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Publication:
Dea Roma

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Date
1950
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Abstract
In una lettera al rettore Cammarata del primo luglio 1952, il presidente dell’Associazione fra i laureati dell’ateneo triestino scriveva: “ho l’onore di portare a conoscenza della M.V. Che, come a suo tempo ha già fatto il mio predecessore […] ha deciso di accettare il bozzetto della statua della Dea Roma dovuto allo scultore Attilio Selva e mi ha dato mandato di comunicare alla M.V. Questo voto”; e proseguiva quindi con questo tenore “ho l’onore di chiedere alla M.V. formale accettazione da parte dell’Università di Trieste del dono che l’ALUT intende fare al nostro amato Ateneo e, al tempo stesso, di pregare la M.V. Di voler accogliere il desiderio unanime del sodalizio che io presiedo, di veder sorgere il simbolico simulacro al sommo della scalinata d’accesso al palazzo universitario, sullo sfondo dell’ala ove è sistemata la Facoltà giuridica”, vale a dire più o meno nel posto attualmente occupato dalla Minerva di Mascherini, lì collocata pochi anni più tardi. La proposta di donazione si riferiva probabilmente della redazione in gesso a scala colossale, alta poco più di tre metri, oggi conservata presso il Civico Museo Revoltella e donata alle raccolte cittadine dalla stessa ALUT nel 1963 (cfr. Il Museo Revoltella… 2004, p. 277, n. 1026); una scultura che costituiva un’ulteriore testimonianza della volontà da parte dell’associazione di ‘marcare’ gli spazi universitari già dimostrata negli anni precedenti. Secondo Giovanna Caterina De Feo (2010, p. 73), infatti, l’associazione aveva commissionato l’opera allo scultore sin dagli anni quaranta per collocarla “nel piazzale antistante alla facoltà”: evento improbabile visto che il progetto prevedeva all’epoca la presenza di sculture di Marcello Mascherini. Va inoltre notato come alla luce della documentazione poc’anzi citata, la realizzazione dell’opera fosse certamente conclusa nel 1952, come del resto dimostrano anche i caratteristi stilistici, ben lontani, per esempio, dalla colossale e ieratica Vittoria del Monumento a Nazario Sauro di Capodistria, che pure si avvicina all’opera in esame per moduli compositivi. Occorrerà attendere ancora molti anni per vedere almeno il modellino in bronzo approdare nelle collezioni dell’Università: per ragioni non note, il dono troverà infatti concretizzazione soltanto nel 1963, dopo un iter durato ben 13 anni, come evidenziava una nota de “Il Piccolo” del 27 gennaio di quell’anno: “il Prof. Montesi ha precisato come le massime autorità dello Stato e gli esponenti più alti della politica, dell’arte e dello studio, fra cui 26 Rettori d’Università, abbiano dato unanime adesione all’iniziativa. «Una larga schiera di alcuni tra gli uomini migliori dell’Italia risorta e rinnovata nei suoi propositi di libertà, di progresso, di umana civiltà. Nel 1950 gli anni del dopoguerra dovevano ancora cominciare per Trieste; e quegli uomini, aderendo a quella iniziativa, coraggiosa anche perché troppo facili potevano essere i dubbi che in alcuni si rischiava di far sorgere, ripensando all’abusato nome della civiltà di Roma, espressero un sereno giudizio e un appello fiducioso nel futuro». Beneaugurando alle fortune dell’Ateneo, il prof. Montesi ha concluso il suo discorso pronunciando le parole che Giani Stuparich ebbe a dire sull’iniziativa della Dea Roma. Ha quindi preso la parola il Magnifico rettore prof. Agostino Origone […] dopo aver ringraziato l’ALUT per la tenacia dimostrata nella iniziativa coronata da così brillante successo, ha intrattenuto l’uditorio sul mondo classico e mitologico rappresentante la Dea Roma, ossia Minerva, divinità latina identificata con l’Atena dei greci, dea delle arti e in genere dell’ingegno umano che con Giove e Giunone forma la classica triade capitolina” (AUT, busta 27. fasc. 26B1). Evidente la circostanza che vede le vicende relative a questa scultura correre parallele a quelle riguardanti l’acquisto della Minerva di Marcello Mascherini, perfezionato tra il 1954 e il ‘56, per una collocazione analoga a quella ipotizzata per la statua di Selva ‘sponsorizzata’ dall’associazione dei laureati triestini. Dal punto di vista di quella che si potrebbe chiamare ‘egemonia artistica’, veniva così a riproporsi, a parti questa volta rovesciate, quel dualismo che nell’anteguerra aveva sistematicamente premiato la maggior fama del più affermato Selva, allora interprete pressoché perfetto dei voleri della committenza di partito, che di fatto gli aveva assegnato tutti i più importanti cantieri cittadini lasciando poco o nulla ai giovani in via di affermazione come Mascherini. A distanza di tre lustri le parti apparivano completamente rovesciate: forte del suo successo e della ‘modernità’ della sua proposta, il più giovane veniva preferito in virtù di un linguaggio accattivante e sensibile alle novità del clima internazionale, mentre la scultura di Selva, inappuntabile sul piano della modellazione e della composizione non sembra in alcun modo tener conto del mutamento del gusto.
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