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Sepolcro della famiglia Tossia

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Luigi Rossini (cfr. N. Pirazzoli, Luigi Rossini: 1790-1857. Roma antica restaurata, Ravenna, Essegi, 1990; C. Collina, L’attività incisoria di Luigi Rossini, in L’arti per via: percorsi nella catalogazione delle opere grafiche, a cura di G. Benassati, Bologna, Editrice Compositori, 2000, pp. 87-96) è un incisore ravennate nato nel 1790; frequenta a Bologna l’Accademia di Belle Arti e la bottega di Giuseppe Antonio Basoli. Ricorda infatti il quadraturista bolognese nel 1806 che “venne Rossini di Ravenna a Bologna/ che fu mio scolaro e subalterno che divenne/ poi alunno in Roma per l’architettura” (Vita artistica, in La vita artistica di Antonio Basoli, a cura di F. Farneti, V. Riccardi Scassellati Sforzolini, Argelato (Bo), Minerva Edizioni 2006, cc. 27 v-28). Nel 1810 si trasferisce a Roma dove inizialmente cerca di diventare architetto, per poi intraprendere una strada diversa, dedicandosi all’arte dell’incisione, seguendo le orme di Piranesi, prendendo a modello le acqueforti del maestro, soprattutto quelle di contenuto archeologizzante. A partire dalla fine degli anni ’20 inizia infatti la serie delle raccolte di incisioni con vedute dei monumenti antichi e moderni di Roma e dei dintorni, che documentano – con grande attenzione filologica – l’interesse di quegli anni per le rovine inserite nel loro contesto naturale. Di gusto pienamente romantico il tempio in rovina, con la vegetazione che si insinua nella costruzione antica squarciandone i lineamenti, e la presenza di qualche figura umana: l’artista visto di spalle con il cavalletto e due bucoliche figure di contadini. Da notare anche che Rossini apponeva spesso, in calce alle sue incisioni, l’iscrizione d’après nature, come fosse un pittore di paesaggi che in qualche modo sottolineava la ripresa dal vero dei propri soggetti, esaltandone così l’aspetto fondamentalmente documentaristico, e arricchendo le stampe di indicazioni storiche desunte dai più famosi eruditi e archeologi del tempo come Carlo Fea e Antonio Nibby (Collina 2000, pp. 91-92). L’incisione raffigura il Sepolcro della famiglia Tossia, detto dal volgo “Tempio della Tosse”, nei pressi di Tivoli, eseguita da Rossini nel 1825 e appartiene alla serie di settantatré vedute della raccolta intitolata Le antichità dei contorni di Roma ossia le più famose città del Lazio…, raccolte, descritte, disegnate e incise da Luigi Rossini stampate a Roma tra 1824 e 1826. Come ricorda Antonio Nibby nel Viaggio Antiquario ne’ contorni di Roma, pubblicato nel 1819 (capo XI), si tratta del “Sepolcro de’ Tossj […] un edificio rotondo volgarmente chiamato il Tempio della Tosse. Di questa denominazione non solo non v’è alcuna prova fondata sopra antichi scrittori, o sopra marmi rinvenuti; ma piuttosto si riconosce la sua insufficienza dalla costruzione stessa dell’edificio, che non mostra essere stato un tempio. Imperrochè i tempj doveano avere un portico, essendo di rito, e questo non ne ha alcuno, e non l’ebbe mai; i tempj erano rivolti alla strada, e questo, che si trova quasi sull’orlo della via ha la sua porta rivolta nella parte opposta, come i sepolcri; quindi piuttosto, che tempio è un sepolcro, forse della famiglia Tossia”. La matrice calcografica (Istituto Nazionale della grafica [ING], inv. 1709/105) si conserva, assieme alla stampa (ING, inv. CL 2376/17854) all’Istituto Nazionale della Grafica di Roma. Evidenti gli influssi della poetica piranesiana, anche per la scelta del soggetto, già inciso nel 1763 da Giambattista Piranesi nella Veduta del Tempio, detto della Tosse su la via Tiburtina (ING, inv. fondo Piranesi, CL 2416/19495; H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, a cura di M. Calvesi e A. Monferini, trad. di G. Guglielmi, Bologna, Alfa, 1967, p. 342, cat. 774) appartenente alla serie delle Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Piranesi, ma differenti sono le inquadrature e gli effetti chiaroscurali, come sottolinea lo stesso Rossini quando afferma di aver cercato di “ritrarre in una maniera tutta diversa da altri, cioè prospetticamente alla pittorica, e con quello effetto di chiaro e scuro e forza di tinte che i secoli hanno impresso sulla fronte dei monumenti […] la novità dei punti di vista e la più grande e scrupolosa esattezza nei contorni delle linee (Luigi Rossini… 1943, p. 25). Si assiste quindi a un recupero della lezione piranesiana che però viene rielaborata con atteggiamento diverso, più attento alla resa topograficamente corretta e alla accuratezza oggettiva della restituzione archeologica dei monumenti descritti, frutto di un clima attento alla conservazione e al restauro dei monumenti, che caratterizzava la Roma dei primi decenni dell’Ottocento. Il metodo di lavoro, contraddistinto da un interesse quasi filologico verso la storia dei monumenti, veniva messo in evidenza già dalla stampa coeva che sottolineava come nelle incisioni di Rossini si potesse “agevolmente osservare lo stato attuale dei monumenti, i restauri, le elevazioni; poiché l’autore ha intorno a ciò raccolto da vari anni molte memorie, e conserva disegni fatti sui luoghi in occasione di moltissimi cavamenti, per non dire di altre cose speciali che le faranno bello ornamento” (Il Saggiatore. Giornale romano di Storia, letteratura, Belle Arti…, diretto e compilato da A. Gennarelli e P. Marzio, Roma, Tipografia della Minerva, 1844, p. 204).Luigi Rossini (cfr. N. Pirazzoli, Luigi Rossini: 1790-1857. Roma antica restaurata, Ravenna, Essegi, 1990; C. Collina, L’attività incisoria di Luigi Rossini, in L’arti per via: percorsi nella catalogazione delle opere grafiche, a cura di G. Benassati, Bologna, Editrice Compositori, 2000, pp. 87-96) è un incisore ravennate nato nel 1790; frequenta a Bologna l’Accademia di Belle Arti e la bottega di Giuseppe Antonio Basoli. Ricorda infatti il quadraturista bolognese nel 1806 che “venne Rossini di Ravenna a Bologna/ che fu mio scolaro e subalterno che divenne/ poi alunno in Roma per l’architettura” (Vita artistica, in La vita artistica di Antonio Basoli, a cura di F. Farneti, V. Riccardi Scassellati Sforzolini, Argelato (Bo), Minerva Edizioni 2006, cc. 27 v-28). Nel 1810 si trasferisce a Roma dove inizialmente cerca di diventare architetto, per poi intraprendere una strada diversa, dedicandosi all’arte dell’incisione, seguendo le orme di Piranesi, prendendo a modello le acqueforti del maestro, soprattutto quelle di contenuto archeologizzante. A partire dalla fine degli anni ’20 inizia infatti la serie delle raccolte di incisioni con vedute dei monumenti antichi e moderni di Roma e dei dintorni, che documentano – con grande attenzione filologica – l’interesse di quegli anni per le rovine inserite nel loro contesto naturale. Di gusto pienamente romantico il tempio in rovina, con la vegetazione che si insinua nella costruzione antica squarciandone i lineamenti, e la presenza di qualche figura umana: l’artista visto di spalle con il cavalletto e due bucoliche figure di contadini. Da notare anche che Rossini apponeva spesso, in calce alle sue incisioni, l’iscrizione d’après nature, come fosse un pittore di paesaggi che in qualche modo sottolineava la ripresa dal vero dei propri soggetti, esaltandone così l’aspetto fondamentalmente documentaristico, e arricchendo le stampe di indicazioni storiche desunte dai più famosi eruditi e archeologi del tempo come Carlo Fea e Antonio Nibby (Collina 2000, pp. 91-92). L’incisione raffigura il Sepolcro della famiglia Tossia, detto dal volgo “Tempio della Tosse”, nei pressi di Tivoli, eseguita da Rossini nel 1825 e appartiene alla serie di settantatré vedute della raccolta intitolata Le antichità dei contorni di Roma ossia le più famose città del Lazio…, raccolte, descritte, disegnate e incise da Luigi Rossini stampate a Roma tra 1824 e 1826. Come ricorda Antonio Nibby nel Viaggio Antiquario ne’ contorni di Roma, pubblicato nel 1819 (capo XI), si tratta del “Sepolcro de’ Tossj […] un edificio rotondo volgarmente chiamato il Tempio della Tosse. Di questa denominazione non solo non v’è alcuna prova fondata sopra antichi scrittori, o sopra marmi rinvenuti; ma piuttosto si riconosce la sua insufficienza dalla costruzione stessa dell’edificio, che non mostra essere stato un tempio. Imperrochè i tempj doveano avere un portico, essendo di rito, e questo non ne ha alcuno, e non l’ebbe mai; i tempj erano rivolti alla strada, e questo, che si trova quasi sull’orlo della via ha la sua porta rivolta nella parte opposta, come i sepolcri; quindi piuttosto, che tempio è un sepolcro, forse della famiglia Tossia”. La matrice calcografica (Istituto Nazionale della grafica [ING], inv. 1709/105) si conserva, assieme alla stampa (ING, inv. CL 2376/17854) all’Istituto Nazionale della Grafica di Roma. Evidenti gli influssi della poetica piranesiana, anche per la scelta del soggetto, già inciso nel 1763 da Giambattista Piranesi nella Veduta del Tempio, detto della Tosse su la via Tiburtina (ING, inv. fondo Piranesi, CL 2416/19495; H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, a cura di M. Calvesi e A. Monferini, trad. di G. Guglielmi, Bologna, Alfa, 1967, p. 342, cat. 774) appartenente alla serie delle Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Piranesi, ma differenti sono le inquadrature e gli effetti chiaroscurali, come sottolinea lo stesso Rossini quando afferma di aver cercato di “ritrarre in una maniera tutta diversa da altri, cioè prospetticamente alla pittorica, e con quello effetto di chiaro e scuro e forza di tinte che i secoli hanno impresso sulla fronte dei monumenti […] la novità dei punti di vista e la più grande e scrupolosa esattezza nei contorni delle linee (Luigi Rossini… 1943, p. 25). Si assiste quindi a un recupero della lezione piranesiana che però viene rielaborata con atteggiamento diverso, più attento alla resa topograficamente corretta e alla accuratezza oggettiva della restituzione archeologica dei monumenti descritti, frutto di un clima attento alla conservazione e al restauro dei monumenti, che caratterizzava la Roma dei primi decenni dell’Ottocento. Il metodo di lavoro, contraddistinto da un interesse quasi filologico verso la storia dei monumenti, veniva messo in evidenza già dalla stampa coeva che sottolineava come nelle incisioni di Rossini si potesse “agevolmente osservare lo stato attuale dei monumenti, i restauri, le elevazioni; poiché l’autore ha intorno a ciò raccolto da vari anni molte memorie, e conserva disegni fatti sui luoghi in occasione di moltissimi cavamenti, per non dire di altre cose speciali che le faranno bello ornamento” (Il Saggiatore. Giornale romano di Storia, letteratura, Belle Arti…, diretto e compilato da A. Gennarelli e P. Marzio, Roma, Tipografia della Minerva, 1844, p. 204).Luigi Rossini (cfr. N. Pirazzoli, Luigi Rossini: 1790-1857. Roma antica restaurata, Ravenna, Essegi, 1990; C. Collina, L’attività incisoria di Luigi Rossini, in L’arti per via: percorsi nella catalogazione delle opere grafiche, a cura di G. Benassati, Bologna, Editrice Compositori, 2000, pp. 87-96) è un incisore ravennate nato nel 1790; frequenta a Bologna l’Accademia di Belle Arti e la bottega di Giuseppe Antonio Basoli. Ricorda infatti il quadraturista bolognese nel 1806 che “venne Rossini di Ravenna a Bologna/ che fu mio scolaro e subalterno che divenne/ poi alunno in Roma per l’architettura” (Vita artistica, in La vita artistica di Antonio Basoli, a cura di F. Farneti, V. Riccardi Scassellati Sforzolini, Argelato (Bo), Minerva Edizioni 2006, cc. 27 v-28). Nel 1810 si trasferisce a Roma dove inizialmente cerca di diventare architetto, per poi intraprendere una strada diversa, dedicandosi all’arte dell’incisione, seguendo le orme di Piranesi, prendendo a modello le acqueforti del maestro, soprattutto quelle di contenuto archeologizzante. A partire dalla fine degli anni ’20 inizia infatti la serie delle raccolte di incisioni con vedute dei monumenti antichi e moderni di Roma e dei dintorni, che documentano – con grande attenzione filologica – l’interesse di quegli anni per le rovine inserite nel loro contesto naturale. Di gusto pienamente romantico il tempio in rovina, con la vegetazione che si insinua nella costruzione antica squarciandone i lineamenti, e la presenza di qualche figura umana: l’artista visto di spalle con il cavalletto e due bucoliche figure di contadini. Da notare anche che Rossini apponeva spesso, in calce alle sue incisioni, l’iscrizione d’après nature, come fosse un pittore di paesaggi che in qualche modo sottolineava la ripresa dal vero dei propri soggetti, esaltandone così l’aspetto fondamentalmente documentaristico, e arricchendo le stampe di indicazioni storiche desunte dai più famosi eruditi e archeologi del tempo come Carlo Fea e Antonio Nibby (Collina 2000, pp. 91-92). L’incisione raffigura il Sepolcro della famiglia Tossia, detto dal volgo “Tempio della Tosse”, nei pressi di Tivoli, eseguita da Rossini nel 1825 e appartiene alla serie di settantatré vedute della raccolta intitolata Le antichità dei contorni di Roma ossia le più famose città del Lazio…, raccolte, descritte, disegnate e incise da Luigi Rossini stampate a Roma tra 1824 e 1826. Come ricorda Antonio Nibby nel Viaggio Antiquario ne’ contorni di Roma, pubblicato nel 1819 (capo XI), si tratta del “Sepolcro de’ Tossj […] un edificio rotondo volgarmente chiamato il Tempio della Tosse. Di questa denominazione non solo non v’è alcuna prova fondata sopra antichi scrittori, o sopra marmi rinvenuti; ma piuttosto si riconosce la sua insufficienza dalla costruzione stessa dell’edificio, che non mostra essere stato un tempio. Imperrochè i tempj doveano avere un portico, essendo di rito, e questo non ne ha alcuno, e non l’ebbe mai; i tempj erano rivolti alla strada, e questo, che si trova quasi sull’orlo della via ha la sua porta rivolta nella parte opposta, come i sepolcri; quindi piuttosto, che tempio è un sepolcro, forse della famiglia Tossia”. La matrice calcografica (Istituto Nazionale della grafica [ING], inv. 1709/105) si conserva, assieme alla stampa (ING, inv. CL 2376/17854) all’Istituto Nazionale della Grafica di Roma. Evidenti gli influssi della poetica piranesiana, anche per la scelta del soggetto, già inciso nel 1763 da Giambattista Piranesi nella Veduta del Tempio, detto della Tosse su la via Tiburtina (ING, inv. fondo Piranesi, CL 2416/19495; H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, a cura di M. Calvesi e A. Monferini, trad. di G. Guglielmi, Bologna, Alfa, 1967, p. 342, cat. 774) appartenente alla serie delle Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Piranesi, ma differenti sono le inquadrature e gli effetti chiaroscurali, come sottolinea lo stesso Rossini quando afferma di aver cercato di “ritrarre in una maniera tutta diversa da altri, cioè prospetticamente alla pittorica, e con quello effetto di chiaro e scuro e forza di tinte che i secoli hanno impresso sulla fronte dei monumenti […] la novità dei punti di vista e la più grande e scrupolosa esattezza nei contorni delle linee (Luigi Rossini… 1943, p. 25). Si assiste quindi a un recupero della lezione piranesiana che però viene rielaborata con atteggiamento diverso, più attento alla resa topograficamente corretta e alla accuratezza oggettiva della restituzione archeologica dei monumenti descritti, frutto di un clima attento alla conservazione e al restauro dei monumenti, che caratterizzava la Roma dei primi decenni dell’Ottocento. Il metodo di lavoro, contraddistinto da un interesse quasi filologico verso la storia dei monumenti, veniva messo in evidenza già dalla stampa coeva che sottolineava come nelle incisioni di Rossini si potesse “agevolmente osservare lo stato attuale dei monumenti, i restauri, le elevazioni; poiché l’autore ha intorno a ciò raccolto da vari anni molte memorie, e conserva disegni fatti sui luoghi in occasione di moltissimi cavamenti, per non dire di altre cose speciali che le faranno bello ornamento” (Il Saggiatore. Giornale romano di Storia, letteratura, Belle Arti…, diretto e compilato da A. Gennarelli e P. Marzio, Roma, Tipografia della Minerva, 1844, p. 204).Luigi Rossini (cfr. N. Pirazzoli, Luigi Rossini: 1790-1857. Roma antica restaurata, Ravenna, Essegi, 1990; C. Collina, L’attività incisoria di Luigi Rossini, in L’arti per via: percorsi nella catalogazione delle opere grafiche, a cura di G. Benassati, Bologna, Editrice Compositori, 2000, pp. 87-96) è un incisore ravennate nato nel 1790; frequenta a Bologna l’Accademia di Belle Arti e la bottega di Giuseppe Antonio Basoli. Ricorda infatti il quadraturista bolognese nel 1806 che “venne Rossini di Ravenna a Bologna/ che fu mio scolaro e subalterno che divenne/ poi alunno in Roma per l’architettura” (Vita artistica, in La vita artistica di Antonio Basoli, a cura di F. Farneti, V. Riccardi Scassellati Sforzolini, Argelato (Bo), Minerva Edizioni 2006, cc. 27 v-28). Nel 1810 si trasferisce a Roma dove inizialmente cerca di diventare architetto, per poi intraprendere una strada diversa, dedicandosi all’arte dell’incisione, seguendo le orme di Piranesi, prendendo a modello le acqueforti del maestro, soprattutto quelle di contenuto archeologizzante. A partire dalla fine degli anni ’20 inizia infatti la serie delle raccolte di incisioni con vedute dei monumenti antichi e moderni di Roma e dei dintorni, che documentano – con grande attenzione filologica – l’interesse di quegli anni per le rovine inserite nel loro contesto naturale. Di gusto pienamente romantico il tempio in rovina, con la vegetazione che si insinua nella costruzione antica squarciandone i lineamenti, e la presenza di qualche figura umana: l’artista visto di spalle con il cavalletto e due bucoliche figure di contadini. Da notare anche che Rossini apponeva spesso, in calce alle sue incisioni, l’iscrizione d’après nature, come fosse un pittore di paesaggi che in qualche modo sottolineava la ripresa dal vero dei propri soggetti, esaltandone così l’aspetto fondamentalmente documentaristico, e arricchendo le stampe di indicazioni storiche desunte dai più famosi eruditi e archeologi del tempo come Carlo Fea e Antonio Nibby (Collina 2000, pp. 91-92). L’incisione raffigura il Sepolcro della famiglia Tossia, detto dal volgo “Tempio della Tosse”, nei pressi di Tivoli, eseguita da Rossini nel 1825 e appartiene alla serie di settantatré vedute della raccolta intitolata Le antichità dei contorni di Roma ossia le più famose città del Lazio…, raccolte, descritte, disegnate e incise da Luigi Rossini stampate a Roma tra 1824 e 1826. Come ricorda Antonio Nibby nel Viaggio Antiquario ne’ contorni di Roma, pubblicato nel 1819 (capo XI), si tratta del “Sepolcro de’ Tossj […] un edificio rotondo volgarmente chiamato il Tempio della Tosse. Di questa denominazione non solo non v’è alcuna prova fondata sopra antichi scrittori, o sopra marmi rinvenuti; ma piuttosto si riconosce la sua insufficienza dalla costruzione stessa dell’edificio, che non mostra essere stato un tempio. Imperrochè i tempj doveano avere un portico, essendo di rito, e questo non ne ha alcuno, e non l’ebbe mai; i tempj erano rivolti alla strada, e questo, che si trova quasi sull’orlo della via ha la sua porta rivolta nella parte opposta, come i sepolcri; quindi piuttosto, che tempio è un sepolcro, forse della famiglia Tossia”. La matrice calcografica (Istituto Nazionale della grafica [ING], inv. 1709/105) si conserva, assieme alla stampa (ING, inv. CL 2376/17854) all’Istituto Nazionale della Grafica di Roma. Evidenti gli influssi della poetica piranesiana, anche per la scelta del soggetto, già inciso nel 1763 da Giambattista Piranesi nella Veduta del Tempio, detto della Tosse su la via Tiburtina (ING, inv. fondo Piranesi, CL 2416/19495; H. Focillon, Giovanni Battista Piranesi, a cura di M. Calvesi e A. Monferini, trad. di G. Guglielmi, Bologna, Alfa, 1967, p. 342, cat. 774) appartenente alla serie delle Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Piranesi, ma differenti sono le inquadrature e gli effetti chiaroscurali, come sottolinea lo stesso Rossini quando afferma di aver cercato di “ritrarre in una maniera tutta diversa da altri, cioè prospetticamente alla pittorica, e con quello effetto di chiaro e scuro e forza di tinte che i secoli hanno impresso sulla fronte dei monumenti […] la novità dei punti di vista e la più grande e scrupolosa esattezza nei contorni delle linee (Luigi Rossini… 1943, p. 25). Si assiste quindi a un recupero della lezione piranesiana che però viene rielaborata con atteggiamento diverso, più attento alla resa topograficamente corretta e alla accuratezza oggettiva della restituzione archeologica dei monumenti descritti, frutto di un clima attento alla conservazione e al restauro dei monumenti, che caratterizzava la Roma dei primi decenni dell’Ottocento. Il metodo di lavoro, contraddistinto da un interesse quasi filologico verso la storia dei monumenti, veniva messo in evidenza già dalla stampa coeva che sottolineava come nelle incisioni di Rossini si potesse “agevolmente osservare lo stato attuale dei monumenti, i restauri, le elevazioni; poiché l’autore ha intorno a ciò raccolto da vari anni molte memorie, e conserva disegni fatti sui luoghi in occasione di moltissimi cavamenti, per non dire di altre cose speciali che le faranno bello ornamento” (Il Saggiatore. Giornale romano di Storia, letteratura, Belle Arti…, diretto e compilato da A. Gennarelli e P. Marzio, Roma, Tipografia della Minerva, 1844, p. 204).
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