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Sonata in la maggiore op. 2 n. 2
2020
Abstract
La limpida tonalità di la maggiore irrora di luce e trasparenze quasi mozartiane la seconda sonata del trittico op. 2, posta a trait d’union tra la prima e l’ultima, vibratile nella sua spontaneità ed espressione di una libertà dello Spirito (Geist) così simile all’efflorescenza della Natur.
Il Largo appassionato, costruito in forma di Lied, si pone come baricentro strutturale dell’intera sonata. La sezione A comprende due idee, una alla tonica, l’altra alla dominante, entrambe derivate da elaborazioni del materiale melodico precedentemente esposto, come se il processo di variazione continua travalicasse i confini del singolo movimento per investire la forma nel suo complesso, considerata come un unico grande organismo pulsante, analogamente a quanto avveniva nell’op.2 n.1. Beethoven, entusiasta lettore kantiano, deve avere meditato a fondo le pagine dedicate al concetto di organismo nella Critica del Giudizio, ove si esalta la stupefacente correlazione interna tra le parti di un essere vivente, simile a un «piccolo mondo» che rinnova continuamente il cerchio della vita. Anche Goethe rimarrà affascinato da queste intuizioni e, nei suoi saggi morfologici, insisterà sulla capacità autoformativa dell’organismo, regolato da un equilibrio interno perfetto. Beethoven applica al linguaggio e alla forma musicale tali principi di Naturphilosophie creando non solo germi tematici che racchiudono in sé una capacità autoformativa inesauribile, ma anche strutture che nel loro complesso si rivelano sorrette da una salda rete di collegamenti interni, attivi simultaneamente in più direzioni, proprio come accade in un essere vivente.
Il Largo appassionato, costruito in forma di Lied, si pone come baricentro strutturale dell’intera sonata. La sezione A comprende due idee, una alla tonica, l’altra alla dominante, entrambe derivate da elaborazioni del materiale melodico precedentemente esposto, come se il processo di variazione continua travalicasse i confini del singolo movimento per investire la forma nel suo complesso, considerata come un unico grande organismo pulsante, analogamente a quanto avveniva nell’op.2 n.1. Beethoven, entusiasta lettore kantiano, deve avere meditato a fondo le pagine dedicate al concetto di organismo nella Critica del Giudizio, ove si esalta la stupefacente correlazione interna tra le parti di un essere vivente, simile a un «piccolo mondo» che rinnova continuamente il cerchio della vita. Anche Goethe rimarrà affascinato da queste intuizioni e, nei suoi saggi morfologici, insisterà sulla capacità autoformativa dell’organismo, regolato da un equilibrio interno perfetto. Beethoven applica al linguaggio e alla forma musicale tali principi di Naturphilosophie creando non solo germi tematici che racchiudono in sé una capacità autoformativa inesauribile, ma anche strutture che nel loro complesso si rivelano sorrette da una salda rete di collegamenti interni, attivi simultaneamente in più direzioni, proprio come accade in un essere vivente.
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