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Venus
Sambo, Edgardo
1950
Abstract
Presentato all’Esposizione Nazionale di Pittura Italiana Contemporanea dell’Università di Trieste, il dipinto venne acquistato per la cifra di centomila lire nonostante gli elenchi dattiloscritti stilati nei giorni precedenti l’apertura della mostra ne segnalassero un valore di quattro volte superiore. Tale disparità di cifre non sfuggì al Rettore Ambrosino che, nel marzo del 1954, si affrettò a inviare una lettera a Sambo per pregarlo di «accettare il sacrificio che le chiedo considerando che la Sua opera sarà conservata da un’istituzione universitaria che ha vita secolare» (Lettera di Rodolfo Ambrosino a Edgardo Sambo, 11 marzo 1954). Nonostante l’esito del concorso indetto a margine dell’esposizione fosse andato a favore di opere stilisticamente molto diverse, Venus non era certo passata inosservata, vuoi per il fatto di uscire dal pennello di uno dei maggiori pittori triestini del secolo, vuoi per il fascino esercitato dal suo essere «pensosa e suggestiva» (Tranquilli, 6 dicembre 1953). Il dipinto può essere considerato il punto di arrivo della pittura di Sambo e, a un tempo, la perfetta summa dei suoi interessi: da un lato il culto della figura, nutrito sin dagli anni della formazione presso Zangrando e proseguito nella fitta schiera di ritratti che hanno costellato la sua produzione, dall’altro l’interesse per il mondo antico, inaugurato nel periodo romano del pensionato Rittmeyer e rafforzatosi negli anni Venti come conseguenza del contatto con Novecento e il gruppo di Valori Plastici. Le immagini di un tempo remoto e ormai in decadenza vengono utilizzate dall’artista triestino per puntellare ulteriormente l’idea di una pittura che è riflessione sui valori del presente, in crisi al pari dei monumenti (e degli ideali) su cui poggiava la grandezza del passato. Venus propone dunque un serrato e immediato confronto fra epoche lontane e principi estetici diversi: nonostante la figura in primo piano e la Venere di Milo sullo sfondo condividano le medesime rotondità e pudori, la femminilità provocante incarnata dalla giovane non è più quella di una divinità distaccata dai rumori del mondo ma piuttosto quella di una soda lavoratrice pronta ad affrontare la vita con tutte le problematiche della contemporaneità. Se dal punto di vista tematico il dipinto presenta evidenti affinità con I tre modelli, risalente al 1929 (Cataldi, 1999, cat. n. 89, p. 75), il motivo del ripiegamento interiore e il desiderio di rappresentare la condizione sociale del secondo dopoguerra che qui si possono percepire si riverberano in opere cronologicamente più prossime come Giovane operaio (ivi, cat. n. 229, p. 147), vicino al dipinto in esame anche sotto il profilo stilistico. Per accentuare l’approfondirsi dell’atteggiamento introspettivo comune all’intera sua produzione, negli anni cinquanta Sambo chiude le figure all’interno di spesse linee di contorno scure, quasi a voler sottolineare l’isolamento dell’uomo moderno e il suo bisogno/necessità di ripiegarsi su se stesso per non lasciarsi scalfire dagli eventi esterni. Questa soluzione compositiva, peraltro, si configura come un’evoluzione dell’attenzione alla plasticità delle forme che, pur percorrendo tutta la produzione dell’artista, si rafforza a seguito della citata vicinanza ai movimenti neoclassici che si affermano dal primo dopoguerra e del più recente neocubismo. Recuperando tonalità solari e una luce capace di creare marcate zone d’ombra, Sambo crea un’opera in cui vengono ribadite le qualità della sua arte, costantemente volta alla ricerca di semplicità compositiva, robustezza della figure, di un modo di procedere sintetico e del legame con la tradizione. Al tempo stesso, tuttavia, questi stessi sono i principi che, essendo perseguiti dalle più moderne correnti pittoriche, pongono Sambo a stretto contatto con il panorama artistico a lui contemporaneo confermandolo artista che, come ha voluto simboleggiare in Venus, tiene nella medesima considerazione passato e presente.