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"L'uomo genera l'uomo". Riflessioni in margine al "De generatione animalium" di Aristotele
Scrivani, Francesca
2009-04-24
Abstract
L’indagine aristotelica sulla riproduzione degli animali ruota attorno all’importante tema della differenza sessuale, al punto che l’inferiorità etica, anatomica e fisiologica della donna, postulata e ampiamente condivisa dai poeti e dai philosophoi d’età arcaica e classica, trova proprio in Aristotele la sua più sistematica legittimazione in campo biologico.
In primo luogo, secondo il filosofo, la definizione e la classificazione delle caratteristiche anatomiche della femmina è resa possibile esclusivamente dal confronto con il modello biologico di riferimento: quello maschile. E, rispetto ad esso, l’organismo femminile appare imperfetto, incompleto e debole in tutte le sue parti e funzioni. Per Aristotele, tale inferiorità biologica è il risultato di un difetto termico: l’animale femmina, infatti, non è fisiologicamente in grado di portare a termine la cozione (pepsis), che invece il corpo maschile realizza pienamente, trasformando il sangue in sperma, grazie al calore vitale che gli è proprio.
Ciò fa sì che nel processo riproduttivo i due sessi esercitino ruoli molto differenti, anche se complementari: se nel ventre materno si forma e si sviluppa l’embrione, al quale la femmina garantisce un costante apporto di nutrimento prima e dopo il parto, è tuttavia il contributo maschile a “generare” il nuovo vivente. La femmina, infatti, mette a disposizione la materia necessaria alla riproduzione, il mestruo, mentre il maschio fornisce ciò che elabora, dà forma e anima questa materia.
Secondo Aristotele, in effetti, è lo pneuma contenuto nello sperma a indurre attivamente nella costituzione materiale del nascituro l’eidos, e dunque la sua specifica natura di vivente. In altre parole, lo pneuma contenuto nel seme maschile è dotato di una forma/anima identica a quella del genitore ed è in grado di trasmettere tale forma/anima alla materia messa a disposizione della femmina, ai fini della procreazione.
La femmina, dunque, rappresenta l’elemento passivo e l’oggetto del mutamento, il maschio il principio attivo e il soggetto della trasformazione.
Si tratta allora di chiarire, da un lato, quale sia precisamente il ruolo dello sperma nel concepimento e nella formazione del nascituro, dall’altro, come esso agisca in funzione dell’acquisizione della psyché da parte del nuovo vivente.
Di fronte alla difficoltà di rendere pensabile e di giustificare fisiologicamente l’azione dell’incorporeo sul corporeo il filosofo è costretto a concepire una “nuova fisiologia”, basata sui concetti di “calore naturale” e, appunto, di “pneuma innato”.
Ecco allora che, secondo Aristotele, una specie di aria calda –lo pneuma– viene prodotta incessantemente dall’azione del calore vitale sul sangue. Tale aria calda, disciolta nel sangue sotto forma di bollicine che mai si separano dall’elemento liquido, è pertanto presente in ogni parte dell’organismo, poiché i vasi sanguigni, che collegano il cuore, arché dei processi psichici e vitali, al resto del corpo, trasportano non solo il nutrimento, ma anche lo pneuma carico di calore vitale. Mentre poi quest’ultimo svolge le funzioni dell’anima nutritiva, allo pneuma vengono assegnate tutte le funzioni psichiche con una base biologica: escluse dunque le operazioni intellettive, esso funge da sostrato al calore vitale, trasferisce le sensazioni al cuore e dal cuore gli impulsi al movimento ed è causa della conservazione delle sostanze materiali all’interno del corpo dei viventi.
Nel pensiero aristotelico il concetto di “pneuma innato” riveste, dunque, un ruolo essenziale in tutti i grandi problemi biologici, da quello più generale della riproduzione, a quelli più specifici della trasmissione dell’anima e dei caratteri ereditari, del funzionamento degli organi di senso e della locomozione.
Proprio grazie a questa “nuova fisiologia”, Aristotele può affermare che l’acquisizione delle facoltà nutritiva e sensitiva da parte dell’embrione avviene attraverso il contributo paterno alla generazione.
Lasciato il corpo del genitore maschio, il seme, essendo costituito da acqua e pneuma, non partecipa materialmente al concepimento, divenendo cioè parte del feto, ma evapora, subito dopo aver trasmesso il movimento di cui è dotato. La materia femminile, la quale contiene a sua volta movimenti potenziali derivanti dal corpo della madre, riceve esclusivamente tale impulso, il quale altro non è se non una forma, cioè un’anima, in potenza. Quest’ultima, che risiede nell’organo che si genera per primo durante il processo embriogenetico, ovvero il cuore, archè dei processi psichici e vitali, presiede, attraverso il sangue, alla crescita dell’embrione, vale a dire alla costituzione delle sue parti materiali e organiche.
Secondo Aristotele, in un primo momento, cioè quando è ancora soltanto seme, il nascituro ha l’anima solo in potenza. Successivamente, dopo che, grazie all’unione dei contributi maschile e femminile, il nuovo vivente è divenuto propriamente embrione, quest’anima, trasmessagli dallo sperma paterno e, più precisamente, dallo pneuma in esso contenuto, si attualizza, cioè passa dalla potenza all’atto.
L’anima nutritiva è la prima ad attualizzarsi, nel momento in cui, al termine del suo processo di sviluppo, l’embrione esercita la capacità di nutrirsi autonomamente.
In seguito, anche la facoltà sensitiva passa dalla potenza all’atto, quando, alla fine dell’embriogenesi, si sono formati gli occhi e gli altri organi sensori, nei quali la stessa aisthetichè psyché è localizzata e dei quali essa costituisce l’essenza e la capacità operativa.
Se le facoltà “inferiori”, cioè quelle vegetativa e sensitiva, si manifestano per prime, attualizzandosi in un ordine condizionato dallo sviluppo anatomico e fisiologico del feto, l’apparizione dell’anima intellettiva solleva una difficoltà.
Per quanto riguarda il nous, infatti, Aristotele in quest’opera (736 b 27 – 28) si limita ad affermare, in modo alquanto criptico, quasi non fossero necessari ulteriori chiarimenti, che esso soltanto (monon) giunge dall’esterno (thurathen) ed è divino (theion), poiché l’attività corporea non ha nulla in comune con la sua attività.
In realtà, in base a quanto già sostenuto dal filosofo nel De anima, la noetiché psyché non può che trovarsi sin dall’inizio, cioè dal momento del concepimento, nel nuovo vivente, il quale deve possedere l’anima propria della specie umana. Questa, che è trasmessa all’embrione come le altre facoltà, cioè per il tramite di un veicolo materiale, lo sperma maschile, da principio è presente solo potenzialmente, ovvero come capacità, e contiene in sé le facoltà inferiori, la cui attualizzazione si verifica per prima, secondo l’ordine di formazione e di sviluppo di organi e apparati.
Nell’ordine di apparizione e attualizzazione delle facoltà, dunque, il nous occupa l’ultimo posto. È ragionevole supporre che, per il filosofo, il suo passaggio all’atto avvenga soltanto quando l’individuo svilupperà completamente la propria facoltà intellettuale e sarà in grado di utilizzarla. Da questo punto di vista, allora, l’attualizzazione del nous corona lo sviluppo psico – fisiologico dell’essere umano.
Tale interpretazione sarebbe confermata da quanto Aristotele afferma nelle opere dedicate all’etica e alla politica. Qui, in più di un’occasione, il logos si qualifica come l’elemento discriminante a livello biologico, etico, politico e sociale tra il modello collocato al centro dell’antropologia, l’uomo greco libero e adulto, e le figure che ruotano attorno ad esso, in un rapporto di inferiorità e subordinazione: il bambino, la donna, lo schiavo e il barbaro.
L’uomo è il solo vivente nel quale tutte le funzioni dell’anima sono integrate. Ciò avviene soltanto nell’uomo adulto, poiché l’embrione ha la forma d’anima della pianta e l’anima del bambino è assimilabile a quella delle bestie. La continuità della natura è tale che l’uomo dovrà essere successivamente pianta e bestia prima di essere propriamente anér, così che non ci sarà niente di assurdo nel trovare delle similitudini psichiche tra l’uomo (in particolare, il bambino) e gli animali.
Se lo sviluppo anatomico e fisiologico del vivente condiziona l’ordine di attualizzazione delle facoltà vegetativa e sensitiva, il pieno esercizio della facoltà intellettuale necessita, invece, di un intervento esterno: l’opera formativa del padre di famiglia e dell’ambiente sociale della polis. Ciò significa che il giovane uomo deve imparare a utilizzare correttamente il logos. A tal fine sono necessari, da un lato, l’insegnamento teorico, che presiede alla trasmissione del sapere e alla capacità di formare, comprendere e ordinare i concetti, dall’altro, l’impegno individuale e collettivo, che consente alla predisposizione naturale alla virtù (e alla felicità) di attuarsi e consolidarsi attraverso l’abitudine. E questo è possibile «[…] soltanto dopo un duraturo condizionamento dei desideri, una interiorizzazione delle norme familiari e sociali, una conformazione a quell’insieme di pratiche socialmente condivise in cui il soggetto cresce fin dall’infanzia» (M. Vegetti, L’etica degli antichi, Roma – Bari 2002, p. 180, integrazione mia).
Insegnamento
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Università degli studi di Trieste
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