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Ritratto del Rettore Giacomo Borruso

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Preside della facoltà di Economia dal dicembre 1984, nel giugno 1990 Giacomo Borruso fu costretto a dimettersi per accettare la carica di Rettore che gli venne riconfermata nel triennio seguente. Di origine triestina, Borruso si adoperò attivamente per la riorganizzazione dei corsi di studio e il contestuale sviluppo delle strutture universitarie. La nascita delle lauree brevi, l’attivazione di corsi al di fuori della sede triestina (con i poli di Gorizia e Pordenone) e, parallelamente, il riatto di strutture urbane come i padiglioni dell’ex Ospedale psichiatrico messi a disposizione dell’Università dalla Provincia già alla fine degli anni Settanta sono alcune delle sfide poste al Rettore da esigenze alternativamente di carattere nazionale e locale. Accanto a questioni pragmatiche come quelle accennate, nel 1991 Borruso accetta con entusiasmo la sfida lanciata da Rita Levi Montalcini durante la cerimonia indetta per il conferimento della laurea honoris causa in Medicina. Nel discorso di ringraziamento, la premio Nobel sollecita infatti la redazione di una Magna Charta dei doveri finalizzata alla cooperazione globale in vista dell’instaurazione di condizioni di vita umane nel rispetto dell’ambiente naturale. Il messaggio così espresso suggerisce al Rettore la costituzione di un gruppo di lavoro formato da scienziati di fama internazionale che, riunitisi per ben due volte nel capoluogo giuliano, compilano il prezioso documento i cui principi, diffusi dal Consiglio internazionale dei doveri umani (inizialmente presieduto proprio dalla Montalcini), vengono sottoposti all’Onu per affiancare la Carta dei Diritti dell’uomo. Appoggiato con la mano destra a un ripiano scuro, Borruso è rappresentato a busto intero, il corpo leggermente girato verso destra, lo sguardo rivolto all’osservatore. Nonostante esibisca l’abito di ermellino ogni severità o distacco sono eliminati dalla sua figura grazie all’enfasi con cui la pittrice si sofferma sul volto del personaggio, dominato dall’azzurro degli occhi che illuminano l’intera composizione. Usando un colore ricco, estremamente sensibile alle sfumature chiaroscurali, l’autrice sottolinea la serenità del protagonista attraverso la centralità assegnata al volto, alludendo alla laboriosità dello studioso e, parallelamente, dell’uomo attento alle questioni pratiche inerenti l’Ateneo nel posizionamento della mano in primo piano: un espediente, fra l’altro, che facilita “l’ingresso” dell’osservatore nel dipinto annullando la distanza fra superficie pittorica e mondo reale. Stagliato su un fondo monocromo percettibilmente schiarito lungo i bordi della figura, il Rettore Borruso è definito da pennellate puntuali la cui precisione è rafforzata dalla luminosità propagata dal bianco della veste: un esteso punto luce che accresce la plasticità del personaggio e richiama alla mente esempi della precedente ritrattistica veneta. Ed è in effetti l’arte classica uno dei punti di riferimento di Erica De Rosa. La pittrice, udinese di nascita ma da lungo tempo residente a Venezia, esprime questa passione per i maestri del passato sia negli affreschi e dipinti in stile con cui esplica la propria attività di decoratrice di interni, sia nella realizzazione di copie dall’antico.
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