Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche

Settori scientifico disciplinari compresi nell'area 10:

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  • Publication
    Ritratto di un'élite dirigente. I democristiani di Trieste 1949-1966
    (Università degli studi di Trieste, 2011-03-29)
    D'Amelio, Diego
    ;
    Pupo, Raoul
    ;
    Vinci, Anna Maria
    Questa tesi di dottorato si pone l’obiettivo di ricostruire la vicenda e il profilo del ceto dirigente politico-amministrativo espresso dalla Democrazia cristiana di Trieste, dal dopoguerra alla metà degli anni Sessanta. L’élite democristiana viene qui assunta come caso di studio: l’attenzione alla dimensione locale punta a contribuire, più generalmente, all’analisi storiografica rivolta negli ultimi anni alle classi dirigenti repubblicane; al ruolo dei partiti nella transizione tra fascismo e democrazia; al funzionamento dei meccanismi di rappresentanza e di integrazione fra centro e periferia. La tesi presenta linee interpretative e spunti metodologici innovativi, resi possibili da un approccio interdisciplinare che unisce storia e scienze sociali (statistica e sociologia). Il testo è diviso in due sezioni: la prima ripercorre la parabola della DC e del movimento cattolico politico di Trieste, la fase di formazione dei suoi protagonisti, le ragioni del consenso e il progetto di fondo perseguito. La seconda parte definisce in termini sociologici il profilo dell’élite – età, provenienza, studi e professione – considerando nel contempo estrazione sociale, preparazione, canali di reclutamento, fattori di legittimazione, risultati elettorali, schieramenti correntizi, ruolo degli istriani (insieme bacino di consenso e serbatoio di classe dirigente), processi di occupazione del «potere», ricambio politico-generazionale e sviluppo delle carriere. Informazioni dettagliate sono state raccolte su un campione di circa 200 persone, ovvero su coloro i quali diedero forma alla classe dirigente cattolica nell’arco cronologico prescelto. Questi elementi ricoprirono ruoli decisionali – con gradi di responsabilità diversi – nello scudo crociato, nelle realtà elettive e in quelle di nomina politica: la ricerca ha permesso di ricostruirne fisionomia socio-anagrafica, presenze negli enti locali e negli organi di partito, schieramento correntizio e reticoli collaterali. Sui detentori degli incarichi più rilevanti, circa 70 persone, è stata inoltre avviata una più approfondita analisi delle biografie e delle carriere. Le fonti utilizzate sono numerose: archivio provinciale del partito (recentemente messo a disposizione dall’Istituto Sturzo e mai utilizzato sistematicamente prima d’ora), stampa, anagrafe, archivio comunale e diocesano, fondi personali, memorialistica e interviste. La codifica e l’esame dei dati ha consentito di realizzare a supporto dell’esposizione circa 20 tabelle e oltre 70 biografie, contenute in due appendici poste alla fine del volume. Il testo mette in luce il quadro d’insieme del ceto democristiano: la composizione degli organismi elettivi e di partito, le caratteristiche individuali e di gruppo dell’élite, il rapporto tra militanza e ruoli pubblici, il profilo delle correnti e le proporzioni della geografia politica interna, il seguito elettorale, le forme di collateralismo (Azione cattolica, ACLI, sindacato e associazionismo istriano), le biografie e il processo di costruzione della nuova leadership. Particolare attenzione è stata prestata agli aspetti generazionali e correntizi: ciò ha consentito di mettere in connessione età, formazione e progetto politico; valutare il peso specifico delle singole correnti nel partito e negli enti; analizzare i criteri di suddivisione dei vari incarichi e i processi di ricollocamento prodotti dalla nascita di nuove tendenze. Si tratta di un approccio in parte inedito, generalmente non utilizzato in lavori simili a questo, ma allo stesso tempo fondamentale per fornire nuove chiavi di lettura alla storia politica e per avvicinarsi con rigore a un’organizzazione strutturata come la Democrazia cristiana. Il lavoro ha cercato infine, quando possibile, di assumere una prospettiva comparativa, per paragonare il contesto locale ai meccanismi funzionanti a livello nazionale e in altre aree del paese, individuando così uniformità e sfasamenti generazionali e politici. Il metodo utilizzato in questa sede è ormai affinato e potrebbe essere applicato alla DC triestina degli anni successivi, ai diversi partiti del teatro giuliano, a gruppi dirigenti cattolici di altre città oppure al livello nazionale dello scudo crociato e delle istituzioni, su cui le informazioni sono peraltro ben più abbondanti. Il sistema messo a punto permetterebbe infine di essere utilizzato – con gli adattamenti del caso – anche sulle più recenti generazioni politiche. I vantaggi che questi sviluppi promettono per un approccio comparativo sono evidenti. In conclusione, la tesi ricostruisce le vicende e le caratteristiche di un’élite periferica, affermatasi in assenza di una tradizione politico-culturale precedentemente radicata e capace di governare Trieste dal dopoguerra alla fine degli anni Settanta. Il testo prende in esame la formazione, l’affermazione, i progetti, le scelte e le linee politiche di due differenti generazioni di cattolici, influenzate inevitabilmente dalla peculiare situazione del confine orientale e dalla necessità di ripensare la dimensione del confine, dopo la stagione liberal-nazionale e il fascismo. In un primo momento la Democrazia cristiana si assicurò il consenso, assumendo la responsabilità della «difesa dell’italianità» e dell’anticomunismo, in un territorio sottratto alla sovranità dello Stato, sottoposto ad amministrazione anglo-americana e oggetto di una dura contesa ideologica e statuale. Dopo il 1954 una nuova leva sostituì il ceto dirigente degasperiano, impegnandosi nel superamento dell’emergenza e nella «normalizzazione» della politica, dell’amministrazione, dell’economia e dei rapporti fra italiani e sloveni, nell’ambito del centro-sinistra. La DC giuliana propose insomma una strategia in due tempi, riassunta dalla storiografia con la formula di «cattolicesimo di frontiera»: esso fu impostato nel dopoguerra, venne radicalmente aggiornato dopo il ritorno all’Italia e si concluse alla fine degli anni Settanta, davanti alle reazioni suscitate dal trattato di Osimo. Tale periodo corrispose a importanti evoluzioni del quadro nazionale, con il superamento del centrismo e la maturazione dei fermenti di rinnovamento all’interno del mondo cattolico italiano. L’analisi dei nodi descritti è accompagnata dall’indagine sulle concrete ricadute della svolta politica e generazionale, avvenuta nel 1957, prima nel partito e di riflesso nell’ambito elettivo. L’ascesa della corrente di Iniziativa democratica e poi dell’area «doro-morotea» produssero infatti significative modifiche della linea e del personale politico, che corrisposero peraltro alla costruzione dell’egemonia democristiana nello spazio pubblico, grazie al definitivo controllo degli enti locali, della Regione autonoma a Statuto speciale e all’elezione dei primi deputati nel 1958. L’esame dei meccanismi di occupazione dei principali gangli dell’amministrazione è supportata dai dati statistici raccolti, i quali ben evidenziano le caratteristiche socio-anagrafiche, le reti di relazione e le dinamiche di potere che contraddistinsero il ceto politico democristiano di Trieste.
      961  1668
  • Publication
    Per una storia dell'oreficeria veneziana: le suppellettili liturgiche tra 1680 e 1797
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-23)
    Stopper, Francesca
    ;
    Degrassi, Massimo
    Il presente studio pone l’attenzione sulla stagione barocca e rococò dell’oreficeria veneziana. Si prefissa di tracciare una storia dell’evoluzione dell’oreficeria sacra a Venezia, partendo dall’analisi delle opere a carattere sacro che si conservano nelle chiese della città lagunare. Sulla scorta dell’intreccio tra la ricerca sulle fonti manoscritte, a stampa e sui documenti d’archivio, l’analisi dei punzoni e lo studio diretto dei manufatti (si sono catalogati più di 250 oggetti), si è cercato di descrivere il periodo che dall’affermazione del gusto barocco ha portato al Rococò. A tal fine, si sono esaminate le vicende artistiche di alcuni tra i principali orefici e botteghe, operanti nella lavorazione delle suppellettili liturgiche. Tra questi si ricordano Antonio Bonacina, Pietro Bortoletto, Andrea Zambelli e le botteghe al Coraggio, al Trofeo, al Trionfo di Santa Chiesa e al San Lorenzo Giustinian, di cui è stato possibile riunire un corpus di opere significative. Lo studio ha inoltre approfondito il tema delle interferenze e delle interrelazioni tra le arti. Oltre alle affinità stilistico-formali evidenti dal confronto tra oreficerie, bronzetti e sculture, riconducibili alla diffusione dei medesimi prototipi e alla partecipazione dello stesso sentire artistico, si è fatta luce su più occasioni in cui orefici hanno collaborato con architetti, pittori, scultori e intagliatori nelle commissioni di apparati processionali e di arredi d’altare.
      1356  108
  • Publication
    Culti gentilizi a Roma tra III e II secolo a.C.
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-27)
    De Franzoni, Annalisa
    ;
    Fontana, Federica
    ;
    Bandelli, Gino
    Con questo lavoro ci si è proposti di indagare le caratteristiche costitutive e le eventuali modificazioni dello statuto dei culti gentilizi nel quadro della politica della classe dirigente a Roma in età medio-repubblicana attraverso l'adozione di un approccio interdisciplinare alla ricerca.
      885  2268
  • Publication
    I veterani delle milizie urbane in Italia e nelle province di lingua latina. Indagine storico-epigrafica
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-27)
    Redaelli, Davide
    ;
    Zaccaria, Claudio
    Le coorti pretorie, le coorti urbane e gli equites singulares Augusti costituivano i corpi d'élite dell'esercito romano per via di un reclutamento selezionato e di un trattamento privilegiato rispetto alle altre unità. Lo studio si propone di indagare il fenomeno del veteranato di queste tre formazioni in un arco di tempo che va da Augusto all'ascesa di Diocleziano e in uno spazio che copre l'Italia, con l'esclusione di Roma e del suo suburbio fino al X miglio, e le province di lingua latina. L'indagine si basa sull'esame della documentazione epigrafica nella quale lo status di veterano di uno o più personaggi menzionati nel testo è sicuro e l'appartenenza ad uno dei tre corpi analizzati è certa o molto probabile. Il lavoro si divide in due parti: nella prima vi è un commento ad ogni singola testimonianza, nella seconda vengono svolte considerazioni di carattere generale sui veterani delle milizie urbane. Tali considerazioni scaturiscono da una visione complessiva della documentazione. Si vuole tentare in questo modo di rispondere a interrogativi riguardanti i rapporti sociali e l'integrazione di questi veterani nelle comunità scelte come residenza dopo il congedo, la loro partecipazione alla vita civica e le attività economiche cui si dedicavano. Una particolare attenzione è rivolta a riconoscere quanti veterani decidevano di rientrare in patria o di stabilirsi in località diverse da quelle natie e le motivazioni che guidavano tale scelta, la loro provenienza e la loro estrazione sociale.
      1261  7268
  • Publication
    Letteratura al microfono. I programmi culturali di RAI Radio Trieste fra il 1954 e il 1976
    (Università degli studi di Trieste, 2015-04-17)
    Conti, Caterina
    ;
    Adamo, Sergia
    ;
    Guagnini, Elvio
    La tesi tratta della radio e della sua funzione culturale, partendo dal presupposto che essa ha, per sua natura, una finalità di esternazione di suoni (parole o musiche) rivolti ad un pubblico, e ha l'intento di insegnare, divertire e intrattenere. Attraverso i contenuti che essa trasmette, infatti, è possibile disegnare un quadro che descrive l'orientamento e i valori che trasmette, e quindi, la specificità non solo degli argomenti trattati, ma anche della più generale linea di pensieri e intenzioni che persegue. Nel corso del lavoro, si è cercato di dimostrare che la radio svolge, per la sua natura, una funzione culturale nel formare un'identità e nel far circolare un certo tipo di canone della letteratura. Infatti, nonostante gli studi sui mezzi di comunicazione di massa in Italia abbiano conosciuto un'accelerazione nel loro sviluppo solo negli ultimi anni, la radio da sempre ha costituito, per le sue caratteristiche di dinamicità e versatilità, un media molto ricettivo delle istanze della società, influenzando profondamente il tessuto connettivo. Fra l'altro, per la sua inclinazione a essere, allo stesso tempo, mezzo di aperta diffusione e di fruizione intimistica, essa ha sempre mantenuto un'impronta evidente di comunicazione personale, non massificata, ma creatrice di una comunità di ascoltatori che condividono informazioni e pratiche sociali. Si è così notato che, attraverso le sue messe in onda, la radio veicola i contenuti, gli argomenti e le forme del pensiero prevalente, incoraggiati evidentemente dai responsabili dell'emittente stessa che assumono un'importanza non secondaria. Essa può trasformarsi, allora, in uno strumento di politica culturale perché ha la capacità e la possibilità di diffondere, attraverso i programmi, una certa visione del mondo e della storia, fornendo gli strumenti per far riflettere e convincere chi è in ascolto e proponendo un deciso orientamento interpretativo dei fatti. Non solo, però, mezzo emanatore di prodotti informativi e culturali, ma anche mediatore di condivisione e confronto con un'altissima incidenza sul sistema politico, sociale, culturale stesso. Insomma, la radio costituisce un attore importante nel condizionamento della società alla quale si rivolge e dalla quale è ispirata e influenzata. Il caso preso in esame è quello più particolare di Radio Trieste dal 1954 al 1976, un periodo emblematico per la storia del secondo Novecento della realtà giuliana, fra la fine del Governo Militare Alleato con la firma del Memorandum di Londra e la sigla del Trattato di Osimo, che ridefinivano rispettivamente l'autorità italiana e i confini dell'Italia a nord-est, dopo gli anni tormentati di divisioni fra la Zona A e la Zona B. Con il 1975, poi, iniziò un periodo di distensione fra le due più potenti forze militari mondiali e, sul piano locale, si risolse, pur amaramente, la vicenda della terra istriana, che passò senza diritto di replica alla Jugoslavia di Tito. Radio Trieste rappresentava un'emittente del tutto anomala, nel quadro più generale delle radio, in quanto poteva disporre, come si vedrà, di mezzi e strumenti di primo livello, ed era capace di un'autonomia invidiabile, dovuta proprio alla sua storia particolare. Il periodo preso in esame, fra l'altro, costituisce l'ultimo segmento temporale nel quale l'emittente radiotelevisiva pubblica aveva ancora una centralità riconosciuta, nel più vasto panorama nazionale, poi in parte erosa, a partire dall'approvazione della Riforma interna della RAI (del 1975) che autorizzava il proliferare delle reti e dei canali radiofonici privati e, soprattutto, vedeva nella spartizione netta fra i partiti la sua nuova identità. In quegli stessi anni, fra l'altro, si assisteva all'affermazione indiscutibile della televisione come mezzo di diffusione di massa privilegiato dal pubblico, e, prevalendo sulla radio, costringeva ad un ruolo minoritario, quasi d'élite, la radiofonia, che comunque seppe reinventarsi una funzione e ricostruire intorno a sé un pubblico specifico. Per tutte queste coincidenze, l'esempio di Radio Trieste, dunque, appare assai emblematico, per il significato e le motivazioni che essa assunse negli anni già indicati: vent'anni considerati cruciali non solo per la storia locale, ma anche per la cultura e la letteratura ad essa legata. Infatti, come si cercherà di dimostrare, l'emittente triestina divenne allora il centro della vita intellettuale della città stessa, concedendo larghissimi spazi alla presenza delle principali voci della cultura, della letteratura e dell'arte locale, rappresentanti e portatori più autentici dei valori e dei principi risorgimentali e primo-novecenteschi, che intesero seminare in un territorio ferito e lacerato dalle due guerre mondiali proprio quanto da loro ritenuto fondante della società stessa. Vi furono allora due generazioni di letterati, intellettuali, scrittori, pensatori, poeti che, fra il 1954 e il 1976, presero parte ai programmi di Radio Trieste, nel tentativo di far riprendere l'abitudine della parola a una città straziata dai silenzi muti dei precedenti cinquant'anni, di fornire degli elementi di verità di quanto avvenuto e, soprattutto, di aprire un nuovo orizzonte di fiducia per la città giuliana. L'uso di nuove parole-chiave, la rievocazione dei fatti storici, i contesti narrativi, il ricordo di mondi passati, la ricerca dell'identità furono allora il centro stesso del fermento creativo di questi anni che si raccolse intorno alla radio, affidata alla direzione dell'ing. Guido Candussi (fino al 1976). Se è vero, infatti, che l'emittente pubblica in Europa (a differenza degli Stati Uniti) ha come intento quello di concorrere alla costruzione e alla difesa dell'identità culturale e civile del Paese, Radio Trieste cercò di esercitare questa funzione attraverso tutti gli strumenti che aveva a disposizione. Il lavoro di ricerca, così, ha voluto entrare nel vivo della programmazione della Radio, andando ad individuare quali fossero le trasmissioni in onda nel ventennio considerato, quali le voci che trovarono spazio, quali i contenuti delle stesse, e quindi, quale fosse il messaggio che si lasciava intendere. Non esiste, infatti, ad oggi alcuno studio specifico al riguardo, se si escludono due contributi, seppur preziosi, costituiti dal lavoro ciclopico di Guido Candussi, Storia della filodiffusione, (Trieste 1993, 2003 e 2008), e quello divulgativo a cura di Guido Botteri e Roberto Collini, Radio Trieste 1931-2006: un microfono che registra 75 anni di storia (Eri, Roma 2007). Inoltre, è da considerare che il patrimonio archivistico consultabile presso la sede regionale della RAI di Trieste consta di un numero esiguo di documenti, e, non di meno, manca del tutto un elenco completo del posseduto, che comunque è stato ridotto a forma digitale e non consente, dunque, un'indagine che permetta una visione ampia dell'archivio intero. Fra l'altro, sembra che le modalità con le quali si è proceduto allo scarto dei materiali non siano state regolate ordinatamente, ma dettate da qualche indicazione dirigenziale interna alla sede stessa (di cui resta un chiacchiericcio, ma nessuna documentazione effettiva), quando non dalla pura casualità. Anzi, alcune fonti orali riportano che, oltre ai documenti conservati presso la RAI di Trieste, sopravvissuti in parte all'incendio che ha devastato la sede alla fine degli anni Cinquanta, esiste ancora del materiale in qualche stanza della sede RAI o accolto negli archivi personali dei dipendenti dell'azienda. Solo il buonsenso dei singoli ha, quindi, salvato alcuni materiali originali dalla distruzione; infatti gli scarti sarebbero stati prodotti, anno dopo anno, senza una vera e propria logica che tenesse in considerazione la totalità del materiale, causando la dispersione di migliaia di riferimenti e contenuti. Per quantificare il patrimonio inerente a Radio Trieste, sia quello conservato che quello andato variamente disperso, non esistendo un vero e proprio catalogo, era necessario un lavoro di ricerca più lungo nel tempo e più approfondito. Era necessario, prima di tutto, costruire un elenco di programmi andati in onda in quegli anni: per farlo, si è ricorso allora allo spoglio dei periodici del tempo, in particolare de «Il Piccolo» e del «Radiocorriere TV» nella parte dedicata ai programmi radiofonici e televisivi, per dedurne gli orari di messa in onda e la programmazione giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, trascrivendo pazientemente quanto previsto per la messa in onda. Circa sei mesi della ricerca, quindi, sono stati dedicati così all'annotazione meticolosa, paziente e fruttuosa dei riferimenti programmatici, dedotti dai riquadri delle trasmissioni che, giornalmente o settimanalmente, erano riportate sui due periodici, ottenendo così un elenco quanto più verosimile e puntuale possibile. Le fonti sono state reperite, per quanto riguarda «Il Piccolo», presso l'Archivio di Stato di Trieste, e «Il Radiocorriere TV» presso la Biblioteca Nazionale di Firenze. Si sono così potuti individuare 1058 titoli di programmi radiofonici di impronta culturale e letteraria, in onda fra il 1954 e il 1976 su Radio Trieste. Si trattava di trasmissioni che accoglievano e davano voce agli intellettuali giuliani, sia a quelli già noti, sia a quelli emergenti, ai quali era concesso uno spazio di conversazione, presentazione o commento e lettura delle opere. Questi programmi rappresentano una parte molto rilevante del palinsesto dell'emittente e possono essere usati, appunto, per considerare la funzione politico-culturale che essa assunse, come luogo di elaborazione e esternazione dei contenuti che la città sentiva più urgenti e che il gruppo intellettuale vide la necessità di esternare attraverso le onde radio. Il tentativo, infatti, che gli intellettuali fecero fu quello di ridare slancio, attraverso la loro promozione artistica, ai valori fondamentali di libertà, tolleranza e dignità umana che avevano dato a Trieste i suoi anni migliori. Attorno alla radio, allora, si costruì non solo una classe di intellettuali colti, creativi, autonomi, ma anche una vera comunità, quella cittadina, nuovamente aggregata, resa più consapevole e acculturata dalle trasmissioni stesse: essa vedeva nel mezzo di comunicazione di massa una modalità non soltanto di svago e intrattenimento, ma anche di conoscenza e riflessione, rappresentando quanto di più vivo e autentico esisteva nella realtà giuliana. Radio Trieste costituisce così un caso del tutto eccezionale e straordinario di come la radio poté incidere profondamente in un territorio difficile ma ricco di intelligenze e di capacità che furono messe a disposizione della collettività, e assolse così la funzione propria di un servizio pubblico. Mentre le ricerche erano in fase avanzata, è emersa, fra l'altro, una fonte preziosissima, grazie alla disponibilità generosa di un ex dipendente RAI, che, venuto a conoscenza di queste ricerche, ha voluto condividere i preziosissimi quaderni della signora Silva Grünter, autrice, programmista e assistente ai programmi di Radio Trieste, che egli aveva trovato per caso negli armadi del suo ufficio. Qui sono diligentemente appuntati titoli, autori e numero di catalogazione dei programmi culturali di Radio Trieste corrispondenti proprio agli stessi anni d'interesse. Si tratta dunque di una preziosa controprova del lavoro svolto, che ne evidenzia, pur con qualche differenza, la validità e la scientificità. Il lavoro di ricerca presente rappresenta, pertanto, un tassello prezioso e finora sconosciuto del mosaico della cultura giuliana del dopoguerra, che delinea l'azione di Radio Trieste nel contesto sociologico, culturale e letterario del capoluogo di regione, rapportato all'ambiente degli intellettuali giuliani e al contributo in termini di cultura e conoscenza diffusa. Esso dimostra il ruolo della radio come strumento di diffusione e riflessione su determinati valori e principi che gli autori dei programmi, e la direzione stessa, ritenevano evidentemente cruciali. Porre l'accento sull'importanza culturale di Radio Trieste nel dopoguerra, significa, infine, scoprire uno spazio comune solo parzialmente esplorato in cui si sono intrecciati cultura, mezzi di comunicazione di massa e territorio, nel grande canovaccio della storia tormentata e complessa delle terre giuliane del Novecento.
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