is justified and argumented in the thesis by technical and economic elements , and the thesis tried to explain and argument the viability of this proposal. In the circles that follow the development of the energy sector in Croatia , some facts about the barriers and possible improvements in the restructure of the renewable implementation plan is generally familiar. In this study it is mostly accented the fact that a small distributed renewable sources are ideal for the current energy situation in Croatia and therefore should be taken more into consideration for futher development of the renewable sector. Small sources are interesting for several reasons, among others , because they were easily accessible to ordinary households , and therefore it encourages employment at the local level . From a technical perspective , it is easiest to implement in existing power system and do not affect negatively the distribution network like large solution of from the renewable energy element portfolio. The paper discusses also the financing and promoting of renewable energy sources and on their promotion by the state . There are known conclusions and around predominantly already known general knowledge and practical problems around the implementation of certain renewable energy technologies and all these conclusions are compared with respondents' opinion on various issues . This work led to thinking that the problems regarding the implementation of renewable energy sources are present . For each of these problems are known causes and consequences , however the intention was to compare the perceptions and the actual amount of knowledge that society has on the actual elements and variables that actually affect the development of renewable energy sources in the Republic of Croatia . But also the intention was to see how certain social and economic elements affecting the same perception and how the respondents actually know the real energy picture in the state of Croatia .1044 1513 - PublicationL'APPAR(TEN)ENZA INGANNA. Le barriere mentali, i pregiudizi, lo sguardo verso l'altro. Un percorso sull'integrazione dalle basi teoriche ad un caso empirico.(Università degli studi di Trieste, 2012-04-27)
;Marchetti, Stefania ;Pocecco, AntonellaBoileau, Anna MariaNella sua essenza, l’uomo nasce migrante. Che ci si riferisca all'uomo in senso antropologico o in senso privato, ovvero come singolo individuo, una caratteristica fondante rimane sempre la sua mobilità. Anche il parto, in un certo senso, è una migrazione: dal ventre della madre si passa al ventre della terra. L'evoluzione antropologica dell'uomo, la sua storia in senso evoluzionista stretto, racconta che dall'Africa l'uomo si è spostato ed è migrato in tutti gli altri continenti. In qualunque modo lo si voglia declinare – mobilità, spostamento, migrazione, ecc. – il viaggio da sempre accompagna l'umanità. Perché allora le migrazioni costituiscono nella contemporaneità un costante punto di discussione nei diversi livelli della scala sociale (legislativo, politico, demografico, ecc)? Le strumentalizzazioni di migrazione e integrazione, infatti, sono una spia piuttosto evidente della generale confusione e dello scarso approfondimento delle tematiche; inoltre, i due fenomeni spesso sono utilizzati come capri espiatori per spiegare la crisi economica e la crescita della disoccupazione in Italia. Spesso si è confusi anche sulle terminologie usate: immigrato, emigrato, extra-comunitario, straniero... Sembrano termini intercambiabili, in realtà definiscono e rimandano a realtà differenti, ognuna con diverse e precise specificità, nonché con valenze semantiche differenti. Inoltre, la società italiana, terra per eccellenza di emigrati, sembra appunto essersi dimenticata di questo suo recente passato, avanzando modelli di società chiusa che stigmatizzano l'immigrato e creano un clima di tensione, disagio e incomprensione sociale. In tale contesto, entra in crisi anche il concetto di identità. Essa, infatti, appare sempre più come un bisogno, come l'esito di una ricerca, che l'immigrato (ma il discorso può essere esteso all'individuo in generale) compie all'interno e all'esterno di sé. É innegabile che ciascuno cerchi una propria dimensione dell'io, e questa risultante può derivare soltanto da una doppia ricerca del sé, che sia parallela, ma che si intersechi al fine di dimostrare la coerenza del percorso fatto. Ha ancora senso parlare di identità? Se la si considera in termini monolitici, ovvero come statica e immutabile, certamente il concetto sembra superato. La fluidità della società caratterizza anche la fluidità dell’identità: potenzialmente, si può scambiare tutto ciò che caratterizza l’identità, assumendo anche posizioni diametralmente opposte, e alle quali si arriva proprio con questo continuo scambio, con questa reciprocità di fondo che dovrebbe caratterizzare la società. Non solo si prova a mettersi nei panni dell'Altro, ma dall'Altro si trattiene ciò che si reputa opportuno “rilasciando” quanto non riesce a cambiare assieme alla società, che è in continuo divenire. Questa riflessione è alla base del nuovo concetto di identità osmotica. Essere pronti ad uno scambio con l’Altro, però, introduce necessariamente il concetto di tolleranza. Non sembra possibile affrontare il discorso dell'Alterità non portando all'attenzione questo tema. Da sempre, il confronto con chi è diverso ha fatto aprire il dibattito "Accetto o non accetto questa posizione/persona?", sia riferito al piano individuale, comunitario, sociale sia - nelle politiche - al piano istituzionale. Nel corso della storia, la tolleranza si è mossa di pari passo con l'evoluzione dell'umanità. Si sono alternati momenti di grande respiro e apertura a momenti bui di involuzione ed ostracismo, se non di ghettizzazione. Nella società moderna, però, anche questo termine è ormai superato: risulta più opportuno parlare di accettazione. Essa non può essere vista come un sinonimo di rassegnazione, ma esattamente l'opposto: l'accettazione è un modo positivo, attivo (è la tolleranza che è passiva!), e pragmatico di pensare e di agire, che - come l’etimologia suggerisce - cattura qualcosa dell’Altro e lo interiorizza, lo fa proprio, in uno spirito di condivisione e di costruzione di nuove esperienze, atteggiamenti e comportamenti. Questi prodromi portano al vero tema oggetto della presente ricerca: l’integrazione. Il termine, spesso abusato, non ha un’attuazione semplice: Cosa significa essere davvero parte integrante di una società? Spesso si confonde l’integrazione con l’empatia, ma ancor più frequentemente, si associa l’integrazione all’occupazione del migrante. Il lavoro, alla base del progetto migratorio, diviene l’unico metro su cui misurare quanto la persona si senta integrata. Si deve procedere dando una definizione operativa del termine “integrazione”. Si giunge ad essere integrati attraverso vari stadi che riguardano altrettante aree (occupazionale, sociale, educativa, ecc.). Non si può pensare di risolvere i problemi con la sola promulgazione di una legge, perché in questo modo si crea un divario sempre più grande tra Paesi paralleli: quello reale (sociale) e quello legale. Queste due direzioni devono lavorare insieme: se le leggi esprimono la volontà dello Stato in riferimento ad una materia specifica (in questo caso, l'immigrazione e l’integrazione), dall’altro lato la controparte sociale deve guadagnare un atteggiamento che dimostri lo sforzo di costruire una società integrata. Proprio seguendo questo framework teorico si è pensato ad progetto di integrazione nel settore sociale. Dopo una prima fase, in cui il migrante è, di solito, un giovane adulto maschio in cerca di occupazione, cambia il profilo del gruppo migrante: non ci sono solo uomini giovani, ma aumenta il numero di donne e bambini al loro seguito (spesso riunitisi grazie al ricongiungimento familiare), ed è proprio in questa nuova composizione migratoria che cresce il numero di richieste dei servizi. Queste considerazioni preliminari hanno trovato un’applicazione pratica quando la Provincia di Udine ha promosso il bando per il finanziamento di azioni afferenti ai servizi territoriali e sociali a favore della popolazione straniera immigrata per l’anno 2009. Le disposizioni del bando in oggetto prevedevano tre linee di intervento, una a favore dell’integrazione lavorativa, una a favore dell’integrazione sociale e una a favore della promozione della convivenza interculturale. Una volta stabilito che il settore di integrazione che si intendeva definire come area di intervento era quello afferente alla sfera socio-sanitaria, si è reputato che il modo migliore per poter promuovere l’integrazione potesse essere quello di istituire uno sportello che fosse competente in problemi o bisogni legati a tale sfera. L’obiettivo del progetto era, come già detto, quello di promuovere l’integrazione socio-sanitaria tra gli immigrati stranieri al fine di renderli parte integrata ed integrante del territorio. Un cittadino consapevole – e quindi autonomo, autosufficiente nell’individuazione delle risposte ai propri bisogni – è un cittadino emancipato, e pertanto integrato nel territorio. La prima fase progettuale di è svolta da gennaio a giugno 2010, ed ha coinvolto il Comune di Gemona del Friuli quale ente capofila e l’Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 “Alto Friuli” in qualità di partner. Nella pratica, il progetto ha previsto l’apertura di uno sportello informativo socio-sanitaria con sede, appunto, a Gemona del Friuli. La seconda fase del progetto, invece, ha coinvolto l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere (Anolf) dell’Alto Friuli, prevedendo sempre uno sportello informativo con sede a Gemona del Friuli ma con competenze più ampie, non solo legate all’area socio-sanitaria, come era emerso dalla valutazione ex post del primo progetto. Il bacino di riferimento, in questa fase, cambiava notevolmente: da una giurisdizione comunale si passava al Comprensorio Cisl “Alto Friuli”, comprendente ben 63 comuni. L’attività, anche in questo caso, ha coperto un arco temporale di sei mesi (gennaio-giugno 2011). Sia nel primo progetto che nel secondo, sono prevalentemente le donne quelle che si sono dimostrate più”attive” ed interessate all’iniziativa, ma si deve comunque segnalare una problematica relativa al territorio: riuscire ad intercettare gli immigrati. Per la stessa conformazione fisica (orografica) del territorio, oltre ai quattro nuclei principali del Comprensorio (Gemona del Friuli, San Daniele Del Friuli, Tarcento e Tolmezzo) il rimanente territorio è frammentato in piccoli comuni, di pochi abitanti e con bassa percentuale di immigrati, in territori prevalentemente di montagna. Ciononostante, un cenno allla provenienza degli utenti va fatto. Se nel primo progetto il contesto comunale è stato determinante, nel senso che praticamente la totalità degli immigrati aveva la residenza nel comune di Gemona del Friuli, nel secondo caso, invece, calano proprio i residenti gemonesi e aumentano gli extra-comunali, segno anche di una certa conoscibilità del progetto. L’integrazione appare, in ogni caso, ancora piuttosto difficoltosa per il territorio preso in esame: essa è ancora correlata soltanto al lavoro, e non si riesce ad individuare lo strumento migliore per poter proseguire l’azione integrativa sugli altri fronti, ed è proprio in questa direzione che si muove la nuova attività di ricerca. Mentre continua l’attività dello sportello Anolf (gennaio-giugno 2012), si stanno valutando altre strade ed altre politiche per l’immigrato da attuare, al fine di promuovere la conoscenza, il rispetto, l’accettazione dell’Altro che, magari, riuscirà a trasformare questo territorio, denominato “Alto Friuli”, nell’“Altro Friuli”.2153 2360 - PublicationL'attore fuori scena. Complessità e contraddizioni delle organizzazioni per le persone senza dimora(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Bianchi, Luca ;Di Nicola, PaolaLazzari, FrancescoL'attore fuori scena. Complessità e contraddizioni delle organizzazioni per le persone senza dimora è un lavoro di ricerca che si inserisce nel più ampio contesto dell'indagine nazionale sul mondo della grave emarginazione adulta in Italia, con particolare riferimento alle persone senza dimora, condotta dalla fio.PSD ‒ Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora ‒ dall'Istat ‒ Istituto nazionale di statistica ‒ da Caritas Italiana e dal Ministero del lavoro. Nello specifico, la ricerca si pone l'obiettivo conoscitivo di individuare dinamiche e processi caratteristici delle organizzazioni che si occupano di rispondere ai bisogni delle persone senza dimora, costruendo una tipologia delle stesse attraverso l'analisi dei dati provenienti dall'indagine nazionale. La condizione della persona senza dimora va inserita nel quadro più ampio del fenomeno della marginalità sociale. In una contemporaneità in cui gli status individuali sembrano configurarsi più per processi di connessione che di stratificazione all'interno dei sistemi sociali, la condizione di marginalità viene ad assumere il senso di un'esperienza radicale capace di espellere dalla società gli attori coinvolti. Un margine che non rimanda più a un'idea di perifericità, ma tende a scomparire dagli orizzonti cognitivi delle nostre società, dissolvendo sempre più i vincoli e le opportunità dell'appartenenza ai sistemi sociali. Emblematica, quindi, diviene la figura della persona senza dimora. Le sue traiettorie esistenziali rappresentano l'ultima frontiera di quei processi di désaffiliation individuati da Robert Castel, che attraverso la proposizione dello schema binario «inclusi versus esclusi» tendono a definire due universi non comunicanti fra di loro. In tale contesto, le dinamiche riguardanti la homelessness si delineano per alcuni tratti caratteristici che consentono di definire come emergente, e multidimensionale, il fenomeno in questione. Il primo, rimanda alla crisi relazionale vissuta da colui che si trova a vivere per strada. Una crisi relazionale che corre sul doppio binario dello scollamento dai mondi vitali e dalle strutture sociali di riferimento. Il secondo tratto riguarda la progressiva contrazione del novero dei bisogni esprimibili, che restano legati alla mera funzione di sopravvivenza . Relazione e bisogno, dunque, che risultano essere i nodi cruciali caratterizzanti la homelessness. Da Simmel a Donati, la relazione sociale è sempre stata un luogo significativo della scienza sociologica, sia che venisse intesa in maniera strumentale rispetto all'analisi di altri fenomeni sociali sia che divenisse essa stessa oggetto di indagine. Cercando di comprendere la condizione del clochard, risulta difficile eludere come proprio la crisi delle relazioni influenzi tutte le dimensioni che vedono coinvolta la persona, e come tali dimensioni interagiscano nei processi di marginalizzazione. Una considerazione che qualifica la homelessness come fenomeno complesso e multidimensionale, frutto di una rete di esperienze e di attori che investono più sfere del disagio sociale e sanitario. A risentire di questa complessità, in primis, pare essere la configurazione della struttura dei bisogni della persona. Uno degli elementi peculiari della homelessness, infatti, è la riduzione dei bisogni esprimibili. Una peculiarità che emerge soprattutto nel rapporto fra espressione e soddisfazione dei bisogni stessi, il cui esito sembra in grado di influenzare tanto la formazione dell'individuo quanto l'agire delle organizzazioni che a quei bisogni tentano quotidianamente di dare risposte. Se sotto il profilo teorico rivolgersi al concetto di bisogno agevola la comprensione della profonda crisi relazionale vissuta da chi ha perso tutto, sul versante empirico tale concetto diviene una proprietà per individuare le strategie organizzative adottate dalle realtà oggetto della ricerca. Rispetto a tale oggetto, in via preliminare, è possibile constatare come le organizzazioni che lavorano con le persone senza dimora siano spesso poco visibili e frammentate sul territorio, contraddistinguendosi per lʼeterogeneità dei servizi erogati e lʼelevato tasso di informalità. A questo riguardo, il pensiero organizzativo offre alcuni strumenti concettuali in grado di specificare meglio le caratteristiche preliminarmente individuate. Ogni fenomeno organizzativo può venir studiato attraverso due livelli interpretativi: il primo riferibile alla struttura di una specifica realtà, il secondo concernente le strategie utilizzate dalle organizzazioni per perseguire i propri fini e autoriprodursi nel corso del tempo. Alla luce di tali livelli interpretativi è possibile evidenziare due aspetti significativi delle realtà protagoniste della ricerca, l'eterogeneità degli attori organizzativi e l'incertezza nei processi decisionali rispetto all'ambiente esterno. Ciò che emerge è come le realtà che si occupano di rispondere ai bisogni degli attori marginali, da un lato, si frammentino in varie forme organizzative contraddistinte da un'accentuata diversificazione in termini di mission, risorse e prassi operative, dall'altro, risentano dell'incertezza causata dalle peculiari forme dei bisogni inerenti la homelessness. La parte empirica del lavoro di tesi ha utilizzato come base dati una serie di informazioni riguardanti 727 organizzazioni operanti sul territorio nazionale. L'anno di riferimento è il 2010, l'ambito territoriale l'Italia. Inizialmente si sono analizzate una serie di distribuzioni di frequenza e di tabelle di contingenza . Lo scopo di questo passaggio preliminare è stato quello di formarsi una «prima idea» sulle caratteristiche del campione. Inoltre, l'analisi effettuata ha permesso di individuare le proprietà maggiormente utili per la costruzione di una tipologia delle organizzazione in questione. In base alla selezione di alcuni aspetti rilevanti, le operazioni di classificazione di questo tipo tendono a «massimizzare la somiglianza (negli stati su una serie di proprietà considerate) fra membri dello stesso sottoinsieme e la dissomiglianza fra membri di sottoinsiemi diversi» . Rispetto alla tipologia dei casi presenti nel campione a disposizione, gli aspetti rilevanti individuati riguardano la soddisfazione dei bisogni della persona senza dimora e la produzione di strategie organizzative relative ai bisogni stessi. Specificate le dimensioni maggiormente significative, e le proprietà in grado di rappresentarle, si è proceduto applicando alle variabili selezionate alcune tecniche di analisi multivariata. La prima tecnica utilizzata è stata l'analisi delle corrispondenze multiple (acm). L'utilizzo dell'acm è servito a costruire degli indici che consentissero di ridurre il numero delle variabili su cui si è lavorato e di sintetizzare in maniera efficacie le informazioni riguardanti gli aspetti individuati. Attraverso gli indici così ottenuti, divenuti a loro volta variabili, si è proceduto a svolgere una cluster analysis per costruire una tipologia delle organizzazioni che compongono il campione analizzato. Combinando le due tecniche di analisi multivariata è stato così possibile ottenere «una doppia sintesi della matrice dei dati», attraverso una riduzione delle variabili e dei casi che ha permesso di raggiungere la massima economia di rappresentazione dei risultati della ricerca, vale a dire la costruzione di una tipologia, i cui fattori discriminanti appaiono essere la capacità di instaurare partnership sociali e i livelli di strutturazione delle organizzazioni.1029 2521 - PublicationBenedetto Croce e Raymond Aron: due liberalismi a confronto.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-18)
;Freschi, SimonettaManganaro, ErmenegildaÈ possibile mettere a confronto il pensiero politico di Benedetto Croce rispetto a quello di Raymond Aron, due intellettuali dichiaratamente liberali ma agli antipodi per metodo e contenuti del loro liberalismo? La filosofia idealista alla base della “religione della libertà” di Croce sembra infatti porsi in modo assolutamente antitetico rispetto alle indagini sociologiche condotte dal politologo Aron e il contrasto appare in tutta la sua evidenza allorché si pensi alla crociana condanna della sociologia come “pseudoconoscenza”. Eppure sia Croce che Aron hanno inteso il loro impegno intellettuale come un dovere che investe la responsabilità dell’uomo di cultura nella denuncia e nella lotta contro qualsiasi forma di totalitarismo e di falsificazione storica, tanto è vero che nel 1950 a Berlino partecipano tutti e due alla creazione del “Congress for cultural freedom” per mobilitare gli intellettuali di tutto il mondo nella promozione attiva della libertà contro i regimi autocratici. Entrambi si sono inoltre confrontati con gli stessi temi a partire dallo storicismo tedesco, che li ha culturalmente formati, per poi cimentarsi con il marxismo e con il realismo politico, giungendo a conclusioni sostanzialmente concordi. Dove nascono allora le ragioni di una tale divergenza, tenuto pure conto che sono ambedue dei liberali “a-tipici” rispetto alla concezione classica di stampo anglosassone? E’ questo il problema che mi sono proposta di affrontare, convinta che si dovesse andare oltre la semplice evidenza della contrapposizione ma soprattutto che fosse necessario trascendere l’esclusiva dimensione storica nazionale nella quale sono stati sino ad ora considerati, giacché il contesto a cui fare riferimento non poteva essere che quello più vasto della cultura europea, a cui essi avevano attinto e alla quale andavano ricondotti per essere compresi. Ciò che ho ritenuto interessante è che solo all’interno di questa prospettiva più ampia potevano emergere i punti di svolta, i luoghi critici che li hanno portati ad interpretare gli stessi “input filosofici” in modo differente e originale, a declinare cioè la comune matrice della loro formazione filosofica secondo percorsi critici tanto diversi. Attraverso tale ottica, infatti, lungi dal giudicarli “imparagonabili”, è possibile rintracciare alcune linee di riflessione comuni e soprattutto delle finalità condivise. Il lavoro è stato articolato in tre parti fondamentali: nella prima ho cercato di comprendere per quali ragioni e per quali vie lo studio dello storicismo tedesco e il rigetto del positivismo abbiano da un lato condotto Croce ad elaborare un sistema filosofico idealista di matrice hegeliana mentre dall’altro il medesimo confronto con lo storicismo tedesco, ma soprattutto con Dilthey, abbia portato Aron ad interrogarsi sulla storia e sulle condizioni della conoscenza storica con un approccio di stampo criticista. Lo snodo è qui rappresentato dal problematico rapporto uomo-storia che viene sussunto in termini filosofici diversi nella rispettiva riflessione. Nella seconda parte ho invece affrontato il tema del confronto che sia Croce che Aron hanno sostenuto con pensatori come Marx e Machiavelli; ho cercato di evidenziare come il tentativo di comprendere la realtà e la scelta di prendere posizione rispetto ad essa dipenda dal loro modo di confrontarsi con la dottrina marxista e il realismo politico. Soprattutto ho segnalato come la loro condivisa critica della teoria economica marxista abbia alla base delle argomentazioni teoriche fondamentalmente dissimili dato che il rigetto di Croce è motivato dalla sua concezione dell’economia e della sociologia fondata sulla sua teoria dei distinti, mentre Aron fonda la sua condanna proprio su un’analisi sociologica e comparativa del modello capitalista rispetto a quello comunista. Lo snodo è costituito in questo caso dalla comune confutazione della filosofia della storia e del determinismo storico insiti nel marxismo in rapporto a motivazioni sostanzialmente differenti. Nella terza parte ho affrontato il modo in cui Croce e Aron delineano il concetto di libertà alla luce delle precedenti riflessioni sulla storia e sulla base del loro realismo politico, sottolineando come entrambi rifiutino di elaborare un’idea fissa e dogmatica della libertà e la considerino come parte essenziale dell’animo umano. Tuttavia mentre Croce teorizza una concezione essenzialmente morale pensandola come il supremo ideale morale che si deve realizzare nella storia, in Aron questa dimensione eminentemente etica sembra invece assente, giacché gli preme sottolineare la molteplicità delle libertà possibili, la loro contingenza e la difesa del valore delle libertà politiche. Ciò che tuttavia accomuna le loro diverse prospettive sulla libertà sta nel fatto che essi non hanno elaborato alcuna teoria politica circa i limiti dello stato ed il loro liberalismo non si è costruito in maniera sistematica attorno ad un nucleo teorico definito ma si è piuttosto delineato in opposizione ai totalitarismi del XX secolo e per contrastare i dogmatismi marxisti ma anche quelli liberali. Significativa in questo senso la loro attenzione al sociale che li differenzia da un liberalismo meramente conservatore. Il liberalismo di Croce si confronta con le politiche economiche e sociali di stampo socialista mentre in Aron si registra un’apertura verso il Welfare State. Lo snodo è dato questa volta dalla presenza di una comune sensibilità verso le problematiche sociali, sulla quale ancora oggi si riscontrano valutazioni discordanti della critica in relazione ad entrambi gli autori. Tale presenza segnala invece, a mio avviso, la valenza contemporanea e l’attualità della loro riflessione che si mostra in grado di non lasciarsi imbrigliare in prospettive interpretative ideologiche ma resta, anche in Croce come in Aron, una prospettiva aperta. Si tratta di linguaggi filosofici senza dubbio diversi ma quello che è emerso dalla mia analisi è che essi, al di là delle mere apparenze, conducono sostanzialmente ad un’autentica presa di posizione liberale per così dire “nell’animo e nella condotta”. A differenza delle molte analisi sul liberalismo recentemente emerse che evidenziano sovente la pluralità di significati ad esso attribuibili, la riflessione sul pensiero liberale di Croce e di Aron, condotta sulla base di un confronto in parallelo, mi sembra rivelare come nonostante i metodi ed i contenuti diversi si possano nutrire eguali convinzioni e finalità. Procedere in questa direzione “trascendendo il contesto”, potrebbe rivelare insospettate convergenze e permettere di ricostruire un tessuto culturale autenticamente europeo partendo da una nuova prospettiva, originale rispetto all’analisi solitamente ristretta all’orizzonte della mera individualità storica.1370 12638 - PublicationBosnia ed Erzegovina sulla strada di uno stato moderno: Relazione tra disintegrazione nazionale ed integrazione internazionale(Università degli studi di Trieste, 2014-04-16)
;Džinić, EdinaCocco, EmilioFirst and second chapter deals with classical problems in terms of state, nation, people, minority, society. BiH was dealing with frequent change of state polity and therefore fallowing influence to the social and cultural change of its people. At the end the individual and collective identity modifications created distinct value disagreements. BiH society is confronting dichotomy in its ethnic affiliations regarding the concept of “multiculturalism” among the Bosniaks’ majority and other two constitutive people Serbs and Croats in terms of three B, believing/belonging/becoming. One will say that ethnicity is a changeable socially constructed concept like e.g. the class, race, etc. another will accentuate the natural constant of ethnic solidarity and the third will emphasize the long-term effects of institutional and cultural environment of ethnic relations. The theoretical framework in the context of ethnographic data is necessary to reach a social and cultural maturity. BiH was experiencing the process of territorial and constitutional transformation after the dissolution of common state of Yugoslavia. Constitutional order of 1995 created complex decision making system and complex state structure blocking the state functions and creating the frequent political, economic and social crises. As a part of international peace agreement the forcible Constitution created unequal standing for three constitutive peoples, the “Others” and citizens of BiH. In its end line it froze the war territorial division. The term “constitutive” people were taken from the last Yugoslav constitution where the state sovereignty was diffused between different holders: the peoples and republics and at the end conditioned by consensus. The reinforced EU presence is a crossforce in supporting the domestic stakeholders and BiH citizens in the EU integration process as well in sooner closure of the OHR and transfer of competencies to the state of BiH and to the other domestic stakeholders. The initiation of “late” approval of crucial laws of BiH e.g. the Law on citizenship, the Law on residence and the Law on Personal identification number happened under the pressure of civil society with “baby revolution”. In the last chapter the accent is on good practice examples of Crossborder Cooperation Program Croatia/BiH 2007-2013 aiming the better quality of life of people in the border region of Una-Sana Canton. An opportunity is entrance of Croatia to EU considering that now 2/3 of the internationally recognized BiH’s border is external border of EU now. The European Aid funds are welcomed in this area, although the consumption of funds could be better. Here is to point out a field work in a multicultural environment of the municipality of Bosanski Petrovac where peace agreement of 1995 established an internal administrative boundary line making two municipalities Bosanki Petrovac and Petrovac.1029 1277 - PublicationBridging the european borders: the impact of multimedia communication on the perception of the effects of EU policies by the citizens in the enlargment process(Università degli studi di Trieste, 2013-04-19)
;Babic, DinoGasparini, AlbertoThe aim of this research is to explore, through a multidisciplinary approach, the perception of the effects of European Union polices by the citizens during the on-going enlargement process, in order to collect useful information for the creation of a multimedia environment dedicated to the development of European projects, improving the quality of life of a wide community. The hypothesis of this research is that a virtual environment based on multimedia communication and networking can positively impact on the perception of the effects of European policies by the citizens of countries involved in the enlargement process. To validate this hypothesis the explorative part of the research was conduced through the daily work in the Department for International Cooperation and European Integration and European Integration of the Region of Istria (Croatia), while the applied action research and the experimentation was realized in the frame of the European Projects Association (Belgium).1000 1716 - PublicationIl Capitale Sociale in Albania (Il caso di Tirana)(Università degli studi di Trieste, 2013-04-19)
;Cali, BlendiGasparini, AlbertoSocial Capital is one of the most attractive and disputed concept of the last two decades. The role it plays in economic development of regions and growing of its influence in the accountability of politics toward its citizens is the motive of this research. The main purpose of this study is to measure the level of social capital, focusing the attention in Tirana the capital of Albania. An overview of the role of social capital in the economy and the influence played by central government and local governance for its creation is given. To measure social capital is used the data set of Living Standard Measurement Survey 2008 of the Albanian National Institute of Statistics. From which were taken two variable one for participation in the networks of civic engagement and the other on trust only for Tirana. From the data analysis it results that in Tirana exists a low level of participation in networks of civic engagement and also a low level of trust. From the analysis made to understand the influence of participation in the networks of civic engagement the trust level referring to Robert Putman’s theory results a negative correlation between the two variables. The empirical findings appear to the conclusion that social capital in Tirana is low, and we must make efforts to build it in order to get the positive outcomes it has.1077 1815 - PublicationLa "città proibita": il porto vecchio e i nuovi confini. Quale futuro per Trieste?(Università degli studi di Trieste, 2013-04-19)
;Rovati, MassimilianoGasparini, AlbertoLa questione inerente il progetto di recupero del Porto Vecchio di Trieste, uno dei siti di maggior pregio storico-architettonico della zona costiera italiana, da almeno 30 anni rappresenta la cartina di tornasole dello stato della città intera, sotto il profilo politico, sociale ed economico. Trieste, da sempre una città considerata laboratorio etnico, politico e sociale dagli osservatori qualificati, in realtà racchiude in sé due anime contrapposte che si confrontano: una aperta e cosmopolita, l’altra misantropa ed impaurita, amante di muri e confini. Oggi più che mai questo duello risulta esiziale per le prospettive future di una città ubicata nel cuore dell’Europa del terzo millennio, in costante calo demografico, con l’età media degli abitanti in continua crescita, in preda ad una sorta di lenta ma inesorabile decadenza. L’occasione di analizzare il progetto di recupero del Porto Vecchio assume rilevanza anche sotto il profilo psicologico e sociale, in una vicenda che continua a sortire i suoi effetti più deleteri, dove i confini politici e geografici sono stati sostituiti da quelli mentali, invisibili, ma fortemente presenti negli abitanti di questa città. All’interno di questa danza macabra giocata sulle spoglie di quella che viene definita “città proibita”, si muovono i protagonisti istituzionali, politici ed amministrativi, ma anche e soprattutto i cittadini, i quali vengono interpellati attraverso un sondaggio che in 5 sezioni riassume i concetti ritenuti principali ai fini della ricerca: il rapporto con la città di Trieste, l’atteggiamento nei confronti dei politici e degli amministratori, la presenza del Punto Franco, l’opinione sul progetto di recupero e sulla destinazione del Porto Vecchio, l’influenza dei media e del web. La visione dicotomica di una città dalle due anime contrapposte, trova conferma anche nelle diverse interviste realizzate con gli attori e i testimoni qualificati. Il quadro complessivo che si ricava attraverso l’analisi dei risultati, è utile a confermare le ipotesi di partenza, ossia l’importanza del sito in questione e la sua rappresentatività in chiave politica, economica e sociale, per quello che sarà il futuro di Trieste, in un processo in continuo divenire nel quale le geometrie variabili e la trasversalità degli schieramenti, uniti alla non soluzione dei problemi strutturali, sembrano mantenere sospesa la collocazione temporale della città e a rimandare, in maniera quasi compiaciuta, qualsiasi decisione.1304 3674 - PublicationLa coesione sociale intraetnica all'interno dei gruppi migranti kosovari a Trieste e bangladesi a Monfalcone(Università degli studi di Trieste, 2009-04-17)
;Zerbinato, Martina ;Gasparini, AlbertoOsti, GiorgioLa presente ricerca ha come obiettivo quello di valutare la possibile correlazione esistente fra il fenomeno della migrazione internazionale e quello delle politiche migratorie messe in atto dallo Stato ricevente. Partendo dall’analisi delle possibili cause che spingono il soggetto a migrare, nonchè dai possibili effetti che detto movimento è in grado di comportare sia nei confronti dello Stato di partenza che in quello di destinazione, veniva focalizzata l’attenzione soprattutto sul fenomeno delle reti migratorie e sulle politiche migratorie realizzate dall’Italia dal secondo dopo guerra, distinguendo a seconda delle stesse i diversi effetti da queste realizzate sul migrante, specialmente di quello richiedente la protezione internazionale. Al fine dell’analisi, veniva preso come campione il gruppo migrante provenienete dal Kosovo presente a Trieste, per le diverse cause presenti, che hanno sospinto e sospingono detta immigrazione sia per motivi di protezione internazionale che per motivi economici. Il tutto al fine di valutare quale tipo di capitale sociale le reti costruite fra i migranti siano in grado di realizzare, nonchè per comprendere se gli effetti da queste prodotte possano o meno dirsi sempre positivi per il soggetto immigrato. Risultando dall’analisi la presenza anche di alcuni effetti negativi, questi veniva messi in relazione con le diverse politiche migratorie realizzate nel corso degli anni dall’Italia, al fine di verificarne una possibile correlazione, poi riscontrata.1346 2313 - PublicationLa competizione geopolitica in Asia centrale: l'Unione Europea e le sue potenziali ambizioni strategiche(Università degli studi di Trieste, 2009-03-03)
;Indeo, FabioPagnini, Maria PaolaLa presente tesi di dottorato riflette l’esigenza di approfondire l’analisi della situazione geopolitica che caratterizza l’Asia centrale, in considerazione della rilevanza strategica che questa regione ha progressivamente assunto nello scacchiere delle relazioni internazionali. Infatti, dal raggiungimento dell’indipendenza nazionale nel 1991 la regione centroasiatica ha attirato gli interessi di molteplici stati all’interno di una competizione geopolitica che è stata definita con eccessiva enfasi come una riproposizione in chiave moderna del “Grande Gioco” del XIX secolo: ciononostante, l’importanza strategica dell’Asia centrale – alla quale contribuisce in larga parte la sua posizione geografica di centralità e di vicinanza alle due superpotenze regionali Cina e Russia – viene evidenziata in relazione a determinate problematiche, le cui ripercussioni producono effetti oltre i confini regionali. Tra queste, il problema della sicurezza e della stabilità politica - alimentato dalla minaccia destabilizzante dell’islamismo radicale e del terrorismo internazionale – le cui ripercussioni si riflettono sia sul piano internazionale che su quello interno alle singole repubbliche. Tuttavia, gli interessi prioritari degli stati interessati ad accrescere la loro influenza in Asia centrale si focalizzano sulle risorse energetiche e sulle potenzialmente vaste riserve di idrocarburi da sfruttare: la questione della sicurezza energetica e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento sono progressivamente divenuti obiettivi strategici nelle politiche degli stati, la cui importanza cresce parallelamente all’aumento della domanda di gas e petrolio per sostenere lo sviluppo delle loro economie nazionali. Le prospettive di sfruttamento delle immense riserve in gas e petrolio presenti nel sottosuolo di Turkmenistan e Kazakistan (e, in misura inferiore, Uzbekistan) e la possibilità di trasportare gli idrocarburi attraverso la creazione di un sistema di pipelines (gasdotti ed oleodotti) alternative a quelle che attraversano il territorio russo, hanno innescato un intensa competizione che ha coinvolto numerosi attori statali regionali ed internazionali, ciascuno dei quali portatore di interessi e strategie divergenti, le repubbliche centroasiatiche – che perseguivano i propri obiettivi e strategie in politica estera – e attori non statali come le compagnie energetiche internazionali, le cui finalità prettamente economico-commerciali erano spesso in contrasto con gli interessi politici espressi dagli stati di riferimento. Questa ricerca intende porre in evidenza gli interessi politico-economico-energetici che hanno determinato il coinvolgimento di Russia, Cina, Unione Europea e Stati Uniti nello scacchiere geopolitico centroasiatico, e quali strategie e politiche abbiano adottato le repubbliche centroasiatiche al fine di bilanciare questa influenza esterna con gli obiettivi connessi alle loro scelte politiche ed economiche nazionali. In questo scenario, risulta importante analizzare in prospettiva futura il ruolo che l’Unione Europea potrà rivestire nei prossimi anni nella regione, a seguito dell’adozione della “Strategia europea per una nuova partnership con l’Asia centrale” relativamente al periodo 2007-2013. Il problema della sicurezza energetica europea e della diversificazione degli approvvigionamenti (per attenuare la dipendenza dalla Russia) renderanno necessario un maggior coinvolgimento dell’Unione Europea in Asia centrale, per assicurarsi una crescente influenza e un maggiore peso politico: il successo di questa strategia dipenderà dalla capacità europea di adottare una politica centroasiatica comune e condivisa, in un contesto attualmente caratterizzato dalla posizione di predominio economico e politico assunta da Cina e Russia e dalla connotazione fortemente autoritaria che accomuna i governanti centroasiatici. Nel primo capitolo viene trattato il tema della riconfigurazione geopolitica della regione centroasiatica dal 1991 sino agli sviluppi recenti: l’indipendenza nazionale raggiunta dalle repubbliche musulmane ex sovietiche e la minaccia di una potenziale instabilità provocata dal vacuum di potere dovuto alla dissoluzione dell’URSS, creava uno spazio d’azione per una molteplicità di stati che – per finalità politiche, interessi economico-energetici, motivazioni legate ad esigenze di sicurezza regionale o alla condivisione di legami etnico-linguistico-culturali – intendevano influenzare l’evoluzione politica nella regione centroasiatica, rafforzando la propria posizione geopolitica nello scacchiere internazionale. Russia, Stati Uniti e Cina si sono affermate come i principali attori di questa competizione geopolitica, nella quale hanno perseguito le loro finalità di politica estera. Il secondo capitolo è incentrato sulle problematiche di carattere economico, di politica interna ed estera, di sicurezza militare che le cinque repubbliche centroasiatiche hanno dovuto affrontare nei 18 anni di indipendenza nazionale. L’analisi si concentrerà prevalentemente su Kazakistan, Turkmenistan ed Uzbekistan, dato l’importante ruolo assunto nel contesto politico regionale e soprattutto per l’importanza delle loro riserve energetiche: verranno affrontate le questioni inerenti la collocazione geografica delle riserve, le vie di esportazione esistenti e i progetti di diversificazione in atto che accentuano ulteriormente la competizione energetica tra Cina, Russia e occidente. La tematica affrontata nel terzo capitolo riguarda le relazioni tra l’Unione Europea e l’Asia centrale sino all’adozione nel 2007 della nuova strategia europea. Viene evidenziato come la mancanza di una strategia politica condivisa dell’Unione Europea nel suo complesso e il prevalere dei singoli interessi strategici degli stati nazionali abbia contribuito a relegare l’Unione Europea in una posizione secondaria e subordinata in relazione alla competizione geopolitica nella regione centroasiatica. In ambito energetico, verrà dimostrato come la divergenza tra gli interessi e le strategie perseguite dalle compagnie petrolifere europee nel contesto centroasiatico e gli obiettivi energetici comunitari perseguiti dall’Unione impediscano l’adozione di una comune strategia energetica nei confronti della regione e di realizzare la priorità della diversificazione delle fonti di approvvigionamento, per ridurre la dipendenza dalle importazioni russe e rafforzare la propria sicurezza energetica. Nel quarto capitolo, l’analisi si focalizza sullo scenario geopolitico contemporaneo della regione centroasiatica, con riferimento sia alla situazione interna delle repubbliche centroasiatiche, sia in relazione alla costante mutazione dei rapporti di forza ed influenza che coinvolgono Russia, Unione Europea, Cina, Stati Uniti. Uno degli obiettivi perseguiti in questo capitolo è quello di valutare le possibilità dell’Unione Europea di legittimarsi come attore geopolitico influente nella regione. Con l’adozione della “Strategia per una nuova partnership tra Unione Europea ed Asia centrale”, per il periodo 2007-2013, l’Unione Europea si è dotata di un potenziale strumento d’influenza politica ed economica attraverso il quale approfondire, rafforzare e razionalizzare le relazioni e le forme di cooperazione con le cinque repubbliche centroasiatiche. Questa nuova politica centroasiatica impone all’Unione Europea il compito di affrontare le principali problematiche che gravano sullo sviluppo della regione, elaborando dei piani per misurarsi ad esempio con la riproposizione del problema legato all’instabilità dei confini, la mancanza di una cooperazione e di un integrazione economica a carattere regionale, la necessità di promuovere un processo di democratizzazione in ambito politico, economico e sociale. Anche in questo quarto capitolo, la tematica inerente la questione energetica e il rafforzamento della cooperazione euro-asiatica in questo ambito assume una rilevanza particolare, considerato che questa rappresenta una delle finalità alla base della strategia europea. L’ambizione dell’Unione Europea a legittimarsi come attore geopolitico nello scenario centroasiatico è fortemente connessa allo sviluppo delle relazioni con Cina e Russia, che mantengono la regione sotto la loro sfera d’influenza politica, economica e militare: per quanto riguarda le possibilità di successo della strategia europea, queste dipendono dalla capacità dell’Unione Europea di realizzare l’auspicabile equilibrio tra il perseguimento degli interessi energetici e la necessaria promozione delle tematiche della democratizzazione e della tutela dei diritti umani.1853 5956 - PublicationIl concetto di controllo nel servizio sociale penitenziario. Un'analisi attraverso l'approccio etnografico del testo(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Selmi, Cristina ;Cossutta, MarcoGui, Luigio DISEGNO DELLA RICERCA • DEFINIZIONE DELL’OGGETTO D’INTERESSE: o Le scienze sociali fino ad un passato recente hanno manifestato scarso interesse nei confronti di uno studio sistematico e processuale del controllo sociale focalizzando l’attenzione su aspetti o momenti e non contribuendo a creare unitarietà di comprensione del processo Questo lavoro propone come piattaforma teorica per lo sviluppo successivo della fase metodologica:lo studio della relazione devianza-controllo sociale attraverso un escursus storico-sociologico,l’analisi dei suoi paradigmi interpretativi,una riflessione attraverso la teoria del servizio sociale, Si cerca attraverso la comparazione tra metodologie d’intervento dei servizi sociali in ambito penitenziario e le varie teorie della pena di ricondurre gli interventi pratici ( che il più delle volte sottendono la loro matrice ideologica) alle concezioni elaborate dalla dottrina. L’oggetto specifico di analisi è il concetto di controllo nell’ambito del servizio sociale con particolare riferimento al concetto di controllo nell’ambito dell’esecuzione penale esterna. PIATTAFORMA TEORICA Dai paradigmi interpretativi della devianza al concetto di controllo:Il paradigma utilitarista, Il paradigma positivistico, Paradigma sociale, il paradigma costruttivista, Il dibattito attuale. Il concetto di controllo nella letteratura scientifica di servizio sociale in Italia in particolare. INDIVIDUAZIONE DEGLI INTERROGATIVI SPECIFICI Quando parliamo di controllo nelle scienze sociali e nel servizio sociale in particolare di che cosa parliamo oggi? Analizzando il concetto e la funzione nell’ambito del servizio sociale (in prospettiva trifocale) che cosa oggi costituisce controllo per il servizio sociale? C’è stata un’evoluzione del concetto nel tempo? FORMULAZIONE DELLE IPOTESI Ricerca attraverso la letteratura , DEFINIZIONE DELL’INSIEME EMPIRICO DI RIFERIMENTO Testi : Giuffrida M.P., I Centri di Servizio Sociale dell’Amministrazione Penitenziaria, operatori e competenze nel contesto dell’esecuzione della pena, Laurus Robuffo,Roma,1999. Turrini Vita R.,Civiltà della pena, Riflessioni sull’esecuzione penale esterna in Italia, Ministero della Giustizia,D.A.P., Direzione Generale dell’Esecuzione penale Esterna, Net Italia, Roma, 2006. COSTRUZIONE DELLA BASE EMPIRICA Costruzione degli strumenti di rilevazione : Analisi etnografica comparativa di due testi specifici del settore penitenziario: Testi in uso agli operatori. Rilevazione diretta tramite testi specifici, rilevazione secondaria tramite leggi , circolari. ORGANIZZAZIONE DEI DATI Analisi etnografica del testo: il testo come territorio esplorativo, il testo come “fatto sociale”Processo attraverso il quale il testo descrive la realtà L’analisi etnografica del testo concentra la sua attenzione sulla costruzione e sull’organizzazione sociale dei documenti senza porsi il problema se essi siano accurati o meno, così come se siano veri o di parte. Ciò impone un passo al di fuori del materiale narrativo in quanto tale. L’attenzione è focalizzata su come i testi rappresentano gli elementi identificati nell’analisi teorica dei capitoli precedenti, come gli elementi identificati sono collegati tra loro o mutualmente dipendenti e se alla luce dell’impostazione teorica la lettura dei testi possa contribuire a comprendere se è possibile per l’operatore sociale cominciare o continuare ad interpretare il proprio ruolo in termini non solo esecutivi e routinari, ma si soggetto attento ai cambiamenti della realtà in cui agisce e disposto ad esplorare le possibilità di innovazione. Interrogativi specifici: Come sono scritti i testi e che cosa è registrato Chi legge i testi e a quale scopo sono letti i testi Rappresentazione del concetto di controllo all’interno del testo Fonte:Hammersley M., Atkinson P.,Ethnographic Principles in Practice, Tavistock, London (2^ed.1995)pp.142-3, in Silverman D., Manuale di ricerca sociale e qualitativa,ed.it.(a cura di) Gobo G. Roma, 2008, p.185. Interrogativi specifici: • Come sono scritti i testi e che cosa è registrato • Chi legge i testi e a quale scopo sono letti i testi • Rappresentazione del concetto di controllo all’interno del testo ESPOSIZIONE DEI RISULTATI – CONCLUSIONI - Il tentativo è stato quello di trovare spazi interpretativi che oltrepassino il concetto stesso e che possano guidare verso ulteriori possibilità definitorie Le varie dimensioni analizzate del controllo sociale appaiono tuttavia inadeguate ad analizzare la realtà del controllo attuale, data la complessità che caratterizza le società postindustriali, così come la società globalizzata Il problema della ridefinizione del controllo sociale, coinvolge anche la rivalutazione critica della categoria di devianza. Occorre ripartire dai concetti e dai loro contenuti. In questo senso, una possibilità ci può essere offerta dal Consiglio d’Europa che di recente con la Raccomandazione n. R(2010)1 , relativa alle regole in materia di Probation, ha elaborato un glossario dal quale estrapoliamo solo alcuni concetti, partendo da quello meno complesso: il concetto di controllo. Può essere importante ripartire da una dimensione di pensiero condivisa in ambito europeo, declinandola nella realtà italiana, ma agganciata ad un contesto comunitario.2486 21088 - PublicationIl confine sottile. Lo strano caso del Senegal e del Gambia.(Università degli studi di Trieste, 2011-04-29)
;Barison, ChiaraGasparini, AlbertoLa presente tesi è il frutto di una ricerca qualitativa basata sulla ricerca su campo, l'osservazione partecipante e l'intervista in profondità. Una ricerca svolta nel corso di tre anni tra Senegal e Gambia per cercare di capire quanto un confine imposto da due potenze coloniali, la Francia e l'Inghilterra, abbia potuto creare una divisione effettiva in una regione, quella del Senegambia, che storicamente, etnicamente e culturalmente era in principio unita. Come sono andate costruendosi nel tempo le due differenti identità, quella senegalese e quella gambiana? Ci si può limitare a giustificare tale differenza semplicemente con il diverso modello coloniale imposto o ad alimentarla hanno contribuito anche le differenti forme politiche adottate nei due paesi dopo l'indipendenza? E quanto le due culture urbane maggiormente presenti nei due paesi, quella hip hop e quella rastafari hanno potuto contribuire a differenziare le due identità? Infine, è possibile oggi ipotizzare una futura integrazione tra questi due paesi “fratelli”? Un viaggio tra storia, tradizione, cultura, hip hop e reggae per capire quanto un confine fisico può diventare spesso, anche mentale.1470 9706 - PublicationConoscere qualitativamente. Ricerca empirica sui processi di conoscenza esplicita ed implicita nell'assessment di servizio sociale in ambito minorile e familiare.(Università degli studi di Trieste, 2012-03-21)
;Venturini, Daniele ;Fargion, Silvia NicolettaLazzari, FrancescoLa presente ricerca trova le proprie tracce in quesiti generali sorti nella pratica quotidiana del nostro lavoro di assistenti sociali esercitato in questi anni. Anni d’intensa attività espressa nell’affrontare molteplici problemi della vita di tante persone, hanno lasciato spazio ad una costante ricerca di risposte a quesiti riguardanti il servizio sociale come professione e disciplina scientifica. Un lavoro spesso “silente” attraversato da diverse pratiche ove la necessità di riconoscere il “sapere” si è frapposta alle molteplici azioni discrete esercitate. La presente ricerca (di natura qualitativa) ha perciò tentato di far emergere alcuni processi di conoscenza esplicita e implicita in un particolare (ma importante) ambito delle funzioni professionali dell’assistente sociale: quello dell’assessment di servizio sociale e in specifico nell’area d’intervento minori e famiglia. Il lavoro di ricerca si articola in quattro capitoli. Con il primo capitolo è stato argomentato l’oggetto teorico della conoscenza e dell’intervento in servizio sociale. La conoscenza generalmente si costituisce assieme all’identità cognitiva (ed emotiva) del conoscente. Codificare, organizzare, ordinare sono processi cognitivi mediati dalla dimensione relazionale tra le persone (Ugazio, 1988). L’interazione sociale può essere vista come un “ambiente” entro il quale si sviluppa la conoscenza. Spesso agiamo e pensiamo sulla base delle nostre conoscenze generali più che su quanto si è potuto apprendere da una singola conoscenza episodica relativa a una situazione particolare o a un ambiente specifico d’apprendimento. La conoscenza episodica tuttavia nutre la conoscenza generale, la amplia e la alimenta. Apprendere un nuovo sapere, anche se circostanziato e dissonante rispetto alle conoscenze generali, può condurre ad una “ristrutturazione” di una parte del nostro sapere generale, ampliare il dominio della conoscenza, attivare nuove motivazioni per l’approfondimento di ambiti conoscitivi. Tutto ciò favorisce nuovi circuiti relazionali tra noi ed il mondo circo-stante, incidendo in tal modo sulle nostre strutture del sapere quotidiano (id.). Anche nell’ambito professionale la conoscenza è presente (implicitamente ed esplicitamente) in molte competenze ed azioni. Nel servizio sociale gli aspetti pratici della professione richiedono infatti una riflessione sull’agire e sugli elementi cognitivi che influenzano tacitamente una conoscenza implicita (Polany, 1988) difficilmente esplicitabile dall’assistente sociale, ma che influisce sui suoi comportamenti, espressioni, riflessioni. Il conoscere nel servizio sociale necessita dell’individuazione di un “oggetto” referente. L’oggetto della conoscenza in servizio sociale può essere definito all’interno della dimensione scientifica, della professione e dell’istituzione (Diomede Canevini, 2005; Neve, 2008). La definizione dell’oggetto porta l’attenzione sul linguaggio utilizzato: le scienze “naturali” hanno infatti una natura epistemologica definitoria diversa dalle scienze storico-sociali (Marradi, 2007) come il servizio sociale (disciplina pratica-teorica-pratica). Il linguaggio della disciplina di servizio sociale necessita di contenere la variabilità dei mondi vitali, sociali e personali, l’incertezza del vivere e dell’esperienza. Tale linguaggio deve essere in grado di accogliere la diversità del mondo che si svela agli occhi del ricercatore e del professionista sociale (Fargion, 2009) ogni qual volta si pongano delle interrogazioni alla realtà con la quale si è in relazione, così da poter indagare strade percorribili di significati (Contini, 1988). Anche i linguaggi scientifici, come qualsiasi altro linguaggio, hanno dei propri stili espressivi (Fargion, 2002). Alcuni approcci scientifici sostengono che vi sia la necessità di rendere visibili e dimostrabili in termini di efficacia gli interventi nella pratica (Dawes, 2005) anche se, nello specifico del servizio sociale, debbono essere tenuti presenti i limiti sottesi a tali approcci (Rosen, Proctor, Morrow-Howell, Staudt, 1995; Parton, 2005; Parton, O’Byrne, 2005; Canali, Frigo, Vecchiato, 2008; Fargion, 2009; Greding, Sommerfeld, 2009; Nigris, 2010). La particolare natura dell’intervento di servizio sociale, deve infatti considerare l’originalità dell’uso di un linguaggio professionale che esprime uno stile di pensiero agito, sollecito alle “componenti” emotive, all’esperienza professionale maturata, alla contestualizzazione dell’azione, all’unicità della persona. Un linguaggio come riflesso di azioni pratiche e pensieri inediti, creativi, aperti a cogliere la molteplicità ed eterogeneità degli ambienti sociali. Il linguaggio quindi non si genera da sé nella definizione dell’oggetto ma è strettamente legato al pensiero e all’esperienza (Mortari, 2003). Conoscenza, linguaggio, esperienza possono pertanto condurre all’individuazione dell’oggetto del servizio sociale. L’atteggiamento riflessivo (Sicora, 2005) aiuta a comprendere gli stili di pensiero professionale (nelle loro valenze cognitive, emotive, etiche) nella dimensione individuale e interpersonale ed a individuare il campo di intervento (e ricerca) dell’oggetto del servizio sociale. Un oggetto non di natura materiale come nelle discipline formali (Marradi, 2007; Santambrogio, 2010), ma sostanzialmente di natura relazionale (Marzotto, 2002). L’attenzione posta alla conoscenza del servizio sociale riguarda sia l’interesse per gli aspetti disciplinari (il servizio sociale come disciplina) sia gli aspetti di trasmissibilità delle acquisizioni all’interno delle prassi (Bartolomei, Passera, 2005). Una conoscenza non speculativa ma orientata all’esperienza in un’ottica trifocale: persona, ambiente e sistema dei servizi (Gui, 2004; Lazzari, 2008). La formazione assume un aspetto importante per la trasmissione della conoscenza degli assistenti sociali (Giraldo, Riefolo, 1996; Marzotto, 2002) e per connotare il servizio sociale nella sua specificità disciplinare sul versante epistemologico, euristico, metodologico (Folgheraiter, 1998). Gli aspetti teorici di servizio sociale debbono pertanto percorrere campi futuri di indagine e riflessività che sappiano cogliere osservazioni da dati empirici ed originali ancorati alle realtà di riferimento esperite (Cipriani, 2006), alle conoscenze acquisite e ai modelli di conoscenza agiti nella comunità professionale (Sheppard, 1995; Wenger, 2006; Dente, 2010 a). Con il secondo capitolo, è stata posta attenzione ad uno degli aspetti fondamentali sull’uso della conoscenza in servizio sociale: l’assessment. L’assessment è un compito complesso che porta in sé una natura fluida e dinamica tra quelle che sono le conoscenze teoriche dell’assistente sociale e ciò che è osservato in un quadro unitario e coerente (Milner, O’Byrne, 2005) che può essere inteso nella realtà italiana di servizio sociale come “diagnosi” sociale riferita anche al singolo caso, in una fase di esordio e conoscenza di una situazione (Sicora, 2008). Il termine (inglese) non trova un’esatta traduzione italiana se non nel generico significato di “valutazione” come processo di analisi e riflessione sulle informazioni, sui dati, sugli indicatori raccolti rispetto ad una situazione problematica in prospettiva di un giudizio discrezionale. Nella letteratura scientifica italiana il termine si sovrappone anche a quello di “diagnosi sociale” (o psicosociale) e “valutazione sociale” (Campanini, 2006; De Ambrogio, Bertotti, Merlini, 2007). L’assessment si “oggettiva” in un lavoro pratico come in un contesto professionale e può sottendere dei modelli “teorici” che attraversano l’esperienza incontrata (Milner, O’Byrne, 2005). Nelle comunità di pratiche (come quelle degli assistenti sociali) si possono osservare modelli di spiegazione (Wenger, 2006) che conducono a comprensioni parziali e adattate alla realtà esperita. Esiste infatti un rapporto tra il contesto delle pratiche, la realtà, l’uso del linguaggio e l’esperienza maturata (Marradi, 2007). Sono modelli spesso inconsapevoli, non espliciti, connotati da un sapere pratico non contrapposto a quello esplicito, ma talvolta costituiti a partire da questo (Gola, 2009). Il tentativo di far emergere la conoscenza tacita nei processi di asses-sment attraverso il percorso riflessivo di ricerca fa riferimento agli aspetti cognitivi del professionista e sociali del contesto (Sicora, 2010). L’assessment si manifesta attraverso un pensiero pratico con proprie specificità in merito alla definizione dell’ambito di indagine, all’integrazione degli elementi di contesto, all’analisi del processo, all’impiego di conoscenze specifiche (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995). Nel terzo capitolo è inizialmente presentato il dibattito scientifico sull’assessment in servizio sociale (“minori-famiglie”) entro il quale si è costituito il disegno di ricerca empirica. Vengono espressi i presupposti teorici del ricercatore nell’intento di porre in luce alcuni aspetti di pensiero sul “resoconto riflessivo” della ricerca (Cardano, 2011). È espresso l’atteggiamento di interrogazione: da quesiti “macro” a interrogativi mirati. Il servizio sociale ha una propria legittimità giuridica e metodologica di intervento e “valutazione” nell’ambito del sistema “minori-famiglia” (Dominelli, 2005; Ardesi, Filippini, 2008). L’obiettivo conoscitivo della ricerca presentata è quindi quello di conoscere alcune dimensioni dei processi di conoscenza impliciti ed espliciti nell’assessment di servizio sociale nell’area professionale minori e famiglia. L’indagine è stata svolta su un gruppo di 24 assistenti sociali (19 femmine e 5 maschi) suddivisi nelle province di Verona e Trento (regioni del Veneto e del Trentino Alto Adige). L’individuazione delle due province è avvenuta in base a criteri di congruenza rispetto alla fattibilità dell’indagine (possibilità di contatti, facilità negli spostamenti, presenza del corso di laurea in servizio sociale, risorse di ricerca disponibili, tempi, etc.). Gli assistenti sociali (con un minimo di cinque anni di anzianità professionale) erano tutti dipendenti di servizio pubblico ossia di Comuni, Unione di Comuni, Comprensori, Asl. Nella fase iniziale dell’assunzione dei dati, gli assistenti sociali sono stati individuati attraverso degli stakeholders (consiglieri dei rispettivi ordini regionali professionali, coordinatori di servizio). Ad ogni soggetto partecipante sono state somministrate due vignettes (Fook, Ryan, Hawkins, 1997) descrittive riportanti degli “incidenti critici” (Flanagan, 1954, tecnica da noi modificata) e successivamente ad ognuno dei partecipanti è stata proposta un’intervista non direttiva (Fideli, Marradi, 1996; Addeo, Montesperelli, 2007) volta all’approfondimento del materiale testuale emerso dalle due vignettes descrittive sulla base di alcuni testi descrittivi sottoposti ad un gruppo eterogeneo di 18 persone. L’assunzione dei dati testuali è avvenuta tra novembre 2009 e settembre 2010 e come metodo di raccolta ed analisi dei dati è stato utilizzato l’approccio della Grounded Theory (GT). Il paradigma sociologico che sottende la GT è riferito alla scoperta dei processi, alla loro interpretazione, allo svelamento dei fenomeni da indagare (Ricolfi, 1998; Strati, 2009). L’approccio di ricerca con la GT ha visto sostanzialmente una processualità riflessiva tra pensiero induttivo, abduttivo, deduttivo (Warburton, 2005; Tarozzi, 2008). I dati raccolti sono stati trattati con software Nvivo 8 (Cipriani, 2006) per la codifica delle categorie radicate ai dati, ma anche per la loro progressiva astrazione e comparazione. Nel quarto capitolo è quindi presentata l’analisi dei dati alla luce di quanto rilevato e nel tentativo di rispondere alla domanda di ricerca: quali sono i processi di conoscenza implicita ed esplicita nell’assessment di servizio sociale nell’area professionale minori e famiglia. Dall’analisi dei dati è emerso che la conoscenza in servizio sociale, nella funzione di assessment (nell’ambito minori-famiglia e nei 24 assistenti sociali partecipanti alla ricerca), è un processo che si esprime nell’operatività. Eventi incontrati nell’esperienza professionale connotati da forte sofferenza (codifica teorica “problemi prevalenti”) elicitano negli assistenti sociali dei processi di conoscenza mirata che investono 3 aspetti soggettivi: il “fare” (l’azione professionale), il “pensare” (riflessività esplicita, “riflessività” implicita, intuitiva ed “indotta”), il “sentire” (la componente emozionale associata a quella cognitiva). Tali aspetti della conoscenza a loro volta si vengono a costituire dall’interrelazione di diverse “componenti” riassunte in: - l’appartenenza a una comunità professionale (codifica teorica “ruolo dei servizi sociali”, codifica teorica “identità professionale”, codifica teorica “deontologia”, codifica teorica “metodologia”); - il sapere professionale (codifica teorica “comunità di pratiche”, codifica teorica “conoscenze teoriche semantiche”, codifica teorica “conoscenze formative”); - la dimensione personale (codifica teorica “emozioni professiona-li”). Questi aspetti componenziali dei processi di conoscenza nell’assistente sociale assumono modalità espressive esplicite (manifeste) e altre implicite (sottese). Quelle esplicite si esprimono primariamente nell’esito testuale dell’assessment professionale, quelle implicite emergono attraverso dei percorsi riflessivi degli assistenti sociali che connotano la conoscenza di servizio sociale come processo fortemente ancorato ai contesti operativi.1911 4101 - PublicationLa cooperazione decentrata allo sviluppo e il transnazionalismo dei migranti: sperimentazioni di co-sviluppo. Caso studio: il programma di co-sviluppo promosso dalla Regione Friuli Venezia Giulia.(Università degli studi di Trieste, 2012-04-27)
;Puntin, Rossana ;Boileau, Anna MariaGasparini, AlbertoQuesto studio si pone l´obiettivo di verificare la validità del co-sviluppo, a partire dalle sperimentazioni promosse in quest´ambito dalla Regione FVG tra il 2004 e il 2009. Il co-sviluppo, uno dei più recenti tra gli approcci usati nella cooperazione allo sviluppo, utilizzato per lo più in ambito decentrato, ha l´obiettivo di trasformare la migrazione in un processo positivo di promozione dello sviluppo per la società di accoglienza, per la società di origine e per il migrante stesso, attraverso la valorizzazione dei legami transnazionali dei migranti. La ricerca indaga l´evoluzione storica e teorica della cooperazione allo sviluppo e della cooperazione decentrata, i principali strumenti teorici per lo studio delle migrazioni, tra cui soprattutto il transnazionalismo, le caratteristiche della immigrazione e delle politiche migratorie in Italia e in FVG e i principali elementi del dibattito attuale sul cosviluppo. Viene poi analizzato il processo di co-sviluppo promosso dalla Regione, i progetti realizzati in quest´ambito in diversi paesi africani e, attraverso una trentina di interviste a migranti e non migranti, viene raccolto il punto di vista dei partecipanti a questa sperimentazione, su alcuni aspetti chiave del co-sviluppo. Vengono infine identificate delle buone prassi, sia a livello politico che tecnico. Da questa ricerca emerge la necessità di mettere in discussione la lettura di superficie che soprattutto le organizzazioni internazionali danno del co-sviluppo, indagando in profondità come esso funzioni. Si tratta dunque di capire in che misura il co-sviluppo riesca a svincolarsi dall´etnocentrismo che caratterizza ancora il mondo della cooperazione allo sviluppo e quello della scienza della migrazione, riuscendo o meno a produrre nuovi modi di pensare al rapporto Nord-Sud. Questo studio segnala la necessità di comprendere con maggiore profondità quali siano le cause profonde della migrazione, che cosa l´esperienza della emigrazione significhi soprattutto per le società di origine e a livello interiore per i migranti coinvolti e come funzionino in effetti i legami transnazionali. Va poi segnalata l´impossibilità di trasformare la migrazione in sviluppo, in un contesto caratterizzato a livello globale da politiche migratorie e di integrazione assenti o inadeguate. Da questa ricerca emerge come l´ambito decentrato si presenti come laboratorio politico interessante, perché capace dal basso, in maniera inedita, di far lavorare insieme migranti e non migranti, valorizzando la dimensione di frontiera permanentemente aperta e permanente critica che questo incontro rappresenta. Si conseguono così risultati innovativi, ancorché non incisivi a livello generale, caratterizzati dalla integrazione dei diversi punti di vista (“meticciamento transnazionale”) e dalla consapevolezza che solo attraverso una ricerca comune si possa trovare soluzione ai problemi globali. Dalla analisi emerge però anche che alcune delle certezze su cui si basa il co-sviluppo, come il ruolo assegnato in questi processi alle associazioni di migranti, vadano messe in discussione.1567 3106 - PublicationLa cooperazione transfrontaliera delle piccole e medie imprese nella repubblica moldava.(Università degli studi di Trieste, 2008-04-21)
;Veverita, OlgaGasparini, AlbertoUno dei fattori che determinano la competitività delle Piccole e Medie Imprese (PMI) è lo sviluppo dell’attività economica estera. Per le regioni di confine una possibilità in più può essere rappresentata dall’intensificazione di una forma specifica di attività economica estera: la Cooperazione Transfrontaliera (CT).1080 4399 - PublicationLa cooperazione transfrontaliera italo-slovena: minoranze e turismo. Analisi e possibili scenari futuri(Università degli studi di Trieste, 2009-04-17)
;Bertok, Andrej ;Gasparini, AlbertoVasile Puscas, BabesNel presente lavoro, accanto al concetto di confine, è stata presa in considerazione la regionalizzazione, con tutte le sue molteplici varianti quale elemento chiave per capire l’evoluzione della cooperazione transfrontaliera europea. Oltre ciò, vista la specificità del territorio preso in esame, quello lungo il confine italo-sloveno, il binomio turismo-minoranze viene affrontato quale fattore che può ipoteticamente sviluppare l’integrazione europea attraverso la cooperazione transfrontaliera da una parte, dall’altra invece determinare un nuovo potenziale dell’offerta turistica dell’area in questione. Nel presente studio si affronta l’ipotesi dell’eventuale ruolo o fattore d’attrazione che le due comunità nazionali o minoranze (questi due termini hanno lo stesso significato) possono avere nel settore turistico. Si tratta quindi di comprendere se le comunità nazionali presenti nel territorio confinario italo-sloveno, nella programmazione europea in ambito turistico, possono influire sull’offerta turistica della destinazione. Il materiale utilizzato nel presente lavoro è rappresentato dalla viva presenza delle minoranze sul territorio e dall’elevato numero di progetti europei di carattere transfrontaliero. Si tratta di un territorio variegato che permette al turista di trovare un’ampia offerta turistica sia di tipo ludico-sportiva, sia culturale. Nella prima parte della presente tesi di dottorato viene presentata un’analisi dei concetti chiave relativi al confine, alla cooperazione transfrontaliera e alla regione. Nel primo capitolo vengono affrontati temi di carattere generale riguardanti: la teoria e le definizioni del confine, la situazione confinaria in Istria e l’analisi di alcune tipologie del confine. Il secondo capitolo è dedicato alle tematiche relative alla cooperazione transfrontaliera europea, agli strumenti legislativi fondamentali per lo sviluppo di progetti europei e alle prerogative necessarie per la realizzazione di progettualità di tipo transfrontaliero. Il terzo capitolo è dedicato all’evoluzione del concetto di regione ossia all’analisi del ruolo dell’autorità locale, con particolare riferimento alla cooperazione transfrontaliera, allo sviluppo dei processi di integrazione europea attraverso la cooperazione transfrontaliera-l’Euroregione, alla legislazione europea in merito al regionalismo e agli organismi europei preposti alla tutela dell’autorità locale/regionale. La seconda parte della tesi analizza il concetto di confine quale polo di attrazione del turismo, la legislazione europea relativa al turismo e i progetti realizzati in ambito turistico dalle due minoranze presenti sul territorio (slovena nel Friuli Venezia Giulia e italiana in Istria slovena). Nel quarto capitolo vengono presentati esempi in cui il confine ha due ruoli nell’economia del turismo: confine quale polo di attrazione e confine quale ostacolo per lo sviluppo dell’attività turistica. Il quinto capitolo, “Il turismo in Europa”, presenta una serie di leggi a livello europeo, relativi all’ambito turistico, nonché il ruolo che le minoranze e il turismo ricoprono nel periodo di programmazione italo-slovena 2007-2013. Il capitolo successivo, invece, entra nel merito dell’argomento centrale del presente lavoro, avvicinandosi all’area geografica di riferimento: la fascia confinaria italo-slovena. Nel sesto capitolo, infatti, vengono presi in esame alcuni progetti in ambito turistico realizzati dalle due minoranze, presentando il ruolo delle minoranze svolto sin d’ora nell’offerta turistica del luogo. La terza ed ultima parte riguarda il lavoro svolto sul campo. Nel settimo capitolo vengono presentati i soggetti intervistati ai fini dell’analisi delle ipotesi sostenute nella fase introduttiva. Nell’ultima parte di questo capitolo, infine, viene fatta una verifica delle ipotesi e viene presentato un quadro delle interviste svolte, nonché alcune buone prassi riguardanti il ruolo attivo della minoranza nell’offerta turistica. Nella conclusione, infine, partendo dalle ipotesi di base della ricerca, si definiscono gli eventuali ruoli che le minoranze possono avere nei processi di integrazione europea e nello sviluppo del turismo nell’area confinaria italo- slovena. L’ipotesi di fondo, relativa alla verifica della possibilità di arricchire l’offerta turistica nell’area confinaria italo-slovena, con la presenza della peculiarità linguistica, culturale, identitaria, ecc., dettata dalle minoranze slovena in Italia e italiana in Slovenia, è stata confermata sotto due aspetti: 1. attraverso l’analisi dei progetti di cooperazione transfrontaliera attuati dalle due comunità; 2. attraverso la ricerca sul campo (con le interviste) che ha in gran parte confermato l’ipotesi. Le minoranze, quanto ipotizzato, offrono al turismo una novità, uno stimolo alla visita del territorio. I prodotti e i risultati ottenuti dai progetti europei presi in esame, hanno dimostrato il grande potenziale rappresentato dalle minoranze, offrendo numerosi spunti per lo sviluppo dell’offerta turistica dell’intera area transfrontaliera, soprattutto in vista dell’istituzione della futura Euroregione Alto Adriatica. Attualmente, non esiste a livello di marketing turistico del territorio confinario una struttura, un piano di sviluppo o un programma di strategia turistica, che consideri le minoranze quali potenziale fattore di attrazione. Pertanto, sviluppare una specificità territoriale, creare innovazione turistica e incentrare l’attenzione del nostro marketing su di una politica congiunta, sono le chiavi per un futuro sviluppo del turismo nell’area lungo il confine italo-sloveno. Ciò che proponiamo, invece, con la presente tesi, è di dimostrare che tali specificità diventino fattore di attrazione turistica, se non ugualmente ai caratteri generali (casinò, spiagge, ecc.), ma almeno parzialmente. La presente tesi di dottorato pertanto si propone di diventare uno strumento utile per nuove idee relative alla progettazione europea transfrontaliera ma soprattutto per appurare e definire il ruolo delle minoranze nel settore turistico. Il turismo, infatti, risulta essere il settore che nel migliore dei modi riesce a sfruttare le potenzialità del territorio, secondo la logica della sostenibilità ambientale, offrendo al contempo opportunità di scambio e conoscenze tra diverse culture sul territorio transfrontaliero.1687 2602