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DISTURBI COGNITIVI E LINGUISTICI NELLA MALATTIA DI PARKINSON: NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCA
PIGNATTI, RICCARDO
2005-04-22
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Contributor(s)
CAUDEK, CORRADO
Abstract
Il lavoro si propone di studiare il funzionamento cognitivo nella Malattia di Parkinson (MP), con particolare riguardo alle abilità linguistiche. In una prima sessione, è stato svolto un lavoro di revisione della letteratura esistente, per delineare lo stato dell'arte sulle conoscenze relative al funzionamento cognitivo nella MP, con riferimento alle implicazioni clinico-diagnostiche e di ricerca. In sintesi, è stato evidenziato come non tutti i pazienti affetti da MP presentino deficit cognitivi, ma sia reperibile, piuttosto, un'ampia gamma di funzionamento cognitivo, che va dalla piena normalità alla demenza. In caso di deficit cognitivo, è generalmente possibile osservare un quadro di disturbi piuttosto omogeneo, riconducibile al malfunzionamento del lobo frontale. Tale quadro clinico è coerente col danneggiamento, nella MP, dei gangli della base, particolari strutture che intrattengono connessioni col lobo frontale. In particolare, appaiono precocemente danneggiate le funzioni cosiddette "esecutive", con l'apparire di una conclamata sindrome disesecutiva negli stadi avanzati, quando può venire a delinearsi un quadro di demenza "sottocorticale". Tale particolare tipo di deterioramento cognitivo presenta perciò caratteristiche distinte dalla demenza "corticale" di tipo alzheimeriano, in cui il principale danno cognitivo è a carico delle strutture mnesiche. Le funzioni linguistiche della MP sono da ritenersi intatte a livello macroscopico, poiché i pazienti non presentano fenomeni qualitativi di tipo afasico, ma manifestano, tuttavia, evidenti difficoltà di denominazione e rallentamento nell'eloquio, per spiegare le quali non è sufficiente l'attribuzione a fenomeni periferici di disartria o bradipsichismo. Si è perciò sottoposta a indagine sperimentale l'abilità di denominazione di oggetti e azioni, correlando i risultati ottenuti con l'analisi dell'eloquio spontaneo, per verificare se le difficoltà in compiti di denominazione portassero al riscontro effettivo di anomie o altri deficit nel linguaggio normalmente parlato. I soggetti affetti da MP sono stati posti a confronto con soggetti affetti da Malattia di Alzheimer (AD), ad essi parificati per variabili demografiche e livello di funzionamento cognitivo globale, e i risultati di entrambi i gruppi analizzati rispetto ai dati normativi ricavati da una popolazione priva di disturbi. I risultati hanno indicato che nella MP avviene un impoverimento del lessico di uscita delle azioni nel compito di denominazione, non attribuibile ad un deficit delle funzioni cognitive superiori, né riscontrabile a livello di eloquio spontaneo. Un differente pattern è stato ritrovato nell'AD, dove la diminuzione delle risorse cognitive produce effetti sulla denominazione ed è, in parte, espresso anche nell'uso di minor tipi di verbi nell'eloquio spontaneo. In un secondo esperimento, si è voluta confrontare l'abilità di denominazione di oggetti e azioni all'interno di due diversi gruppi di pazienti con MP e lieve deficit cognitivo, operando una distinzione per presenza o meno di disturbi del cammino. Infatti, poiché l'area di Broca risulta sovra-attivarsi nei soggetti con MP e presenza di disturbi del cammino, facendo le veci della danneggiata Area Supplementare Motoria, tale attivazione potrebbe favorire il mantenimento dell'abilità di denominazione di azioni in questi pazienti. Nonostante la difficoltà intrinseche nella denominazione di azioni, compito correlato all 'ingravescenza dei sintomi cognitivi, i soggetti con disturbo del cammino mostrano un miglior risparmio nella denominazione di· azioni rispetto a quella di oggetti, se confrontati con soggetti di pari livello cognitivo ma senza disturbi del cammino. Un'ipotesi che può essere formulata è che la particolare caduta nei verbi dei soggetti con MP rappresenti un deficit specifico, che colpisce il lessico fonologico di uscita di una particolare rete semantica, quella delle azioni, non particolarmente sensibile agli effetti del deterioramento cognitivo globale, ma piuttosto al funzionamento di aree motorie. Tale ipotesi sarebbe suffragata dall'adiacenza delle aree motori e danneggiate nella malattia con le aree linguistiche deputate alla denominazione delle azioni e dalle differenti prestazioni di soggetti con ugual funzionamento cognitivo, ma con diverse abilità motorie. Al contrario, il deficit di denominazione nell'AD, indagato nell'esperimento precedente, sarebbe aspecifico e risentirebbe del decadimento cognitivo in generale. Inoltre, alcuni dati presenti in letteratura e ripresi in questo studio fanno supporre, per i soggetti con MP, l'esistenza di difficoltà di attivazione delle risorse cognitive più che di inibizione del materiale interferente: ad esempio non sono tanto numerosi gli errori causati dall'interferenza ambientale, quanto rallentati i tempi di esecuzione (bradipsichismo nei test a tempo). Questo effetto sarebbe attribuibile ad una probabile alterazione nei livelli attentivi più "bassi", cioè prossimi all'attività motoria, secondo il modello del Sistema Attentivo Supervisore di Norman & Shallice. Quest'osservazione è strettamente connessa al razionale dell'utilizzo di pazienti con MP per valutare la realtà neuropsicologica di modelli cognitivi. Vagliare il cambiamento della performance in una supposta integrità (o quasi) delle funzioni cognitive superiori (ritrovabile nei MP non dementi) consente infatti di attribuire un peso, nella performance dei soggetti, al declino isolato delle risorse attentive e della rapidità di esecuzione, piuttosto che, soprattutto nel confronto con l'AD (specialmente iniziale), a ciò che possa risentire dei processi mnesici o del coinvolgimento di differenti strutture cerebrali. Infatti, i livelli cognitivamente più alti nella gerarchia dei sistemi di attenzione selettiva e divisa, legati all'attività dell'Esecutivo Centrale, sarebbero i primi a deteriorarsi nelle forme corticali come l'AD, a fronte di un risparmio dei sistemi gerarchicamente più bassi, rappresentati dai tempi di reazione visuo-motoria e dalla velocità di risposta. Al contrario, i sistemi più superficiali, legati ali' attivazione motoria sarebbero risparmiati nelle forme corticali e danneggiati per primi in quelle sottocorticali. Questa dissociazione è perciò rilevante al fine della conduzione di studi comparati tra le due patologie e per la conduzione delle ricerche nell'ambito della modellistica cognitiva. Il lavoro di tesi è perciò proseguito con l'indagine del funzionamento cognitivo di soggetti con MP in compiti lessicali che richiedono una particolare competenza sintattica. Sono stati utilizzati due particolari protocolli linguistici, di recente strutturazione: il "Null Subject Test" e il "Test di prototipicità nominale". Il primo test consente lo studio della conservazione dei parametri sintattici in un compito che satura la memoria a breve termine: ai soggetti viene richiesto di ripetere frasi in cui il soggetto della subordinata può essere omesso, mantenendo o meno il significato della frase o la struttura sintattica del periodo. Il secondo test prevede il completamento di differenti tipi di frasi, tramite una decisione relativa ali 'uso dell'articolo determinativo, con distinzione tra nomi propri e nomi comuni, di genere maschile o femminile. Il test è stato integrato con una seconda prova che ha richiesto l'esecuzione di un giudizio di correttezza grammaticale in frasi che utilizzavano particolari articoli in corrispondenza di nomi massa (es: latte) o numerabili (es: topo). I risultati di entrambe le prove hanno potuto far concludere che i soggetti con MP, sebbene non mostrino deterioramento cognitivo o fenomeni di tipo afasico o agrammatico, esperiscano tuttavia un calo delle risorse cognitive, particolarmente sensibile alle richieste più complesse sul piano sintattico, secondo un gradiente di difficoltà concordante con il livello di complessità di alcune regole della grammatica italiana. Nonostante il ruolo attribuito ai gangli della base nella generazione delle regole sintattiche, il danno nella MP non sembra però evidenziare un ruolo di tali strutture nella conservazione delle regole grammaticali. Difatti, sia il tipico errore di omissione del soggetto nella subordinata che la conservazione dell'applicazione dei corretti articoli nell'uso dei nomi massa, farebbero supporre che le difficoltà patite dai MP nella comprensione delle frasi sarebbero di preferenza da attribuire al calo delle risorse attentive e alla riduzione della memoria di lavoro, piuttosto che a un deficit di elaborazione grammaticale. La similitudine dei risultati dei MP con altre patologie sottocorticali (SM) e, al contrario, la differenziazione dai risultati ottenuti da soggetti con patologia degenerativa corticale (AD) sembrano oltremodo confermare la peculiarità di tali disturbi. Le teorie linguistiche su cui si sono basate queste indagini sulla MP appaiono inoltre convalidate nella loro "realtà psicologica"; difatti, gli errori commessi dai pazienti rispecchiano, rispettivamente, le caratteristiche specifiche della lingua italiana nel consentire l'omissione del soggetto nella subordinata, e il gradiente di difficoltà nella scala di prototipicità nominale di Longobardi. Le performance di tali sistemi (lievemente) danneggiati risulterebbero perciò predicibili alla luce delle teorie linguistiche prese in esame. L'insieme degli studi qui proposti appare quindi confermare ed evidenziare una specificità del disturbo cognitivo nella MP, rispetto al decadimento di tipo AD di grado iniziale, anche quando il livello di funzionamento cognitivo globale tra i due gruppi appare comparabile. Difformità nel funzionamento cognitivo dei soggetti con MP sarebbero piuttosto legate alla diversa sede degenerativa e alla diversa "distribuzione" del deficit. Tali deficit appaiono dipendere in modo particolare da caratteristiche legate agli aspetti motori della MP, che rendono possibile l'individuazione di più sottotipi con caratteristiche cognitive differenti. Appare plausibile, infine, supporre un parallelismo tra il bradipsichismo della MP e le disfunzioni cognitive causate dalle lesioni cerebellari: in entrambi i casi, si osserva difatti una riduzione, più o meno marcata, dell'attività cognitiva ma non la perdita della funzione stessa.
Insegnamento
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Università degli studi di Trieste
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