in/Tigor 15 Da Lenin a Lennon. Come jazz, rock, beat & pop contribuirono alla caduta della Cortina di Ferro

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    Da Lenin a Lennon. Come jazz, rock, beat & pop contribuirono alla caduta della Cortina di Ferro
    (EUT Edizioni Università di Trieste, 2017)
    Ambrosi, Eugenio
    Non c’è probabilmente una storia del rock che non si fermi, nella ricostruzione complessiva del movimento, di fronte alla Cortina di Ferro che a lungo ha diviso il mondo in due parti: hic sunt leones, di qua i teenager e i figli dei fiori, di là quelli della Komsomol sovietica. Solo i Beatles non si esibirono oltrecortina, anche se il Ministro sovietico della cultura in visita a Londra nel 1965 accennò alla possibilità di farli suonare in URSS, al punto che tra i giovani circolò la voce di un presunto concerto segreto dei “Fab Four” riservato alle autorità sovietiche durante il World Tour del 1966, in occasione dello scalo in Alaska. Le canzoni dei Beatles furono da subito le più amate e ballate dai giovani e le più suonate da tutte le migliaia di “gruppi di chitarre elettriche” nati un po’ ovunque nei paesi dell’Europa comunista. Non senza rischi personali: dal taglio forzato dei capelli al sequestro di dischi e radio, dall’espulsione dalle scuole allo scioglimento delle band, dai campi di lavoro rieducativi al servizio militare in Siberia. Un noto conduttore radiofonico rumeno vide immediatamente soppresso il proprio programma per aver trasmesso Back in USSR dei Beatles, canzone invisa al Partito; analoga sorte toccò dall’altra parte dell’oceano a un dj cubano che si era azzardato a passare alla radio un pezzo dell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Per il regime castrista i britannici Beatles erano infatti “sporchi Yankees”! Tutto ciò mentre in Occidente i ragazzi dibattevano su chi fossero i più grandi: i Beatles o i Rolling Stones?
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