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Lo specchio di Faenza

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Come per Licosatetratopo, anche per questa litografia, datata 1966, si può ipotizzare un acquisto da parte del professor Montesi, storico direttore dell’Istituto di Architettura ed Urbanistica dell’ateneo triestino. In questo caso l’artista trasfigura un luogo fisico per trasformarlo in un luogo della mente. Suonano a questo proposito emblematiche le parole di Giuseppe Marchiori: “Saffaro amabilmente conforta con la sua lucida intelligenza alla fuga dal “tempo degli altri”, sostituito da un proprio tempo, composto di lente scoperte, volto alla conquista di nuove leggi prospettiche, che aggiungono a quella visibile l’invisibile trama delle linee fino a ieri segrete. Ci voleva un uomo come Saffaro, dedito a studi severi, per dipanare le linee nuove nel labirinto degli intrecci più noti con una paziente e acuta ricerca. In tal modo le immagini di Saffaro nascono e si costruiscono dall’interno di svolgimenti imprevedibili, secondo un processo logico, che può condurre, sì, alla enunciazione di nuovi teoremi, ma anche alla scoperta di nuove strutture di contenuto intensamente poetico. La tentazione di attribuire certi risultati alla “magia” di uno spirito illuminato è sempre grande in me, che considero la parola ricca di molti significati, una parola a più dimensioni” (G. Marchiori, Saffaro solo, pieghevole della mostra di Trieste, Galleria Comunale d’arte, aprile 1968).
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