Options
Porto Verde
Paulucci, Enrico
1952
Abstract
In occasione dell’Esposizione Nazionale di pittura italiana contemporanea di Trieste del ’53 è giunto nelle collezioni dell’Ateneo anche Porto Verde di Enrico Paulucci, un quadro di forte impatto visivo che si impone per le grandi dimensioni. È una tematica ricorrente, oggetto di riflessione dell’artista durante tutto l’arco degli anni Cinquanta, a partire dal 1951 con la mostra presso la Galleria La Bussola a Torino. La fitta gabbia delle alberature delle barche forma un elegante arabesco. Paulucci è alla ricerca di una composizione più solida e sintetica, memore di quello che è stato uno snodo significativo della sua formazione, Paul Cézanne oltre che del generazionale passaggio per la pittura di Picasso. L’intelaiatura grafica è immersa in un vivace colorismo, un’esplosione di tinte squillanti e chiassose che lo contraddistinguono, retaggio dei numerosi soggiorni parigini fin da giovanissimo. Si ricordano i suoi trascorsi nel Gruppo dei Sei di Torino che alla fine degli anni Venti, in pieno clima novecentista, sotto l’insegna dell’Olympia di Manet, reclamava libertà d’espressione e apertura alle correnti europee. Anche dopo lo smembramento del gruppo, Paulucci ha proseguito incessante il suo cammino e negli anni Cinquanta è approdato ad un linguaggio singolare dove si intrecciano la scomposizione cubista e la ricchezza cromatica dei Fauves ritornati in auge dopo la Retrospettiva della Biennale veneziana del 1950. È questo il caso del dipinto dell’università costruito secondo “schemi” da pittura europea internazionale che hanno fatto irruzione in Italia con la Biennale del 1948. Come ha lucidamente osservato Carlo Giulio Argan nella monografia dedicata all’artista, davanti alle difficili congiunture storiche, Paulucci non cerca i segni dell’angoscia esistenziale degli Espressionisti o del dramma di un Picasso ma prosegue il discorso di felicità iniziato da Matisse, Dufy e di Mirò. Una spensieratezza che non è superficialità o essere avulsi dal mondo circostante ma è una presa di distanza da interferenze ideologiche e una scelta coraggiosa di esprimere sempre e comunque il suo ottimismo e la sua capacità di meravigliarsi davanti alla bellezza della natura e del mondo che ci circonda (Giulio Carlo Argan, Paulucci, Torino, La Bussola, 1963, p. 114).