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Groviglio di cose
Minissian, Leone
Abstract
Annus mirabilis nella carriera di Leone Minassian, il 1953 aveva visto il dipinto Groviglio di cose non solo protagonista a Trieste per la Mostra Nazionale di pittura italiana contemporanea ma anche esposto tra il settembre e l’ottobre di quell’anno all’importante vetrina della X Biennale Triveneta di Padova. Il dipinto apriva le porte a Minassian verso una nuova idea delle cose ammassate, monumentali e capaci di offuscare con la loro inquietante mole cielo e terra, che gli derivava pure da un’esperienza visiva fatta davanti a un Morandi del 1921 in una collezione privata veneziana, ricordata dallo stesso Minassian tra le pagine de “La Fiera Letteraria” il 19 ottobre 1952: “...popolata di oggetti cupi e fantomatici, fra il bruno scurissimo e il nero[...]allucinante nella sua suggestività...”. Non potevano mancare, tra le “cose”, una ripresa del tema de chirichiano in chiave surrealista, come pare evidente il busto sulla destra, mutuato dall’Incertezza del poeta del 1913, o la scarpa da elfo presente pure in un altro dipinto di Minassian del 1953, Interno magico n. 2, posizionata come gli zoccoli dei coniugi Arnolfini di Van Eyck, ovvero in primo piano. Evidentemente Groviglio di cose diede nuova linfa vitale all’artista veneziano che ne eseguì un’altra versione nel marzo del 1954 e che presentò con ottimi risultati alla XXVII Biennale di Venezia e dove, rispetto al Groviglio di cose del 1953, gli elementi apparvero informi e indecifrabili, pressoché indistinti e che “tendono ad una pietrificazione”.