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Ruoli alternativi dei componenti complementari
Rizzi, Lucia
2010-04-22
Contributor(s)
Bossi, Fleur
Abstract
Il complemento (C) rappresenta un componente importante dell’immunità innata ed è coinvolto nel controllo delle infezioni, nella rimozione degli immunocomplessi e delle celllule danneggiate per apoptosi o necrosi. L’attivazione della sequenza complemementare può avvenire attraverso tre vie che portano tutte alla formazione del MAC (Membrane Attack Complex). Questo comporta la formazione di un poro transmembranario causando così la lisi della cellula bersaglio.
Essendo un componenete circolante nel sangue, esso può interagire con le cellule endoteliali che rivestono la superficie interna dei vasi e che rappresentano un potenziale bersaglio dei componenti complementari con i quali sono in continuo contatto.
Questo lavoro di tesi è indirizzato allo studio delle interazioni di due importanti componenti della cascata complementare, il C1q ed il C7, con le cellule endoteliali. Tali interazioni mettono l’accento su dei fenomeni ancora poco conosciuti ma che possono indicare un’attività dei CC non solo per quel che riguarda il ruolo classico nella difesa dell’organismo da agenti patogeni, ma anche in funzioni alternative del sistema, non solamente a carattere patologico ma anche e soprattutto fisiologico.
In particolare, il primo componente di attivazione della via classica, il C1q si è dimostrato avere un ruolo nel stimolare l’espressione di molecole di adesione, l’adesione e lo spreading cellulare e la produzione di IL-8, IL-6 ed MCP-1 da parte delle cellule endoteliali.
In un recente lavoro il nostro gruppo ha dimostrato che il deposito di C1q sulle cellule endoteliali della decidua (DECs) non è necessariamente associato a condizioni patologiche, ma tale componente si deposita sull’endotelio in condizioni fisiologiche e, una volta legato, stimola le DECs anche in assenza di un’attivazione del sistema fungendo da “ponte molecolare” tra le DECs e le cellule di derivazione fetale denominate trofoblasti. Queste ultime migrano nei vasi sanguigni deciduali sostituendosi parzialmente alle cellule endoteliali presenti; ciò determina una perdita del tono vascolare necessario a garantire un costante flusso sanguigno al feto. La decidua inoltre, essendo coinvolta nel mantenimento della gravidanza, rappresenta un sito di attiva angiogenesi e, insieme all’endometrio ed alla placenta, è una fonte ricca di fattori pro-angiogenetici come VEGF, bFGF e PlGF.
Sulla base di queste considerazioni quindi si è ipotizzato che la proteina C1q possa intervenire come fattore che promuove la formazione di nuovi vasi sanguigni. Comprendere la natura e l’eterogeneicità di questo processo sia a livello embrionale che nell’organismo adulto è un obiettivo che può aiutare soprattutto nella cura delle patologie angiogenetiche caratterizzate sia da un’eccessiva attivazione del sistema che, viceversa, da una ridotta attivazione dello stesso.
L’angiogenesi è un processo complesso ed altamente regolato in cui numerose cellule e mediatori cellulari interagiscono per stabilire un microambiente specifico per la crescita di nuovi vasi sanguigni. Questo processo si verifica sia in condizioni fisiologiche che patologiche.
Durante il processo angiogenenico sono distinguibili diverse fasi:
- aumento della vasodilatazione e della permeabilità vascolare;
- sintesi di enzimi proteolitici che degradano la matrice extracellulare;
- aumento della proliferazione e della migrazione delle cellule endoteliali;
- formazione e stabilizzazione del nuovo vaso con sintesi della membrana basale.
I meccanismi molecolari che governano l’angiogenesi sono molteplici e negli anni sono state individuate diverse famiglie di fattori molecolari coinvolti sia nell’induzione che nella regolazione di tale processo. Tra queste, la famiglia di fattori di crescita più studiata e meglio caratterizzata è la famiglia dei fattori vascolari-endoteliali chiamata VEGF che nei nostri esperimenti è stato usato come controllo positivo.
Gli esperimenti sono stati condotti su cellule endotelaili isolate dalla vena del funicolo ombelicale (HUVEC).
Abbiamo prima di tutto dimostrato che in sezioni di tessuto tumorale è presente un deposito di C1q a livello dello stroma tumorale e dell’endotelio vascolare sia in tumori primari che nelle metastasi, mentre non si osserva un deposito del CC nella zona circostante il tumore. La doppia marcatura di sezioni tumorali con anticorpi rivolti verso il C1q e il CD34 hanno rivelato il deposito del componente complementare sulle ECs dei vasi neoformati potenziando l’idea che C1q possa essere coinvolto nell’invasione delle cellule cancerose e nella promozione dell’angiogenesi.
La nostra ipotesi è che comunque il C1q intervenga non solo in situazioni patologiche ma anche fisiologiche e quindi abbiamo dimostrato che la proteina è in grado di legarsi in tali condizioni alle cellule in maniera dose-dipendente e tempo-dipendente, settando così le condizioni ottimali sulle quali basare i successsivi esperimenti.
L’aumento di permeabilità dell’endotelio è una delle tappe iniziali del processo angiogenetico; la capacità permeabilizzante di C1q è stata valutata con l’uso della camera di Boyden, mentre la valutazione dell’effetto mitogenico è stata condotta su citocentrifugati di cellule stimolate con C1q o con VEGF come controllo positivo sulle quali si è ricercato il marcatore di proliferazione Ki-67. I risultati ottenuti indicano che la proteina di nostro interesse ha effettivamente un’attività nel promuovere l’aumento di proliferazione cellulare, se paragonata al controllo negativo del sistema, e simile ai risultati ottenuti mediante stimolazione delle cellule con VEGF.
La camera di Boyden è risultata essere un elemento utile anche per valutare la capacità pro-migratoria di C1q e per stabilire che l’effetto osservato è dovuto ad un richiamo chemiotattico delle cellule e non solamente ad un movimento casuale delle stesse; l’uso di un anticorpo policlonale anti-C1q ha inoltre indicato che l’attività chemiotattica osservata è specificatamente indotta da C1q. Oltre a ciò gli esperimenti condotti hanno permesso di accertare che le cellule, sotto lo stimolo del componente complementare, sono capaci di muoversi in maniera direzionata, nonchè di formare struttue simil-tubulari su una matrice tridimensionale di Matrigel™. E’ stato inoltre messo a punto un modello ex-vivo di aortic ring assay che ha permesso di valutare il numero e la lunghezza dei rami vascolari neoformati.
Gli effetti dimostrati dalla proteina C1q non chiariscono tuttavia se questa molecola è in grado di agire direttamente nelle attività descitte oppure se tale effetto è indiretto e mediato ad esempio dall’induzione dell’espressione di VEGF. La metodica della Real time-PCR ha consentito di stabilire che le cellule non stimolate presentano bassi livelli di espressione del gene per VEGF, se paragonati alle cellule stimolate con C1q o ipossia (usata come controllo positivo) che invece presentano livelli di espressione più alti; questo risultato viene confermato anche dalla quantificazione della proteina VEGF nel sovranatante di coltura delle cellule.
Questo lavoro di ricerca ha dato fino a questo punto dei risultati che avvalorano l’ipotesi che la molecola complementre C1q possa agire da fattore pro-angiogenetico. Rimangono tuttavia da studiare alcuni punti importanti per poter definire con certezza questa attività.
Un altro componenete complementare studiato per un suo possibile ruolo alternativo rispetto alla funzione difensiva è il C7. Abbiamo difatti esaminato la possibilità che questa proteina sia presente sulla membrana delle cellule endoteliali ed agisca da accettore silente per i componenti complementari terminali attivati, garantendo alle cellule una protezione contro un’eccessiva attivazione del sistema, in particolare nei confronti degli effetti pro-infiammatori dell’SC5b-9. È noto infatti che, durante l’attivazione del C, il C5b6 si lega al C7 producendo una transitoria modificazione idrofilica-anfifilica che conferisce al complesso formato la capacità di inserirsi nel foglietto fosfolipidico. Tale capacità viene rapidamente perduta ma il complesso trimolecolare può legare la proteina S e gli altri componeneti complementari portando alla formazione del TCC citoliticamente inattivo che, a seconda o meno che presenti la proteina S, viene chiamato SC5b-9 o iTCC. Anche se il complesso terminale formato non è più in grado di causare la lisi cellulare, può ancora legarsi alle cellule stimolando l’infiammazione e la coagulazione.
Con questo obiettivo è stato necessario prima di tutto valutare la presenza del C7 sulla membrana cellulare; a questo scopo sono state applicate diverse tecniche comprendenti l’ELISA, la microscopia a fluorescenza e quella elettronica a trasmissione. Queste medotiche hanno permesso di affermare che esite una forma membranaria della molecola C7 legata covalentemente. I dati ottenuti attraverso SDS-PAGE, Western blot, Northern blot e spettrometria di massa hanno inoltre rivelato che il C7 di membrana è indistinguibile dalla forma solubile ed è associato alla proteina vimentina.
Una volta risolte queste prime indagini, sono stati studiati i possibili ruoli funzionali della molecola, accertando un’eventuale attività di “decoy acceptor” per gli altri componenti complementari. In particolare, si è valutato un possibile effetto protettivo sulle cellule endoteliali nei confronti del TCC solubile. Abbiamo studiato quindi come la formazione del complesso terminale sul C7 di membrana (mTCC) inibisca l’effetto pro-infiammatorio svolto dal TCC solubile sulle ECs, valutando l’espressione delle molecole di adesione ICAM-1, VCAM-1 ed ELAM, la produzione di IL-8 e l’aumento della permeabilità vascolare.
Subjects
Insegnamento
Publisher
Università degli studi di Trieste
Languages
it
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