Publication: Allegoria del fascismo e della lotta alle sanzioni
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Moschi, Mario
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Il gigantesco altorilievo era stato commissionato, senza concorso, allo scultore fiorentino Mario Moschi, che già aveva collaborato con Raffaello Fagnoni a Firenze negli anni precedenti (cfr. Fernetti 2010, p. 50) eseguendo dei bassorilievi alla Scuola di applicazioni aeronautiche di Firenze. Come è stato rilevato, il generale riferimento pergameneo evocato per l’intero complesso edilizio del nuovo ateneo Triestino vale anche per i due grandi rilievi, previsti sin dai primi schizzi: essi “non appaiono elementi estranei all’architettura ma parte integrante di essa, come dell’altare ricordato lo era il fregio raffigurante una gigantomachia” (cfr. Sirigatti 1997, p. 270). Nel caso specifico poi il riferimento era anche tematico, visto che si trattava anche qui di rappresentare una lotta immane contro forze oscure, come si poteva dedurre dall’enfatica descrizione della scultura che si leggeva sulle colonne de “Il Piccolo” il giorno dopo l’inaugurazione, avvenuta nel marzo del 1943 dopo tre anni di lavori e forzatamente sottotono a causa delle ristrettezze belliche: “da una parte l’immane drago tricipite che si rizza saettando le lingue forcute, dall’altra un mostruoso serpente che avvolge e minaccia di stritolare nelle sue spire la bellezza e il vigore della giovane vita italiana e nel centro il Duce debella gli orribili mostri”, isolata e con l’aria un po’ smarrita, tra i due gruppi si legge la figura dell’Italia con il canonico copricapo turrito, attonita di fronte agli accadimenti che la circondano. Il tutto era stato realizzato attingendo a un ampio repertorio di citazioni: dal masaccesco Adamo cacciato dal Paradiso, evocato nella figura all’estrema destra, al più trito repertorio dell’iconografia di regime, compreso un improbabile duce nudo a cavallo. Alcuni disegni dell’archivio Fagnoni di recente pubblicati (Fernetti 2010, pp. 53, 55), consentono anche di chiarire, almeno in parte, l’iter compositivo. In una prima fase, a leggere le didascalie dei fogli, i due rilievi dovevano rappresentare rispettivamente le “opere di guerra” e le “opere di pace”, dove le prime avevano come soggetto una carica di figure paludate all’antica con labari e bandiere, guidate da un cavaliere con la spada sguainata e da una slanciata Fama in volo e da una sorta di angelo sterminatore. Di questa prima idea, che pareva calcata da una danza macabra medievale, è poi sopravvissuto solo il cavaliere e una delle figure femminili ‘volanti’, entrambi però inseriti in un contesto molto più statico, dove l’impeto guerriero era stemperato nei due episodi principali: la lotta del condottiero contro il grande dragone alato da una parte, e dall’altra il “mostruoso serpente” che avvolge con le sue spire una figura femminile dai lunghi capelli (quindi non il fascismo come pure è stato scritto) con in mano un ramoscello d’ulivo e nell’altra una fiaccola e un fascio littorio, identificabile piuttosto come l’Italia Fascista aggredita dall’Idra delle sanzioni. Il bozzetto definitivo dell’altorilievo (Sirigatti 1997, p. 270), pressoché identico alla redazione finale, mostra, com’è ovvio, una maggiore morbidezza nei trapassi chiaroscurali, in parte avviliti da una trasposizione fin troppo meccanica da parte degli scalpellini incaricati. Vista la particolare tematica e quanto questa poteva evocare, non è un caso che il rilievo sia stato per molto tempo ‘dimenticato’ dalla storiografia specializzata in quanto solo in minima parte ‘emendato’ (nel volto del duce opportunamente scalpellato) e pochissimo riprodotto, mentre maggiore enfasi sarà data al rilievo gemello, realizzato diversi anni più tardi e di certo più ‘politicamente corretto’.