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L'a-priori economico. Per una fenomenologia dello stato del debito
Giugliano, Dario
2012-03-21
Abstract
Il pensiero germinale, che ha dato vita a tutto il resto delle riflessioni per la definizione dell’ambito della ricerca e della relativa stesura della tesi, ha riguardato la coincidenza di significazioni interne al termine «sostanza». Nelle principali lingue europee (spagnolo, francese, inglese, tedesco), infatti, oltre che in italiano, il termine «sostanza», che deriva dal latino substantia, nelle sia pur minime variazioni sul piano del significante (rispettivamente, sustancia, substance, substance, Substanz), mantiene pressoché una costante significazione, ma, soprattutto, in ognuna delle lingue citate prima, questo termine mostra la stessa oscillazione di significati tra due poli: quello che rinvia al concetto di materia ovvero essenza; quello che rinvia al concetto di avere o bene di tipo economico. Questi due concetti si trovano, per così dire, intrecciati all’interno della riflessione filosofica sull’economia ovvero, più specificamente, sul concetto di valore monetario e di scambio commerciale.
Partendo da uno spunto ricavato da un fondamentale trattato medioevale sull’essenza della moneta, il De moneta di Nicola Oresme, siamo passati a determinare quella concezione propria al vescovo di Lisieux della moneta come merce – concezione quest’ultima che farà sentire l’eco della sua influenza fino alle soglie della cosiddetta scuola classica, se pensiamo, per esempio, che ancora l’Abate Galiani citerà Nicola Oresme come una fonte solida delle sue riflessioni, per non dire del fondamentale contributo in questo senso dato da Rudolf Hilferding.
Per sostenere questo spunto di riflessione con una base storica, abbiamo pensato di affrontare questa questione proprio a partire dal pensiero greco classico, appoggiandoci agli studi di George Thomson, il quale partì dall’idea che dovesse esistere un legame diretto tra la formazione dei concetti di essere (to on), essenza e sostanza (ousia) e la creazione della moneta ovvero la creazione del concetto di forma astratta di merce, come puro mezzo di scambio, che essa introdusse nella vita quotidiana della Grecia antica.
A questo punto definiti gli ambiti, siamo passati alla stesura vera e propria della tesi, che risulta divisa in due parti, una prima a carattere storico (se un simile aggettivo può mai essere utilizzato per una rilettura critica di alcuni intrecci concettuali, così come sono andati sviluppandosi e annodandosi lungo il corso dei secoli, in area mediterranea) e una seconda, nella quale si avanzano delle ipotesi teoriche.
La prima parte, prendendo avvio dalle acquisizioni proprie alla riflessione moderna della cosa-denaro (Adam Smith e Kant), tenta un percorso a ritroso verso quell’origine costitutiva del concetto di economico come possibilità dello scambio e relativa dialettica tra valore d’uso e valore di scambio, appunto. Qui, questione etica e ontologica si incrociano, contribuendo a una determinazione dello spazio politico come flusso polemico. Ma, soprattutto, a emergere è una curiosa tensione al differimento ovvero ancora alla determinazione di quel medesimo spazio politico come intersoggettività, il cui ordine di equilibrio si posizionerà tra i versanti dell’alienazione (come dislocamento) e della mediazione. Comincia, a questo punto, già a emergere l’istanza costitutiva del debito, come processo eminentemente temporale ovvero di confronto tra la soggettività e la possibilità di una sua modificazione rispetto all’altro (impegno, promessa, ipotesi).
La seconda parte si apre con una lettura del saggio di Friedman «La metodologia dell’economia positiva» del 1953, in cui l’economista di Chicago si confronta con le linee guida dell’epistemologia cosiddetta post-positivistica. La scelta di partire, per un inquadramento delle idee epistemologiche di base della scienza economica contemporanea, da un famosissimo saggio di Friedman non è stata, ovviamente, dettata esclusivamente da ragioni di carattere teorico in senso stretto. Milton Friedman, per tanti versi, costituisce ancora oggi il riferimento obbligato per una certa curvatura nella gestione delle cosiddette politiche economiche liberiste, con tutto quello che «precede» a queste sul piano di un’elaborazione di tipo teorico (nel senso di etico-normativo, stando ancora a una terminologia di tipo positivistico). L’analisi del saggio di Friedman in realtà ha come scopo quello di circoscrivere ulteriormente l’argomento della ricerca intorno alla sua questione centrale: la determinazione dell’astrazione pura come dinamica interna dell’economico in generale. Da questo punto di vista, un contributo notevole per l’impulso teorico di questo nostra ricerca è venuto dagli scritti di Alfred Sohn-Rethel, a cui non ci si potrà non riconoscere debitori – come pure, andrà riconosciuto un debito considerevole nei confronti delle riflessioni di J. Derrida, presenti, in particolare, nel saggio Donare il tempo – la moneta falsa, alle quali, a una lettura attenta, ogni riga di questa tesi mostrerà un debito di ascendenza.
Il nucleo teorico centrale di questa seconda parte potrà essere individuato intorno alla figura dell’ocularità come possibilità stessa del rispecchiamento riflessivo ovvero, ancora, come condizione del rilevamento in quanto azione indiretta. L’indagine storico-archeologica di Clarisse Herrenschmidt sulle origini della scrittura son state utili per consentire un più facile tentativo di riverbero di questa individuazione teorica sulle acquisizioni critiche della prima parte. Emerge, infine, con maggiore consapevolezza una già accennata omologia tra pratica (teorica) della scrittura e pratica della coniazione/scambio come possibilità di accesso alla condizione (di una visione) dell’invisibile/astratto.
Subjects
Insegnamento
Publisher
Università degli studi di Trieste
Languages
it
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