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SPESSORI, CODICI, INTERFACCE. ARCHITETTURE DELLA STRADA
VENUDO, ADRIANO
2007-05-29T08:24:03Z
Contributor(s)
AYMONINO, ALDO
Abstract
Parkway, strip, viadotto e autostrada
sono alcune delle tipologie stradali generate,
dal secolo scorso a oggi, direttamente
dall’automobile e in cui, per ragioni
di sicurezza e comfort, è prevista
la totale separazione tra flussi e forme
di abitabilità dello spazio, tra l’automobilista
e il pedone: per normativa, tutti
i possibili utenti non motorizzati e qualsiasi
pratica che non contempli il movimento
veloce ne vengono infatti escluse.
Questa dinamica interessa anche le
maglie frammentate della città diffusa
contemporanea, in cui l’automobile
rappresenta l’interfaccia necessaria
per poter vivere un “territorio allargato”,
dove la strada è anche motore di
quella particolare urbanità che, sempre
a una certa distanza, si estende lungo
le reti e che potremmo definire come
effetto urbano.
Un tempo la gente stava sulle strade1,
i pedoni al centro e carri, cavalli e altri
mezzi ai lati, il dominio dell’automobile
ha invertito questo rapporto, confinando,
nella migliore delle ipotesi, ai bordi
queste attività e utenti. Le strade delle
le automobili si sono così trasformate
in uno dei più grossi problemi per il
funzionamento delle città, non solo per
la presenza invasiva del “fenomeno infrastrutturale”,
ma anche e soprattutto
perché esse rappresentano sempre più
un limite invalicabile per tutte le altre
pratiche urbane; la strada è diventato
un sistema chiuso, che a sua volta genera
discontinuità e forti vincoli per gli
utenti non meccanizzati. Va aggiunto
che l’influenza di un’autostrada, ad
esempio, non si limita allo spazio dei
sedimi carrabili, ma porta con se un
perimetro molto più ampio determinato
dalle fasce di rispetto o pertinenza, attraverso
imponenti manufatti di sostegno,
nel caso di viadotti e altri rilevati,
e con altrettanto importanti dispositivi
di separazione e chiusura sia tecnica
- gli spartitraffico - che sensoriale,
barriere acustiche o visive. Se consideriamo
poi le autostrade urbane, che
attraversano densi tessuti residenziali,
tali effetti non possono che aumentare.
Questi grandi tubi per il traffico,
che passano ovunque, secondo i principi
della via più breve, della velocità di
progetto degli standard di sicurezza, si
configurano come delle vere e proprie
eterotopie, dei mondi paralleli, organizzati
da regole proprie che frequentemente
non integrano alcuna relazione
con i contesti attraversati. Di fronte
alla “necessità tecnica” espressa da
queste enclave del movimento, l’unico
atteggiamento possibile sembra essere
la subordinazione, la città cresce sotto,
sopra, di fianco e negli interstizi,
l’architettura piega i propri codici alle
esigenze del manufatto viabilistico.
Una condizione che può anche essere
sfruttata vantaggiosamente: si pensi al
museo Guggenheim a Bilbao e a come
si “adegua” al viadotto soprastante. Il
famoso intervento di Frank O. Gehry
rimane però un esempio raro e isolato,
l’ordinario si consuma tra barriere antirumore,
guard-rail, isole spartitraffico,
muri di separazione, piloni e intradossi
di viadotti, elementi tanto banali quanto
invasivi, i cui caratteri sono determinati
dai costi, dalla normativa e dai
regolamenti per la sicurezza. Elementi
permanenti e “duri”, che chiudono
l’orizzonte, che impediscono il passaggio,
o che costringono i flussi lenti della
città a traiettorie arzigogolate, lungo
passerelle aeree o sottopassi, in un regime
di separazione, che attraverso dispositivi
e manufatti tecnici garantisce
distanza tra le diverse velocità, generando
contemporaneamente un largo
“consumo di spazio” e di risorse.
Se questo è l’atteggiamento più diffuso,
esiste tuttavia un’ampia serie
di esperienze progettuali e di teorie
che hanno sperimentato forme di riavvicinamento
ai canali di traffico, in
aderenza ai flussi, proponendo forme
di condivisione dello spazio-strada, di
promiscuità d’uso, di ibridazione tra i
manufatti tecnici e gli spazi dell’abita-
Introduzione
re, di integrazione dei sedimi automobilistici
con gli spazi per il pedone, facendo
del binomio velocità/frizioni una
vera e propria strategia del progetto
stradale.
Tali esperienze dimostrano che le strade
delle grandi reti che attraversano
i contesti naturali e urbani possono
smettere di essere esclusivamente
concepite come canali che smistano
i flussi secondo la sola logica dell’efficienza
idraulica. Dimostrano che anche
le strade delle automobili, in cui
la velocità determina distanze, forme
e usi, possono diventare spazi in cui
vivere e soprattutto in cui stare.
Questa ricerca è orientata, attraverso
la messa in campo di tre livelli di
lettura (spessori, codici e interfacce)
a individuare le forme, le misure, le
caratteristiche e le strategie del possibile
avvicinamento e commistione dei
flussi verso usi multipli delle infrastrutture
di comunicazione, specialmente
di quelle veloci. Questi tre livelli corrispondono
anche a delle grandezze
fisiche, dimensioni e dispositivi della
strada, ed in particolare lo spessore
è inteso come profondità, o spazio di
emanazione connesso allo spazio-strada
(sotto, sopra, affianco e tra), e non
sempre usato dalle automobili; i codici
sono intesi come le relazioni che
legano le tre dimensioni principali della
strada (sezione, tracciato e bordo);
l’interfaccia è infine considerata come
l’insieme degli spazi-soglia che dividono
e connettono il sistema strada con
gli altri sistemi locali.
L’intenzione è di superare il dibattito
attualmente polarizzato tra due posizioni
inconciliabili: la prima legata a
una idea di strada intesa come fattore
di sviluppo a tutti i costi, incurante
delle ragioni del territorio, la seconda
espressa da chi vede ogni sviluppo infrastrutturale
come una minaccia intollerabile
all’ambiente. Si è quindi deciso
di ripartire dalla questione primaria,
vale a dire quella legata allo spazio,
laddove il campo privilegiato di osservazione
è quello del canale di traffico e
la possibilità di trasformarlo in spaziostrada,
ovvero in supporto dotato di un
proprio specifico spessore disponibile
alle molteplici funzioni associabili al
movimento.
In particolare, la prima parte sviluppa
una riflessione sulle forme dello spessore
a partire dall’ambiguità dei due
principali paradigmi dello spazio-strada,
ovvero quello della strada come macroarchitettura
e dell’edificio come organismo
complesso che integra anche la
strada, e quello dello spazio-strada “in
bilico” tra luogo e collegamento.
Si è quindi cercato di individuarne l’origine
attraverso l’osservazione di prototipi,
di progetti instauratori, messi a
confronto con le proposte delle avanguardie,
le utopie, le visioni e le teorie
degli architetti poi assunte come nucleo
tematico da cui partire per una interpretazione
del significato plurale della
strada, da spazio aperto,inteso come
superficie, a quello di manufatto, inteso
come volume. Questa parte è divisa
in tre sezioni, di cui la prima ha come
obiettivo la costruzione di un lessico,
la seconda la messa a fuoco del rapporto
tra infrastruttura e architettura
attraverso le “prime architetture della
strada” e la terza la sistematizzazione
dei materiali iconografici e d’archivio di
due casi studio, rispettivamente sulle
possibilità di “urbanizzazione” delle autostrade
italiane (Autilia di Giò Ponti) e
sulla capacità della strada di diventare
edificio complesso, macroarchitettura
alla scala della città (Coliseum Center
di Monaco e Luccichenti).
La diffusione del mezzo motorizzato ha
avuto un ruolo fondamentale non solo
nella trasformazione dei modi di abitare
il territorio, ma soprattutto riguardo
agli effetti morfologici e funzionali sulle
strade, divenute in diverse esperienze
(raccolte e sistematizzate all’interno di
questa ricerca) la ragione insediativa di
architetture e sistemi urbani. La seconda
e più ampia parte di questa ricerca
si occupa dei codici dello spazio-strada,
intesi come regole e misure dello
spessore. Si ritiene che gran parte del
conflitto strada veloce/spazio abitabile
nasca da una cultura progettuale e
da una pratica diffusa impostate su un
equivoco dimensionale, per cui il sistema
di misure che garantisce sicurezza
e comfort è inutilmente ipertrofico.
Gli esempi selezionati mostrano come
questi fattori possano essere comunque
soddisfati con misure e geometrie
ridotte, che permettono però di modellare
lo spazio-strada anche per altri
utenti. Sono questi i punti di partenza
dell’indagine, che tenta di mettere poi
a fuoco le regole compositive e di elaborare
strumenti e strategie con cui affrontare
il progetto stradale alla scala
locale (spazio-strada) in relazione con
quella territoriale, dal cordolo alla rete,
attraverso tre dimensioni fondamentali
ricavate dallo studio di un’ampia casistica
di esperienze contemporanee:
1. la dimensione trasversale, che trova
una diretta traduzione nella sezione
come strumento di articolazione del
piano (progetto di suolo) e di controllo
della tridimensionalità della strada (volume
della strada);
2. la dimensione longitudinale, espressa
nel tracciato come strumento di
organizzazione dei flussi in relazione
alla velocità e ai materiali dei contesti
attraversati (progetto di paesaggio e
progetto urbano), e come disegno delle
forme di prossimità tra diversi mezzi,
utenti e velocità (strategia della collocazione);
3. la dimensione relazionale, esplicitata
nelle forme e misure del bordo, come
luogo privilegiato del rapporto di scambio
con il contesto (aperto/chiuso,
continuo/discontinuo, ecc…) e come
plusvalore dello spazio-strada, in quanto
spazio soglia a disposizione, “luogo
in attesa di…”.
Chiude la trattazione il capitolo dedicato
alle interfacce della strada, ovvero
l’insieme di dispositivi pensati
con il preciso scopo di mediare il rapporto
tra automobili e altri utenti, tra
strada e contesto, tra diverse velocità.
L’attenzione si è focalizzata sulle
superfici orizzontali e verticali, oltre
che sulle possibilità di ispessimento,
trasfigurazione e accoglimento di usi
complementari, per arrivare ai casi più
estremi di applicazione delle tecnologie
wireless, con le conseguenti ipotesi di
decomposizione dello spazio-strada
avanzata dagli esempi riportati.
Queste tre sezioni, oltre a individuare
altrettante attitudini della strada a generare
una propria specifica architettura
(traffic architecture2), corrispondono
anche a tre livelli di complessità
del tema infrastrutturale e della sua
capacità di diventare altro o di accogliere
altri usi. L’intenzione è sempre
di evitare l’equivoco della specializzazione,
ovvero di considerare la strada
materiale urbano di dominio esclusivo
delle automobili. In questo senso, il
recupero delle ricerche e dei progetti
di Lawrence Halprin assume il ruolo di
modello diretto all’integrazione tra manufatti
viabilistici e architetture, verso
la sperimentazione di edifici-strada ibridi
e di forme di condivisione dello spazio
infrastrutturale tra diverse velocità
e categorie di utenti. Negli stessi anni,
le proposte di Giò Ponti configurano
assetti dei tracciati e dei nodi autostradali
come possibili sistemi insediativi
delle strade veloci. Queste ipotesi
sono il risultato di un periodo storico
particolarmente fertile per l’infrastruttura,
che fa riferimento alla situazione
generale determinata dal boom economico,
dalla costruzione dei grandi itinerari
di attraversamento e dalla parallela
diffusione dell’automobile come mezzo
di massa. Dall’America all’Europa, con
un nucleo particolarmente prolifico in
Italia, la speranza verso la capacità della
strada di generare il “mondo nuovo”
guida ricerche e sperimentazioni sull’infrastruttura
come supporto in grado
di accogliere qualsiasi cosa,dotato di
una propria autonomia e di un proprio
statuto spaziale. È la stagione dei grandi
concorsi di architettura per quartieri
popolari, università, centri direzionali,
in cui la strada disegna le regole compositive
di architetture che guardano
al territorio, di macro-edifici impostati
sulle corsie di traffico, di spazi la cui
composizione è determinata dal fattore
velocità. Poche di queste visioni
hanno trovato una diretta realizzazione,
ma l’importanza di queste idee depositate
al suolo arriva fino ad oggi.
Dopo la crisi petrolifera mondiale degli
anni settanta e il conseguente spostamento
generale dell’attenzione disciplinare
verso altri temi (ad esempio
il progetto urbano e lo spazio aperto
negli anni ottanta) è emerso un nuovo
atteggiamento, un misto tra pragmatismo
e neo-utopia. Alcuni grandi eventi
degli anni novanta, soprattutto europei
come i programmi nazionali olandesi di
espansione residenziale, i Datar o i Vinex,
hanno contribuito a generare una
nuova sensibilità per il tema infrastrutturale
e in particolare per quello del
progetto stradale, non più come prezzo
da pagare ma come strumento di
trasformazione del territorio. A partire
da alcuni progetti, primo fra tutti il Moll
de la Fusta di Manuel de Solà Morales
a Barcellona, la strada non è più vista
come “consumo di spazio” e di risorse,
ma come occasione di riassetto per la
città e il paesaggio. In particolare, l’ampia
azione di riqualificazione urbana in
Spagna, iniziata negli anni novanta
parte proprio dalla concezione del progetto
stradale come progetto urbano e
di spazio pubblico. In Francia, sempre
nelle stesso periodo, la Direction des
Routse, attraverso programmi nazionali
promossi dal governo, avvia un processo
di riqualificazione delle autostrade
esistenti e di costruzione di nuovi corridoi
di attraversamento con l’obiettivo
di “ristrutturare” il paesaggio del sud
della Francia. Analogamente in Olanda
i piani Vinex e altri interventi effettuati
sulla base dei documenti nazionali
di pianificazione (Architectuur Nota)
(come il recente Making Space, Sharing
Space) hanno visto nel progetto
stradale l’occasione di correzione per
politiche rivelatesi fallimentari, nel loro
promuovere la “dispersione” e la frammentazione
del paesaggio della randstad.
Il progetto della strada diventa in
questo caso progetto di densità e di
concentrazione.
Le esperienze soprattutto spagnole,
francesi e olandesi degli ultimi quindici
anni, pur largamente legate alle sperimentazioni
precedenti, assumono un
carattere di particolare interesse, soprattutto
per la capacità di trasformare
le utopie di un tempo in strategie tanto
paradossali quanto pragmatiche. Una
serie di proposte operative che, unendo
gli aspetti tecnici a una visione integrata
dell’infrastruttura, del paesaggio
e dell’architettura, costituiscono un
orizzonte di ricerca nuovo e necessario.
Insegnamento
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Università degli studi di Trieste
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