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Sull’utilizzo fuorviante d’un termine. Il caso dei vizi della pubblicità
Cossutta, Marco
2010
Abstract
Il testo presentato vuole richiamare l’attenzione, prendendo le mosse da un recente volume collettaneo, sul portato semantico del termine pubblicità, indistintamente utilizzato nel parlare comune per significare fenomeni differenti ed opposti: dalle martellanti interruzioni pubblicitarie che, inquinando i programmi televisivi, inducono nello spettatore una sorta di dipendenza psicologica nei confronti di determinati prodotti, alla designazione di un’esperienza come comune a tutta la collettività. Si ravvisa come il termine pubblicità ritrovi la propria radice nel pubblico e, per tanto, designa ciò che pubblico è. Ora il termine, proprio se legato alle degenerazioni di cui sopra, definisce ogni tentativo di accaparramento egoistico dell’attenzione altrui, perdendo in tal modo ogni contatto con l’idea di comunità e di quel bene comune a questa legata, che rappresenterebbe l’essenza di una pubblicità correttamente intesa. Si propone, pertanto, discutendo di vizi e di virtù, di sostituire tale termine nella designazione dei caroselli televisivi con il termine reclamistica, al fine di non continuare a generale confusione fra ciò che è pubblico e ciò che, invece, è privato.
Series
Tigor: rivista di scienze della comunicazione A. II (2010) n.2 (luglio-dicembre);
Publisher
EUT Edizioni Università di Trieste
Languages
it
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