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La realtà dell'immagine: studio sull'immaginazione in Shaftesbury
Olivieri, Andrea
2009-04-24
Abstract
Una lettura dell’opera di Shaftesbury fondata sulla facoltà immaginativa imporrebbe in primo luogo di ritornare sulle influenze esercitate dall’autore inglese nei confronti di quel generale sforzo di delineazione sistematica della natura dell’immaginazione che caratterizzò la filosofia dell’idealismo. Un ruolo, quello di Shaftesbury, giocato in modo diretto, nella molteplicità di connessioni – di affinità e stimoli – che lo legano alle generazioni di teorici inglesi e tedeschi che a partire dalla prima metà del Settecento si rifecero al suo idealismo, alla sua visione dell’universo come campo di valori, ai tratti “sublimi” e “immaginativi” del suo stile filosofico e a certe sue affermazioni relative al poeta come “second Maker”. La seduzione esercitata dal pensiero shaftesburiano sui maggiori intelletti del secolo XVIII e oltre, la costante presenza in essi delle sue tracce, indicano chiaramente che di questi elementi l’opera di Shaftesbury seppe farsi snodo. In particolar modo ciò è avvenuto per alcune tra le idee del saggista maggiormente implicate in senso estetico. Fra queste la nozione di immaginazione offre forse i maggiori motivi di interesse. Il concetto chiave che caratterizza la figura “preromantica” di Shaftesbury è dato infatti da un’idea di immaginazione creativa, intesa come facoltà produttiva di immagini e plasmatrice di forme originali, che una tradizione critica attestata sull’analisi del precorrimento di situazioni future ha creduto di poter rintracciare in nuce nella sua dottrina estetica. A prova di queste risonanze preromantiche è invariabilmente portata l’analogia da Shaftesbury istituita, ma non elaborata, tra poesia e attività creativa della natura. Avviarsi alla comprensione dei capisaldi di una possibile teoria shaftesburiana dell’immaginazione significa quindi, contestualmente, procedere alla rettifica di una certa tradizione storiografica che, sulla base del paragone appena ricordato, ha attribuito a Shaftesbury i meriti di un processo di psicologizzazione dell’analisi filosofica dell’attività poetica capace di condurre a identificare l’atto creativo con la facoltà dell’immaginazione. La parte iniziale di questo lavoro affronta dunque – attraverso l’analisi della letteratura secondaria più influente – una ridiscussione critica di questo tipo di impostazione ermeneutica. Da una parte – sul piano delle esplicite affermazioni shaftesburiane riconducibili al piano formale della teoria dell’arte – si sottolinea l’importanza dell’impianto regolistico e normativo della sua estetica, dall’altro si riporta l’atteggiamento neoclassico del filosofo al fondamento ontologico da cui deriva, ossia all’idea di una natura intesa come compagine universale dotata di armonia, la cui “creatività” è da vedersi come funzione produttiva di ordine e regolarità. Da questo punto di vista, quindi, per Shaftesbury è la stessa natura, modello dell’imitazione del poeta, a non essere definita e considerata “Creator”, termine con il quale la critica letteraria del periodo indica una produzione di forme che prescinde da un materiale pre-esistente, bensì “Maker”, cioè produttrice di ordine, principio di organizzazione, di armonia e regolarità in ciò che esiste.
La ricomprensione del valore della proposta filosofica shaftesburiana sotto l’ottica quasi esclusiva dell’anticipazione di elaborazioni concettuali maggiormente a fuoco in epoche successive ha inoltre prevalso fino in tempi recenti sull’analisi dei legami che radicano le idee del moralista, o alcuni suoi temi, anche in maniera implicita, nelle trame speculative delle maggiori tradizioni filosofiche del suo tempo. Pure, innervando i secoli a cavallo dei quali Shaftesbury percorse la propria parabola filosofica, le maggiori tendenze della filosofia moderna, tra cui l’empirismo, non poterono mancare di influenzare, in modo più o meno sfumato, sia il quadro generale, sia i dettagli più significativi della sua elaborazione. Ciò è possibile affermare analizzando, dell’immaginazione shaftesburiana, aspetti non direttamente riconducibili al piano estetico, e pure altrettanto importanti, quali la dimensione morale e (parzialmente) conoscitiva. Nel definire il contenuto reale della nozione shaftesburiana di immaginazione si è perciò tentato di sviluppare alcuni aspetti epistemologici, conoscitivi e morali di questa non già non percepiti, ma forse non sufficientemente svolti nelle loro implicazioni, mostrandone la legittimità. Sono così emerse le linee di una teoria dell’immaginazione intesa come funzione della mente implicata nella percezione e responsabile della rappresentazione del mondo, nella sua natura di istanza psichica mediante la quale è possibile apprendere, se non comprendere, la realtà. Allo stesso modo, si è messa in luce la fecondità della relazione tra imagination e moral sense, o tra imagination e azione morale, e ancora tra la nozione di image e quella di idea.
Uno sguardo approfondito sulla natura della funzione immaginativa nel pensiero di Shaftesbury permette infatti di scoprire come l’idea di un potere rappresentativo della coscienza si riveli un elemento necessario. La stessa concezione morale, tema cardine della filosofia shaftesburiana, poggia su una visione della coscienza che valorizza il ruolo delle rappresentazioni interiori e delle immagini mentali, di moral pictures, nella fenomenologia dell’agire etico. La dimensione della moralità risulta infatti, propriamente, uno spazio psichico popolato di images, forms, fancies e representations. L’oggetto razionale, o morale, si presenta al senso interno come oggetto in immagine. Della derivazione e della natura di questa immagine si è tentata una ricostruzione: essa è registrazione di una realtà esterna, un contenuto sensibile interno alla coscienza. L’oggetto-immagine morale è l’oggetto percepito, prodotto dell’osservazione di un vissuto, di una condotta empirica, sicché Shaftesbury sembra proporre una teoria della rappresentazione percettiva iconica nella mind. La componente visiva quale prospettiva entro cui inscrivere i problemi della morale connota dunque la specifica natura del moral sense: è questo sfondo della particolare disposizione descritta da Shaftesbury, non a caso definita una “visione riflessa” dei nostri moti interiori, ciò che si è posto in primo piano. Si ritiene che solo collocando il senso del giusto e dell’ingiusto all’interno del suo contesto fantasmatico si possa cogliere pienamente il modo in cui il filosofo ha inteso configurare l’esperienza morale. Se ciò è vero, e se è vero che la fondazione di una morale autonoma e naturale è il compito centrale della speculazione shaftesburiana, allora la capacità immaginativa della mente e le sue produzioni occupano un posto di rilevante importanza all’interno dell’intera costruzione filosofica del saggista inglese.
La presenza, sottesa alla dottrina etica shaftesburiana, di un’attività mentale che esplica le proprie funzioni attraverso procedure di tipo figurativo, il cui soggetto è l’organo della percezione morale (moral sense), è testimoniata, oltre che da una serie di indizi di ordine lessicale e metaforico, da indicazioni di tipo dottrinale. Nello specifico, il moral sense è un reflected sense, un “senso riflesso” che ha proprio nei termini fancy e imagination due vocaboli che ne definiscono la natura.
La funzione del reflected sense, la cui derivazione terminologica e psicologica è lockiana, è descritta nel sistema morale shaftesburiano come un “senso interno” che percepisce e accoglie nella mind idee morali, facendone in modo immediato oggetti presenti alla coscienza a seguito di percezione. Solo dopo essere state avvertite (felt) in azioni, passioni e caratteri, infatti, le qualità morali di un fenomeno etico esistono nella mente: esse sono acquisite come objects, ovvero come contenuti presenti alla coscienza riferiti a un oggetto morale percepito (un comportamento, una passione, un’azione propria o altrui), che sarà quindi investito da “un altro genere di affezione”, una ammirazione o rifiuto (Liking or Dislike) razionali. La presenza nella mente di queste idee/immagini di moralità, cui propriamente il senso morale reagisce, comporta la dipendenza da un’istanza interiore che, nel percepirle, ne faccia un oggetto interiore della coscienza, sulla base del cui contenuto rappresentato essa può esprimere la propria convalida o il proprio rifiuto, modellando quindi il comportamento e disponendo la volontà. Come testimonia l’espressione shaftesburiana, le azioni proprie e altrui sono infatti “introdotte nella mente tramite la riflessione” (brought into the Mind by Reflection), cioè rese presenti o rappresentate alla mind, che le assume come oggetti del pensiero, ovvero come realtà determinate, enti particolari indipendenti dalla mente, ma rappresentati in essa come contenuti di coscienza da approvare o rifiutare, a seconda del bene o del male in essi compreso. Gli oggetti razionali sono dunque oggetti riflessi, o oggetti morali di riflessione, e cioè immagini proiettate (active and incumbent) nella mente di realtà morali. Ora, essendo gli oggetti razionali di natura etica sempre rappresentati come immagini e “apparenze morali”, l’atteggiamento generale assunto dalla coscienza morale sarà necessariamente quello dello spettatore rivolto a un mondo di immagini mentali. “In qualunque modo giudicheremo ciò, troveremo sempre che ogni creatura razionale o riflessiva è indotta dalla propria natura a sostenere il riesame della propria mente e delle proprie azioni, e ad avere sempre chiare davanti a sé rappresentazioni di se stessa (Representations of himself) e dei suoi moti intimi, che si agitano nella sua mente”. Nel porsi come organo della rappresentazione interiore di tali oggetti, il senso riflesso opera quindi secondo modalità raffigurative, plasmando in immagini le idee dei fenomeni morali. Questo si intende con il termine “fantasmatico” che, secondo noi, connota la specifica natura del reflected sense. In altre parole, la riflessione è quella attività la cui particolare natura “figurativa” o “fantasmatica” permette alla “creatura razionale” non solo di sorvegliare e criticare le rappresentazioni, ma di ricevere “nella propria mente immagini o rappresentazioni di giustizia, di generosità, di gratitudine o di altre virtù”, configurandosi così come istanza psicologica decisiva di un processo percettivo delle qualità etiche che ha come oggetto idee morali il cui statuto ontologico è la rappresentazione o immagine interiore. Nel vocabolo reflection Shaftesbury convoglia dunque un’attività di oggettivazione delle idee morali (azioni, passioni, sentimenti) sotto la specie della rappresentazione raffigurativa, delineando la fisionomia di un processo percettivo (di ordine morale) che passa attraverso la mediazione delle immagini.
Ora, la funzione figurale e rappresentativa del “senso riflesso” è assai simile, o analoga, a quella storicamente rivestita dalla fantasia/immaginazione, nel suo status classico di attività di ricezione, trattenimento e produzione delle immagini e delle forme sensibili provenienti dai sensi. Attraverso la funzione rappresentativa del reflected sense, si introduce così – se non proprio come necessità logica, almeno come possibilità psicologica – il consueto ruolo dell’immaginazione, cioè della facoltà rappresentativa responsabile della raffigurazione nella coscienza delle immagini degli oggetti anteriormente ricevuti dalla sensazione. Se così fosse, nello sforzo verso l’acquisizione della moralità vi sarebbe spazio per la funzione immaginativa. Questa saldatura fra Imagination e senso interno “riflesso” avviene effettivamente, e in modo esplicito, in un passo delle Miscellaneous Reflections, scritto appartenente all’ultima fase della produzione shaftesburiana, dove il filosofo giunge a un’equivalenza tra il sostantivo “immaginazione” e ciò che nelle opere del periodo iniziale aveva indicato con la nozione di natural moral sense: “Ancora, considero dentro di me, io possiedo l’immaginazione di qualcosa di bello, grande e nobile nelle cose”. In una nota esplicativa a margine dello stesso passo Shaftesbury ribadisce il riferimento alla funzione immaginativa, usando il termine Imagination in funzione sinonimica del Sense of (moral) Beauty, guida connaturata della nostra vita morale. L’identificazione della Imagination con il fondamento sentimentale della moralità fa segno verso la necessità di una capacità fantasmatica, o di una coscienza immaginativa, per la vita morale dell’individuo.
Insegnamento
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Università degli studi di Trieste
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