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APPLICAZIONI DI PIANIFICAZIONE AMBIENTALE PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DEL PAESAGGIO AGRARIO IN UN' AREA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA
BONESSI, MICAELA
2007-05-24T09:37:08Z
Abstract
Le politiche agrarie adottate a partire dalle bonifiche degli anni ’20 del secolo scorso e dalle grandi opere di irrigazione, passando dal fenomeno della “demontanizzazione”, fino alla grande estensione della monocoltura, hanno modificato il paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Oggi l’agricoltura progredita è sorgente di numerosi impatti sull’ambiente e conduce ad una sua banalizzazione, semplificazione e all’impoverimento delle strutture ecologiche (Genghini, 2004). Essa, infatti, ha eliminato il tessuto connettivo-naturalistico di siepi, prati e boschetti che un tempo delimitavano i confini dei campi. I paesaggi agricoli tradizionali, erano, infatti, sicuramente meno produttivi dal punto di vista economico rispetto a quelli agrari industrializzati, ma possedevano le caratteristiche strutturali per evitare l’isolamento delle aree ad alta naturalità diffusa (Regione Emilia-Romagna, 2001).
A tutto ciò, si unisce la progressiva perdita di suolo a favore di espansioni urbane di tipo residenziale e produttivo, che si sono sviluppate nel tempo in maniera irrazionale e repentina. È chiaro che il conflitto disciplinare non rende affatto le cose semplici: la ricerca di interessi economici immediati continua a sostenere uno sfruttamento intensivo della natura e del territorio. In pianura il diffondersi della monocoltura è sicuramente più proficuo, ma alla lunga porterà alla scomparsa di tutti i biotopi ed alla riduzione della biodiversità. Si avverte, pertanto, crescente la necessità di affrontare in maniera concreta e costruttiva uno dei più importanti problemi dell’epoca attuale, cioè il ripristino delle condizioni di vita dell’uomo e del suo rapporto con l’ambiente (Viola, 1988).
La qualità del paesaggio agricolo-ambientale è da ritenersi la parte che meglio esprime lo “stato di salute” di un territorio e può divenire indicatore ambientale dei suoi cambiamenti. Spesso il paesaggio agrario è foriero di naturalità di per se stesso; in realtà si tratta di una parvenza di naturalità, andata persa con la semplificazione strutturale delle coltivazioni, sempre più monoculturali e sovrasfruttate. La preoccupazione concerne soprattutto i rischi di progressiva riduzione, frammentazione ed insularizzazione degli habitat naturali, assediati da un ambiente circostante reso sempre più ostile. Per fronteggiare tali rischi, si è sottolineata la necessità di politiche coordinate a livello europeo, volte alla costituzione di una vera e propria infrastruttura di stabilizzazione a grande scala (Gambino, 1997).
I sistemi di tutela e vincolo messi in atto in questo ultimo decennio nel settore agro-ambientale, non sono serviti a bloccare lo sfruttamento delle aree libere, che continuano ad essere oggetto di interessi speculativi. Sebbene in questi ultimi anni si stia assistendo ad una ricostruzione ambientale con il concorso di contributi ed incentivi economici a livello europeo (Reg. CEE 2080/92, Piani di Sviluppo Rurale, fondi di vario tipo, ecc.), il timore è che questo fenomeno si riveli pressoché fittizio e sostituibile tramite altri incentivi economici più vantaggiosi, non appena se ne presenti l’occasione.
Le forme di tutela ambientale attuate nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, come nel resto d’Italia, sono sempre meno gestibili se rapportate all’uso sregolato del territorio. Certamente anche la pianificazione territoriale di ogni livello non ha saputo prevedere scenari insostenibili annunciati. Anzi, spesso l’applicazione rigida di norme e la loro scarsa elasticità, ha indotto ed ancora induce chi usa il territorio a livello locale, a modificare o convertire le proprie attività frustrando potenziali sviluppi eco-sostenibili.
Tuttavia esiste un metodo per ovviare tutto ciò. Gli agroecosistemi possono essere organizzati in modo da condurre ad una “infrastrutturazione” ecologica del territorio e ad una riduzione degli apporti inquinanti alla rete idrografica (Genghini, 2004). Tra le politiche di sistema per il miglioramento della qualità territoriale ed ambientale, infatti, è fondamentale la realizzazione di una Rete Ecologica Europea, così come prevista dall’Unione Europea secondo il progetto Natura 2000. L’organizzazione del territorio si espleta, quindi, non solo sulla base dei processi ecologici operanti a scala locale, ma in accordo con gli obiettivi di conservazione e di sviluppo a livello di grandi sistemi ambientali (Romano, 2000). Le politiche individuali, o “per isole di eccellenza”, adeguarsi a risolvere alla scala più opportuna e con le necessarie complementarietà e sinergie, i problemi più comuni (Cavallera, 2002). La soluzione più corretta è quella di fronteggiare i problemi attuali con politiche di sistema allargate all’intero territorio.
Le aree protette sono i luoghi privilegiati, i nuclei di un sistema che, per assicurare risultati certi, devono prendere in considerazione il territorio circostante, le zone limitrofe e i corridoi di collegamento tra i centri: l’intero sistema può essere comunemente definito rete ecologica, e attraverso le interazioni tra le varie parti, assicurerà l’equilibrio complessivo e il funzionamento anche degli ecosistemi più complessi (Tutino, 2002).
Si tratta di realizzare una simbiosi tra la rete insediativa ed infrastrutturale del territorio ed una Rete Ecologica efficiente, da ricostruire sulla base di finalità polivalenti. Da un’analisi di tutte le componenti territoriali in gioco e attraverso l’esame di aree di interesse ambientale e dei vincoli che esse impongono, delle peculiarità delle stesse e delle normative di attuazione vigenti, si può tentare una progettazione ambientale utilizzando sistemi di connessione ecologica, tesi a ricostruire un paesaggio agrario che va pian piano scomparendo. La finalità del lavoro che viene proposto sta nel dimostrare come attraverso un oculato uso del territorio, sia possibile proporre una progettazione territoriale naturalistica innovativa, che metta insieme le esigenze di tutti i settori interessati, incidendo positivamente nella redazione e approvazione degli strumenti urbanistici locali. Quindi una pianificazione urbanistica sostenibile nei fatti che, senza imporre regole, contribuisca a modificare il modo di pensare il territorio.
Il punto di partenza per un’attenta analisi parte proprio da questa considerazione: come fare per mantenere un elevato indice di diversità biologica, senza sottrarre il territorio all’uso della comunità ivi “localizzata”, indicando così l’uso più corretto dei contenuti e dei caratteri che svolgono un ruolo importante per lo sviluppo socio-economico della popolazione. In sostituzione alla vecchia concezione di tutela, basata su una rigida conservazione a scopi prevalentemente scientifici, il problema della protezione delle aree di interesse ambientale assume una più organica visione come mezzo di elevazione socio-economica e culturale della popolazione interessata. Per attuare questa nuova concezione, vi è bisogno di una tutela che si estrinsechi, più che con una strumentazione a carattere vincolistico, con una sistematica azione di tipo propositivo (AA. VV., 1986). Le azioni di salvaguardia dovranno essere rivolte non solo alla tutela delle componenti naturali in senso stretto, ma anche a quelle antropiche. In questo senso la corretta tutela di un territorio deve significare non l’esclusione di quelle attività umane che hanno contribuito a creare o caratterizzare l’attuale situazione di equilibrio ecologico, ma anzi all’opposto la loro protezione, quando queste fossero riconosciute utili al mantenimento di determinate caratteristiche ambientali (AA. VV., 1986). S’intende evidenziare, quindi, accuratamente della situazione esistente e si cercherà un’alternativa che sia il meno possibile interferente con le attività produttive: la popolazione non deve sentire gli interventi come un impedimento, ma entrare in collaborazione con gli enti e le figure preposte alla gestione ambientale.
Le analisi che si andranno a descrivere non sarebbero state possibili senza la preziosa collaborazione del Servizio Tutela Ambienti Naturali, Fauna e Corpo Forestale Regionale - Direzione Centrale Risorse Agricole, Naturali, Forestali e Montagna della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. Il suddetto servizio, nelle persone dell’arch. Massimo Rollo e del geom. Daniele Bini, ha fornito non solo le basi dati utilizzate per tutte le elaborazioni effettuate e per le cartografie prodotte, ma anche l’ausilio e le competenze richieste da tematiche molto specifiche ed i riferimenti puntuali per i sopralluoghi programmati nell’area d’indagine. La sollecitazione per effettuare alcune analisi si è concretizzata grazie a questa diretta collaborazione ed il lavoro è stato seguito con continuità e con interesse partecipativo. L’intenzione iniziale era quella di far partire la ricerca dalla pianificazione faunistico-venatoria, con il presupposto di ampliarla e collegarla a tematiche europee di protezione più lungimiranti e che potessero essere uno strumento per la corretta organizzazione territoriale e lo sviluppo sostenibile.
Il lavoro si basa su un territorio campione che, dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, è condizionato pesantemente dalle attività agricole, che interessano la gran parte del terreno disponibile. I comuni selezionati si collocano in un’area geografica a cavallo della linea delle risorgive in un’area condizionata dalla presenza della laguna, del carso goriziano. L’area oggetto di studio è stata selezionata, inoltre, in base all’immediata vicinanza con il confine della Slovenia, che condiziona l’intero territorio preso in esame, nonché per la presenza del confine provinciale tra Udine e Gorizia, che attraversa l’intero distretto. In situazioni analoghe, come nel caso esemplare della Provincia Autonoma di Bolzano, le organizzazioni territoriali vanno ben al di là della fascia confinaria, comprendendo macroaree di influenza. In una tale situazione è ancora più difficile prevedere scenari di sostenibilità globale.
Il territorio, inoltre, è sottoposto ad una continua evoluzione ed è quindi importante che l’azione di tutela non porti a “congelare” la situazione attuale, ma ad evidenziare e guidare le modificazioni che contribuiscono al raggiungimento di successive condizioni di equilibrio fra le varie componenti delle aree protette. La tendenza è quella di non restringere il campo della tutela ai soli beni ambientali, ma di identificare l’azione di difesa nell’opera più generale di pianificazione del territorio campione (AA. VV., 1986).
L’intenzione di focalizzare il lavoro su tre livelli di scala differenti intende dunque perseguire questo obiettivo: penetrare nel territorio campione circoscrivendolo solo successivamente con un’analisi dettagliata dell’intorno. In questo modo la protezione dell’ambiente non conosce barriere, come del resto non dovrà averne in sede di pianificazione della Rete Ecologica, che sarà volutamente prolungata oltre i confini dell’area campione.
La prima parte, di carattere generale, riporta un’analisi di ampio respiro sui sistemi territoriali del Friuli Venezia Giulia. Dopo una sintesi della componente infrastrutturale (mobilità, insediamenti, produttivo), si passa alla descrizione delle tutele, con particolare riguardo alle aree protette ed all’attività venatoria. A conclusione viene descritto inoltre l’argomento di trattazione, vale a dire la Rete Ecologica ed i sistemi di connessione ambientale, con le loro definizioni ed il quadro normativo di riferimento.
La seconda parte entra nel dettaglio del progetto a partire dall’inquadramento territoriale del distretto venatorio 15 – Pianura Isontina. Il territorio in questione viene definito con le sue peculiarità, le aree protette, le prescrizioni dei Piani Regolatori Generali Comunali (PRGC) e vengono presentati anche un uso del suolo a fini faunistici e lo strato dell’improduttivo derivato dalle analisi effettuate nella prima parte. Si comincia a delineare in maniera molto precisa la situazione territoriale interessata. Attraverso questa metodologia si tende ad avere una buona base di scelta per l’area di applicazione del progetto, che si colloca nella parte settentrionale del distretto 15, quasi totalmente a settentrione della linea delle risorgive.
La vera e propria fase progettuale parte dallo studio della situazione vegetazionale degli elementi residuali nei seminativi della zona. Si sono assemblati i boschi definiti dai PRGC, i Pioppeti della carta dell’uso del suolo ed i boschi individuati tramite interpretazione visiva dell’ortofoto 2003. Già da questa prima elaborazione è possibile rendersi conto dei punti di forza ad alta naturalità e delle zone ad alto rischio di frammentazione. Sulla base di queste prime indicazioni si è proceduto con la realizzazione di una carta delle direttrici e delle interruzioni, che stabilisce passaggi e barriere per la fauna selvatica. La ricerca prevede come conclusione un intervento di ricostruzione ambientale nell’area campione: vengono, infatti, descritte le tipologie di miglioramenti ambientali adeguati al caso di studio, e si sono forniti alcuni esempi di come andrebbero applicate le indicazioni su casi particolari.
Un problema rilevante che si pone nella gestione di tali risorse è quello della selezione degli interventi da proporre all'attenzione degli operatori agricoli. Considerate le limitate risorse a disposizione, infatti, non è pensabile intervenire con la stessa intensità ed efficacia sull’intero territorio. Risulta perciò necessario individuare le aree più valide o più adatte all'applicazione di queste misure, in modo da raggiungere livelli di sovvenzioni soddisfacenti per gli agricoltori e significativi dal punto di vista ambientale.
L’obiettivo della ricerca è dunque da ricondurre a due aspetti distinti: individuazione, e poi conservazione e ripristino, di una continuità ambientale del territorio, e le modalità di gestione e di orientamento di tale struttura all’interno dell’agroecosistema. Il progetto sarà focalizzato essenzialmente sugli elementi di raccordo e di connessione, nel tentativo di conferire un tipo di protezione che agisca sul sistema di mantenimento globale. L’individuazione delle reti e delle linee di connessione, come tipicamente i corridoi ecologici o i sistemi d’interazione visiva, assicurano l’unitarietà e l’integrazione paesistica ed ecosistemica (Gambino, 1997).
Inoltre il proposito è quello di creare un progetto che possa mettere in relazione in modo positivo il mondo agricolo e quello venatorio, da troppo tempo distanti l'uno dall'altro, gli uni inconsapevoli dei benefici apportati dagli altri.Per questo motivo è stata utilizzata la base del Piano Pluriennale di Gestione Faunistica che l’amministrazione regionale sta portando a compimento e che si può considerare certamente un riferimento metodologico utile per la realizzazione di una pianificazione faunistico-venatoria sostenibile. Detto piano attualmente utilizza un uso del suolo che tiene conto della densità faunistica per singole zone omogenee. La prospettiva futura è quella di utilizzare l’uso del suolo, con riferimento ai tipi di paesaggio agro-silvo-pastorali, per individuare una continuità ambientale all’interno del territorio di riferimento.
Per un’adeguata rappresentazione grafica si è scelto di riportare nel testo solo particolari cartografici, oppure rappresentazioni relative ad aree di modeste dimensioni, inserendo le tavole grafiche complete alla fine del testo come allegati.
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