Options
Attivazione e deplezione selettiva di linfociti antigene-specifici
Piscianz, Elisa
2012-04-02
Contributor(s)
Tommasini, Alberto
Abstract
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (TSCE) consiste nell’infusione di cellule staminali di donatore in grado di ripopolare l’intero sistema emopoietico del ricevente. Con il TSCE, però, viene infusa anche una certa quota di linfociti maturi specifici contro vari antigeni. Questi sono capaci di dar origine ad una risposta immune “positiva” o “utile” che può proteggere il ricevente da infezioni e recidive, perché una volta infusi nel ricevente sono capaci di rispondere ai patogeni (Graft versus Infection) o agli antigeni tumorali (Graft versus Tumor). D’altra parte, però, linfociti specifici contro gli antigeni dell’ospite possono dar origine alla reazione di rigetto del “trapianto contro l’ospite” (Graft versus Host Disease, GvHD) in cui i linfociti del donatore riconoscono come non self gli antigeni tessutali del ricevente (alloantigeni).
Recentemente diversi gruppi hanno studiato come migliorare l’esito del trapianto, mettendo a punto diversi protocolli per eliminare solo le cellule responsabili di GvHD, ma molto va ancora fatto per ottimizzare queste tecniche e far sì che non vengano persi anche i linfociti patogeno-specifici o regolatori.
Questo lavoro ha voluto mettere a punto un metodo di deplezione basato sull’uso di piccole molecole in grado di interferire con il processo di attivazione e proliferazione dei linfociti in risposta allo stimolo allogenico.
Per fare questo sono state selezionate diverse molecole: il metotrexate, che interferisce con il metabolismo di sintesi delle basi puriniche; il phenoxodiolo che altera il potenziale di membrana; il tasocitinib che blocca la via di trasduzione del segnale di JAK3; il bortezomib, un inibitore del proteosoma; l’acido 3-idrossiantranilico (3-HAA), che agisce consumando il GSH necessario durante il processo proliferativo e induce l’apoptosi per burst ossidativo, effetto che può essere aumentato dalla presenza di ioni di manganese.
Inizialmente i farmaci sono stati testati sia su cellule non stimolate che su cellule attivate con PHA, per identificare il farmaco in grado di esercitare la massima azione tossica sulle cellule attivate ma non su quelle non stimolate. In questa fase, il 3-HAA (con o senza l’aggiunta di ioni manganese) e il bortezomib sono risultati i farmaci dotati di maggiore selettività e potenza. Nella fase successiva, è stata studiata l’azione di questi farmaci su linfociti sottoposti ad uno stimolo allogenico, costituito da linee linfoblastoidi trasformate con virus di Epstein Barr. Infine il 3-HAA in associazione con gli ioni di manganese è stato utilizzato per depletare i linfociti attivati in co-coltura con cellule dendritiche. Dopo la coltura primaria le cellule sono state restimolate con cellule dendritiche dello stesso donatore o di donatore diverso per verificarne la reattività residua.
I risultati mostrano che tra i farmaci selezionati inizialmente, il 3-HAA, in associazione con MnCl2 mostra una sufficiente azione tossica selettivamente sulle cellule attivate, risparmiando le cellule non attivate. Il bortezomib che inizialmente aveva dato risultati interessanti, non ha mostrato negli esperimenti successivi un effetto ripetibile.
Uno dei problemi emersi, che resta da valutare, è la relativa non-responsività alla restimolazione nelle cellule trattate con i farmaci, forse per la persistenza del farmaco o del suo effetto al loro interno. Il passo successivo sarà mettere a punto le tempistiche ottimali per verificare la reattività residua dopo la deplezione.
In generale però, questi risultati mostrano che l’allodeplezione con i farmaci è una strada percorribile, anche se molto va ancora fatto per ottimizzare le tempistiche di somministrazione dei farmaci e sulla valutazione della reattività residua.
Insegnamento
Publisher
Università degli studi di Trieste
Languages
it
File(s)