Publication: La proiezione energetica cinese negli scenari capitalistici globali.
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Date
2008-03-28
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Publisher
Università degli studi di Trieste
Abstract
LA PROIEZIONE ENERGETICA CINESE NEGLI
SCENARI CAPITALISTICI GLOBALI
Dottorando: Dr. Fabio Massimo Parenti
Relatore: Prof.ssa MARIA PAOLA PAGNINI
RIASSUNTO
L’analisi dei cambiamenti economico-politici al livello globale ha
costituito una sfida costante alla quale gli scienziati sociali sono stati
chiamati a rispondere. Ciò ha portato, nel corso del tempo, allo sviluppo di
molteplici approcci interpretativi, capaci di volta in volta di fornire modelli
esplicativi più o meno efficaci. L’emergere della cosiddetta globalizzazione
ha poi accelerato, in una certa misura, il bisogno di proseguire tali studi,
che malgrado la loro diversità sono confluiti il più delle volte nell’ambito
disciplinare delle “Relazioni Internazionali” (RI).
La tesi sulla proiezione energetica cinese negli scenari capitalistici
globali tenta di entrare in questo ampio dibattito, partendo innanzitutto
dall’adesione alle analisi più accreditate sui principali cambiamenti
geoeconomici e geopolitici in corso - la ricomparsa dell’Asia al centro del
sistema produttivo/commerciale mondiale, il declino dell’egemonia
statunitense e l’emerge della Cina come nuovo centro di accumulazione
capitalistica3 - e nel contempo dalla dissociazione da quelle sulla riduzione
dell’importanza dello Stato-nazione e sull’emergere di una nuova “guerra
fredda”.
La crescente integrazione cinese al modo di produzione capitalistico
svela sia la centralità dello Stato-nazione dietro i nuovi processi di
accumulazione asiatici, sia le crescenti interdipendenze economico-finanziarie
fra gli USA e la Cina, sia infine l’emergere di un modello di
sviluppo cinese sui generis, che abbiamo definito del free State (in
confronto a quello del free trade britannico e del free enterprises
statunitense).
Le strategie energetiche cinesi, incentrate su una serie di accordi
bi/multilaterali, regionali ed intersocietari, rendono conto dell’ampiezza dei processi di accumulazione capitalistica in alcuni poli asiatici, della spinta
verso l’integrazione macroregionale e delle conseguenze geopolitiche prodotte da tali movimenti. Ricordandoci, in ultima istanza, la dipendenza
delle dinamiche di cambiamento dalla dimensione energetico-materiale.
Sottolineando dapprima i limiti interpretativi delle RI, in particolare
delle analisi più influenti dell’approccio realista (Huntington, 1996;
Bernstein e Munro, 1997; Mearsheimer, 2001, e altri), la tesi proposta
rivendica la centralità dello sguardo geografico nella comprensione della
natura dei cambiamenti in fieri, nonché l’adeguatezza degli strumenti
analitici della disciplina geografica (l’articolazione scalare degli spazi
umani) nella interpretazione della dinamica capitalistica globale (Harvey) e
dei correlati sviluppi geopolitici.
Il ricorso a un’analisi energetica e interscalare, che ha messo al centro
dell’attenzione la regione mobile e l’infrastruttura, ha consentito di svelare
la parziale trasformazione degli Stati nazione in “entità regionali mobili”
(imbrigliate in un sistema sempre più interdipendente e competitivo),
nonché la capacità degli Stati stessi di produrre regionalità. Da questa
angolazione, il cambiamento degli equilibri del sistema internazionale è
stato desunto proprio a partire dall’analisi degli sviluppi che occorrono
nelle principali regioni strategiche (geo-energetico-minerarie) e dalla
costruzione di sistemi di controllo economico-finanziario, direttamente
influenzati dalle politiche dei principali attori statuali. Nello specifico, la
tesi ha cercato di rispondere alla seguente domanda: perché la rivalità sul
controllo delle risorse petrolifere (USA/Cina) si sta ponendo in forme
nuove rispetto al passato?
In condizioni geoeconomiche in profondo mutamento, e nell’ambito di
una competizione capitalistica Ovest/Est, la Cina si moverebbe con
approccio diverso dagli USA, inserendosi nei processi di globalizzazione
con una diversa soggettività politica e un compromesso sui generis fra lo
Stato e gli interessi economici capitalistici. Il Beijing consensus è il frutto
di una strategia alternativa a quella degli USA (basata sul sostegno alle
private corporations e ai loro interessi immediati), che possiamo
riassumere in tre elementi distintivi: l’uso prevalente delle State-owned
enterprises per scopi strategici; la costruzione di rapporti di lungo periodo,
tramite investimenti in perdita o con ritorni minimi; e infine, ma non meno
importante, l’attenta elaborazione di politiche macroeconomiche
(monetarie, fiscali e industriali) tese a ridurre le ripercussioni negative
indotte da un eccessivo affidamento agli aggiustamenti di mercato.
Mentre l’approccio unilaterale degli USA sembra essere il risultato di un
progressivo declino di legittimità e consenso (Washington consensus),
l’azioni cinese nel mondo non ha come obiettivo l’egemonia, ma il
consolidamento di uno status di grande potenza, garante di un ordine
mondiale multipolare. Una strategia che è coerente con alcuni principi
guida scritti nella costituzione del 1982, e che riguardano il rispetto della
sovranità e dell’integrità territoriale, la non aggressione, la non ingerenza
negli affari interni, l’eguaglianza e la coesistenza pacifica. Nella sostanza,
la Cina si oppone all’imperialismo e all’egemonismo e si impegna a
sostenere le nazioni oppresse, la pace e il progresso nel mondo (Rinella,
2006). Tuttavia, non è l’ordine unipolare in sé che viene contestato, quanto
piuttosto la posizione egemonica degli USA nei confronti della Cina, la
quale è preoccupata degli effetti che l’unilateralismo statunitense possa
avere sulla stabilità di regioni del mondo da cui dipende il suo sviluppo
(Foot, 2006).
L’obiettivo di costruire un mondo multipolare si traduce in un’estesa
strategia di cooperazione bilaterale e regionale con quegli Stati asiatici,
come la Russia e l’Iran, che condividono lo stesso bisogno cinese di
rimarginare gli squilibri prodotti dall’unilateralismo statunitense
(Domenach, 2003; Garver, 2006). Inoltre, l’emergere di un’architettura
energetica asiatica più indipendente dall’Occidente, nonché di un sistema
economico-finanziario multipolare, dipende anche dal ruolo ricoperto
dall’India e da altri Stati asiatici (tra cui soprattutto il Pakistan, le
Repubbliche Centro-Asiatiche, l’Iran e l’Arabia Saudita), le cui
interdipendenze geoeconomiche e politiche con la Cina stanno aumentando
sia nell’ambito di rapporti bilaterali, sia nella sfera d’influenza della
Shanghai Cooperation Organization (SCO) (cioè uno spazio regionale
riconosciuto de jure e in continua espansione). L’evoluzione di questa
organizzazione va avanti e si rafforza sul piano di accordi economici ed
energetici, che sono finalizzati, in ultima istanza, a costruire un tessuto di
infrastrutture capaci di “vestire” la macroregione asiatica.
Le ambizioni della Cina sono concretamente sostenute dalla sua
performance economica, molto significativa sul piano quantitativo e
qualitativo, dal connesso sviluppo di tecnologia militare (missili, satelliti,
nucleare etc.) e dalla sua abilità diplomatica, che in ultima istanza si rifà ai principi originari dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Tutte carte da
grande potenza che gli consentono di giocare un ruolo sempre più
importante sull’arena internazionale, in cui l’emergere di una nuova Guerra
Fredda non sembra essere un esito compatibile con i nuovi sistemi di
organizzazione economico-politica capitalistica al livello mondiale. Se lo
sviluppo cinese e statunitense dipende in modo crescente da ampi sistemi di
approvvigionamento energetico che possono entrare in competizione,
entrambi i Paesi sono sempre più legati sul piano economico-finanziario.
Description
2006/2007
Keywords
Cina, energia, capitalismo, regione, stati, infrastrutture