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Fitorimedio di idrocarburi policiclici aromatici: studi di rizodegradazione e biodisponibilità
Sesso, Michela
2011-04-21
Abstract
Questo studio nasce idealmente vent’anni fa, quando il Prof. Pier Paolo Puglisi, genetista dell’Università di Parma e uomo di estrema cultura e lungimiranza discute allora il tema del fitorimedio come possibilità per dar risposta a stati alterati dell’ambiente. In uno dei suoi testi 1789-1989 Abbiamo preso al Bastiglia disinquiniamola, discute di piante sì come “sentinelle” ambientali, ma anche piante come soluzioni a problemi rilevanti determinati dall’impatto antropico.
È a seguito della lettura del succitato testo che prende inizio questo studio articolato su diversi piani di ricerca, tutti volti a descrivere e cercare delle possibili indicazioni per la risoluzione di un problema di contaminazione pregressa. Il sito che ha fornito il materiale per svolgere le sperimentazioni è inserito nel parco che ha ospitato la principale struttura psichiatrica di Trieste. Complessivamente l’area contaminata riporta una superficie di 3 ettari di terreno, attualmente perimetrata ed interdetta all’accesso dal D.Lg 152/2006. L’inquinamento è stato provocato dalle attività di combustione di materiali solidi prodotti all’interno dell’ex ospedale psichiatrico. Nella struttura è presente una centrale termica ad oggi alimentata a gasolio, ma originariamente funzionava a carbone. Tale centrale serviva solo per gli edifici collocati nella parte alta del comprensorio. Gli edifici collocati a valle erano dotati ciascuno di una piccola centrale termica a carbone, ognuna con le proprie necessità di smaltire ceneri di combustione. I processi di incenerimento sono stati protratti nel tempo per un periodo che va dal 1961 al 1977.
Lo scopo del presente lavoro è stato valutare l’applicabilità della pratica del fitorimedio per la mitigazione della contaminazione invecchiata e cronicizzata nel contesto del parco. Si è voluto affrontare uno studio in pieno campo per testare l’efficacia di due specie erbacee, Medicago sativa L. e Vetiveria zizanioides L. nella rizodegradazione di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), in un’area moderatamente contaminata.
Vetiveria zizanioides L. è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Poaceae, originaria dell’India settentrionale. È una pianta che ben si adatta alle situazioni climatiche e pedologiche più estreme. L’apparato radicale è in grado di sviluppare un “muro di radici”, che può spingersi fino a profondità superiori ai 5 metri. Viene ampiamente utilizzata nell’ingegneria naturalistica.
Medicago sativa L., appartiene alla famiglie delle Fabaceae, specie largamente usata in agricoltura per la produzione di foraggio; è ampiamente discusso in bibliografica l’effetto di questa pianta come rizodegradatrice di contaminanti organici e come pianta avente effetti positivi sulla qualità del suolo.
In secondo luogo si è voluto realizzare una sperimentazione con Medicago sativa L. in condizioni maggiormente controllate, riducendo la scala sperimentale e lavorando in serra, ma affrontando un maggiore livello di contaminazione.
Essendo nota la scarsa biodisponibilità degli IPA, in una terza parte della tesi si è mirato a verificare se una contaminazione difficilmente aggredibile dalle tecniche di rizodegradazione, possa essere bioaccumulata e mobilizzata da organismi viventi, impiegando un animale che tipicamente si nutre ingerendo il suolo. Nella sperimentazione sono stati impiegati lombrichi della specie Eisenia andrei, facilmente allevabili e reperibili commercialmente.
Questi diversi approcci rivolti alla valutazione delle interazioni tra organismi viventi, contaminanti e comparti ambientali mirano a sviluppare una conoscenza che consenta di mitigare la contaminazione del suolo, risorsa non rinnovabile ed estremamente preziosa, con metodi sostenibili, in situ; si mira anche a conseguire elementi per valutazioni associate al trasferimento dei contaminanti nell’ambiente che tengano conto non soltanto della tutela della specie umana, ma anche di altri organismi, nel contesto di una analisi di rischio ecologico.
I risultati sinora acquisiti appaiono incoraggianti, ed in particolare i dati ottenuti dalla sperimentazione in pieno campo, effettuata in condizioni di contaminazione moderata, riportano riduzioni significative (dall’80 al 100%), e il rientro in condizioni inferiori alle “concentrazioni soglia di contaminazione” indicate dalla norma nazionale vigente. La sperimentazione in serra, effettuata considerando una contaminazione più elevata, ha evidenziato alcuni limiti non mostrando una mitigazione dell’inquinamento. È emersa la necessità di un miglior controllo di possibili contributi esterni alla contaminazione come ad esempio le deposizioni su suolo e piante di IPA aerodispersi. La capacità di intercettare contaminanti aerodispersi da parte degli apparati fogliari, in particolare in prossimità di direttrici di traffico, ha aperto una nuova linea di ricerca nell’ambito delle fitotecnologie, volta all’ottimizzazione di “barriere verdi” per particolato atmosferico ed IPA.
L’ipotesi di scarsa mobilità attribuita a contaminazioni invecchiate di IPA pesanti, è stata confutata, nel caso considerato, dal test di bioaccumulo con Eisenia andrei.
Disporre di dati sul contenuto totale della contaminazione di un suolo non è sufficiente per valutare il rischio ecologico che queste sostanze possono comportare. La disponibilità di una sostanza dipende dalle condizioni chimico-fisiche del terreno (es. pH, contenuto di argilla, capacità di scambio cationica, quantità di materia organica) e dalle caratteristiche del composto. Per valutare l’effettivo stato di contaminazione di un suolo in relazione alla sua potenziale pericolosità per gli esseri viventi, devono essere utilizzati dei test biologici che permettono di valutare l’effettiva tossicità dei contaminanti.
Il fitorimedio appare una promettente tecnologia per dare risposta a stati alterati dell’ambiente. Si è constatato che l’approccio alla risoluzione dei problemi in campo ambientale deve esser considerato come un approccio multidisciplinare, dove diverse competenze (biologiche, chimiche, agronomiche, gestionali, etc.) scelgono di compartecipare ai fini di una progettazione il più esaustiva possibile, e di portare a soluzione i processi di mitigazione della contaminazione e di rinaturalizzazione. In particolare per quel che riguarda interventi sul sito di San Giovanni “ex-OPP” si ritiene utile implementare lo studio iniziato con degli approfondimenti rispetto al territorio: appare necessaria una elaborazione vegetazionale del sito, la quale potrebbe fornire indicazioni di maggior dettaglio per l’identificazione delle specie più adatte alla fitobonifica del sito.
In questo contesto appare necessaria un’interlocuzione con legislatori in campo ambientale, e amministratori pubblici ai fini di identificare percorsi istituzionali per poter promuovere tecniche di bonifica e messa in sicurezza sostenibili come quelle proposte dal fitorimedio.
Insegnamento
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Università degli studi di Trieste
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